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ORGANON

Dell’Arte del Guarire

 

di Samuel Hahnemann

 

VI EDIZIONE

 

PRESENTAZIONE

 

Similia similibus curantur:

I simili guariscono i simili. È l’affermazione di Hahnemann, il fondatore dell’Omeopatia, che cura con dosi infinitesime di rimedi « simili » al male, diluite all’ennesima potenza. Mentre il principio è valido ed efficace nel caso dell’Omeopatia, non lo è altrettanto allorché, ispirandosi ad esso, si ricorre ai vaccini, per prevenire le malattie.

                                                Romolo Mantovani

 

Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

                                                Luca 6, 19

 

 

Riportiamo in questa pagina i 291 paragrafi della sesta edizione dell’Organon di Hahnemann, fondatore dell’Omeopatia. Questa grande opera ricca di solida esperienza contiene le leggi fondamentali dell’Omeopatia e della Natura vivente, comprese la legge della similitudine, la legge dell’infinitesimale con le sue diluizioni e dinamizzazioni, l’energia dinamica, l’unità organica, la forza vitale, l’aggravamento omeopatico nonché le crisi di eliminazione della malattia, il magnetismo e la trasmissione della forza vitale.

Ma Cristiano Federico Samuele Hahnemann ha compreso che la forza vitale curativa si può trasmettere per contatto e anche a distanza, alcune sue parole: “Questa forza curativa, questo meraviglioso e inestimabile dono fatto da Dio all’uomo…” sono parole da iniziato.

Profonda riconoscenza per il valore e la verità che troverete nel seguente scritto meritevole di aver aperto la via verso un’Arte del Guarire, i cui singoli rimedi sono tuttora in Italia “oscurati e boicottati” in quanto non gli è permessa la pubblicità. L’efficacia dei rimedi omeopatici è in realtà stata verificata positivamente già dalla Scienza dello Spirito Antroposofica, scientificamente provata da oltre mezzo secolo e negli stati più evoluti come Germania e Francia viene utilizzata perfino negli ospedali, inoltre sono ormai centinaia di migliaia i medici che prescrivono i medicinali omeopatici come unica terapia o a sostegno di altre e milioni gli utilizzatori.

La vasta scelta dei rimedi omeopatici comprende una folta gamma proveniente dal regno minerale e vegetale, il procedimento di diluizione e dinamizzazione consente di trarre benefici anche da piante tossiche o velenose ed esaltarne l'efficacia nei confronti dei sintomi evidenziati dai proving in soggetti " sani ", mantenendone le caratteristiche fitoterapiche e nutrizionali di fondo. Gli stessi autori delle materie mediche citano spesso riferimenti ed apprezzamenti nei riguardi dell'uso ultrasecolare attuato ed innato negli esseri viventi. Questa forma di collaborazione dimostra la grande potenza insita nella Natura e la saggezza dell'uomo quando riesce a comprenderla e amarla.

Solo un'apertura verso la Vita e una riflessione cosciente può fare emergere il nostro intuito e riconoscere la verità, più aumentano le divisioni e più ci si allontana da essa. Uniamoci quindi per cercare una visione che si avvalga degli apporti di reciproco aiuto, delle varie esperienze consolidate nel tempo.

Antonio Bigliardi

 

§ 1.
Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come si dice, di guarirli.

§ 2.
La guarigione ideale è la restaurazione rapida, dolce, duratura della salute ossia la rimozione del male nella sua totalità nel modo più rapido, più sicuro ed innocuo, e per ragioni evidenti.

§ 3.
Se il medico capisce la malattia ossia sa che cosa si deve guarire nei singoli casi di malattia = riconoscimento della malattia, indicazione; se il medico sa chiaramente quello che nelle medicine, anzi in ogni singolo medicamento, v’è che guarisce = Conoscenza del potere dei medicamenti; se sa adattare, con motivi fondati, il potere medicamentoso dei rimedi con quanto di sicuramente patologico ha riconosciuto nel malato, in modo da portare la guarigione sia per l’esattezza dell’indicazione del medicamento = scelta del medicamento più opportuno e corrispondente al caso per il suo modo di azione, sia per l’esattezza della preparazione e della quantità (dose giusta) e della sua ripetizione; se finalmente conosce gli ostacoli alla guarigione in ogni caso e sa rimuoverli, affinché la guarigione sia definitiva, allora egli opera utilmente e radicalmente ed è un vero terapeuta.

§ 4.
Egli è pure un igienista, se conosce le cause che disturbano la salute e determinano e mantengono le malattie e sa da esse preservare l’uomo sano.

§ 5.
I dati relativi alla causa più probabile della malattia acuta, come pure i momenti più importanti della malattia cronica, desunti da tutta la storia nosologica, sono di ausilio al medico, per stabilire la causa fondamentale del male, che per solito è dovuto a un miasma cronico.
Inoltre devesi tener conto della costituzione fisica del malato (specie di quello cronico), il suo carattere affettivo e psichico, la sua occupazione, il suo metodo di vita, le sue abitudini, le condizioni sociali e familiari, la sua età, le sue funzioni sessuali ecc..

§ 6.
L’osservatore imparziale, conoscendo il nessun valore di reperti fantastici, che non si possono dimostrare, non vede nelle malattie se non le alterazioni del corpo e dello spirito riconoscibili coi sensi (sintomi) ossia le deviazioni dallo stato sano, preesistente nell’individuo ora malato, deviazioni avvertite dal malato stesso, notate dai conviventi e constatate dal medico.
Tutti questi segni osservati costituiscono la malattia nel suo complesso totalitario ossia costituiscono la forma morbosa vera ed unica concepibile.

§ 7.
Poiché in una malattia, in cui evidentemente nessuna causa determinante o sostenente v’è da rimuovere (causa occasionale) null’altro è possibile constatare all’infuori dei sintomi [pur con riguardo a qualche miasma e considerando i fattori secondari], soltanto i sintomi nella loro totalità (essi danno il quadro riflettente l’intima essenza della malattia ossia il male della forza vitale) devono costituire l’essenziale, che la malattia indica per fare riconoscere quale medicamento essa necessita per guarire, e rappresentare l’unico momento che può determinare la scelta del rimedio più adatto.
In altre parole la totalità dei sintomi deve costituire per il medico la guida essenziale ed unica per riconoscere quello che egli in ogni malattia deve con la sua arte togliere, affinché la malattia sia guarita e sia ripristinato lo stato di salute.

§ 8.
Non si può pensare, né dimostrare con alcuna esperienza al mondo, che, dopo la rimozione di tutti i sintomi della malattia e di tutto l’assième dei disturbi percepibili, rimanga o possa rimanere altra cosa se non la salute, come se l’alterazione morbosa fosse rimasta non spenta nell’organismo.

§ 9.
Nello stato di salute dell’uomo la forza vitale, vivificatrice e misteriosa, domina in modo assoluto e dinamico (autocrazia) il corpo materiale (organismo) e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi ed attività, in modo che il nostro intelletto ragionevole si possa servire liberamente di questo strumento sano e vitale per gli scopi superiori della nostra esistenza.

§ 10.
L’organismo materiale, considerato senza forza vitale, è incapace di alcuna sensazione, di alcuna attività e di autoconservazione.
Unicamente l’essenza immateriale — principio vitale, forza vitale — conferisce all’organismo materiale, nello stato di salute e di malattia, tutte le sensazioni e determina le sue funzioni vitali.

§ 11.
Quando l’uomo ammala, dapprincipio è perturbata soltanto questa forza vitale (principio vitale) — indipendente e presente ovunque nell’organismo ed immateriale — dall’azione, nemica alla vita e dinamica, di qualche agente patogeno. Unicamente il principio vitale perturbato ad uno stato anormale può determinare nell’organismo sensazioni spiacevoli e conseguenti funzioni irregolari ossia produrre quello che noi chiamiamo malattia. Di fatti questa potenza, per sé invisibile e riconoscibile solo nelle sue manifestazioni, nell’organismo mette in evidenza la sua perturbazione morbosa sotto forma di malattia nei sentimenti ed attività — l’unica parte dell’organismo aperta ai sensi dell’osservatore e del medico — rilevabile dai sintomi del male e da null’altro.

§ 12.
Unica la forza vitale morbosamente perturbata provoca le malattie, in modo che le manifestazioni di malattia percepibili dai nostri sensi, come pure tutte le alterazioni interne, esprimono la perturbazione totale morbosa del principio dinamico interno e rappresentano tutta la malattia.
D’altra parte lo sparire di tutte le manifestazioni di malattia — ossia di tutto quanto era deviazione dimostrabile dei processi vitali sani per opera della guarigione, come pure la restitutio ad integrum del principio vitale presuppone necessariamente il ritorno della salute di tutto l’organismo.

§ 13.
Di conseguenza la malattia, — che non cade nel campo della manuale chirurgia — (come avviene per gli allopatici) non è da considerare come un quid (materia peccans) separato dall’organismo vivente e dal principio dinamico che lo vivifica, sia pure esso considerato come qualche cosa di minutissimo. Tale concezione errata poteva prendere piede solo in cervelli materialistici e dare alla medicina da secoli quell’indirizzo pernicioso, che l’ha resa vera arte di malanni.

§ 14.
Non vi è alcuna malattia né alcuna alterazione morbosa nell’interno dell’organismo, che non si dia a riconoscere per mezzo di segni (sintomi) al medico, che attentamente osserva.
Questo per bontà infinita dell’Onnisciente Conservatore della vita dell’uomo.

§ 15.
Il male della forza vitale, vivificatrice del nostro corpo, perturbata morbosamente e immaterialmente nell’interno invisibile, e l’insieme dei sintomi, da essa determinati nell’organismo e percepibili all’esterno e costituenti la malattia, formano un tutto unico, sono la stessa cosa. L’organismo è lo strumento materiale per la vita, che non si può pensare senza la vivificazione da parte del principio vitale sensibile e dominante, come non si può pensare la forza vitale senza organismo. Di conseguenza tutti e due costituiscono un’unità, sebbene noi, per facilitarne la comprensione, li scindiamo in due concetti.

§16.
La nostra forza vitale, quale principio spirituale dinamico, non può venire aggredita ed intaccata da agenti nocivi all’organismo sano a mezzo di potenze nemiche (che disturbano dal mondo esterno l’equilibrio della vita) se non per via dinamica. Tutte le alterazioni morbose — malattie — non possono essere rimosse dal medico in nessun modo se non con la forza dinamica virtuale dei rimedi agenti sulla nostra forza spirituale vitale a mezzo della sensibilità nervosa dovunque presente nell’organismo.
Per questo i medicamenti possono, con la loro azione dinamica sul principio vitale, ristabilire la salute e l’armonia vitale e la ristabiliscono realmente, quando i nostri sensi hanno rivelato al medico, attento osservatore ed indagatore, le alterazioni osservabili nel malato (totalità dei sintomi) ed hanno rappresentato la malattia così completamente da poterla curare.

§ 17.
Dal fatto che ogni volta nella guarigione, con la rimozione di tutto l’assieme dei segni percepibili e dei disturbi della malattia, viene rimossa contemporaneamente l’alterazione intima della forza vitale, che costituisce la base del male — ossia la malattia nella sua totalità — segue che il medico togliendo la totalità dei sintomi toglie e distrugge l’alterazione intima ossia l’alterazione morbosa del principio vitale ossia il totale della malattia, la malattia stessa. La distruzione della malattia equivale alla restaurazione della salute, scopo supremo ed unico del medico, che ha coscienza dell’importanza della sua arte. Questa non consiste in chiacchiere apparentemente dotte, ma nel giovare ai malati.

§ 18.
Dalla verità inconfutabile che le malattie, al fine di far riconoscere il rimedio necessario, all’infuori della totalità dei sintomi, con riguardo alle modalità concomitanti, null’altro mettono in evidenza, deriva in modo assoluto che la totalità dei sintomi rilevabili in ogni singola malattia e le loro modalità costituiscono l’unica indicazione per la scelta del rimedio.

§ 19.
Siccome le malattie non sono che alterazioni dello stato sano dell’uomo, che si manifestano con segni di malattia e la guarigione è possibile soltanto con il cambiamento dello stato di malattia in stato di salute, si capisce facilmente che le medicine non potrebbero guarire le malattie in nessun modo, se non possedessero la forza di modificare lo stato dell’uomo nei suoi sentimenti ed attività ed anzi unicamente in questa proprietà è riposta la loro forza di guarigione.

§ 20.
Questa forza spirituale, insita nell’intima essenza dei medicamenti, di modificare lo stato dell’uomo e quindi di guarire le malattie, non è per se stessa in alcun modo riconoscibile con solo sforzo di ragionamento; si lascia chiaramente mettere in evidenza nelle sue manifestazioni durante l’azione sull’uomo, nelle esperienze.

§ 21.
Dal fatto che il potere di guarigione dei medicamenti non si può riconoscere in loro stessi (nessuno può negare questo asserto) — dal fatto che negli esperimenti, eseguiti anche dall’osservatore più acuto, dei rimedi nulla può essere dimostrato, che li elevi ad essere medicamenti, se non quella forza che hanno di trasformare chiaramente lo stato dell’organismo, in special modo lo stato di salute dell’organismo, e di produrre in esso sano molteplici e determinati sintomi di malattia — deriva che le medicine, per agire come mezzi di cura, devono esprimere il loro potere terapeutico unicamente a mezzo della loro proprietà di modificare lo stato dell’uomo producendo sintomi loro particolari.
Noi dobbiamo quindi attenerci unicamente alle sindromi morbose, che i medicamenti producono nel corpo sano, come all’unica espressione possibile della loro forza curatrice, per sapere quale forza produttrice di malattia possiede ogni medicamento e conseguentemente quale è la sua potenza terapeutica.

§ 22.
Poiché nelle malattie null’altro si può dimostrare da rimuovere in esse — per ridare lo stato di salute — se non la totalità dei segni e sintomi, ed anche nelle medicine null’altro è dimostrabile curativo se non la loro proprietà di produrre sintomi di malattia nell’uomo sano e rimuoverli nel malato, le medicine portano la guarigione e distruggono le malattie solo in quanto i medicamenti col produrre certi sintomi e sindromi — ossia col produrre ad arte un certo stato di malattia — rimuovono e distruggono lo stato naturale di malattia.
Inoltre ne consegue che per la totalità dei sintomi della malattia da guarire deve essere scelta quella medicina, che (secondo l’esperienza ha sintomi rimovibili più facilmente, più sicuramente, più duraturamente con sostanze a sintomi simili o contrari) ha dimostrato avere la migliore tendenza a produrre sintomi simili o contrari.

§ 23.
Ogni esperienza pura ed ogni sperimento esatto ci convince che sintomi di malattia persistenti vengono così poco allontanati e distrutti da medicamenti a sintomi contrari (metodo antipatico, enantiopatico o palliativo), che anzi, dopo apparente sollievo di breve durata, risorgono in grado più forte ed evidentemente peggiorati.

§ 24.
Non rimane quindi (giovevole) efficace nessun altro metodo di uso di medicine contro le malattie se non quello omeopatico, in grazia del quale viene scelto un medicamento che agisce contro la totalità dei sintomi patologici con riguardo alla causa di insorgenza, se nota, ed alle circostanze concomitanti e che, fra tutti i medicamenti, (conosciuti per le alterazioni dimostrate nello stato dell’uomo sano), ha la forza e proprietà di produrre ad arte lo stato di malattia più simile al caso di malattia da curare.

§ 25.
L’esperienza pura — unico ed infallibile oracolo della terapia — ci insegna appunto, in tutte le ricerche accurate, che quella medicina, che nella sua azione sull’uomo sano s’è dimostrata capace di produrre, in modo simile, la maggior parte dei sintomi, che si trovano nel malato da curare, rimuove somministrata in dose opportunamente potentizzata e piccola, presto, radicalmente e stabilmente anche la totalità dei sintomi dello stato patologico ossia tutta la malattia presente e la trasforma in salute. Ci insegna inoltre che tutte le medicine guariscono senza eccezione le malattie, che hanno i sintomi similari più vicini, e che nessuna di dette malattie lasciano non guarita.

§ 26.
Questo si basa sulla seguente legge naturale omeopatica — legge qua e là intravista, ma finora non riconosciuta e che è base di ogni vera guarigione: « Un’affezione dinamica debole viene, nell’organismo vivente, duraturamente cancellata da un’affezione più forte, se questa, differendo per qualità, le è assai simile nella sua manifestazione ».

§ 27.
Il potere di guarigione delle medicine si basa quindi sui loro sintomi, di forza superiore simili a quelli della malattia, cosicché ogni singolo caso di malattia viene rimosso e distrutto nel modo più sicuro, più radicale, più rapido e più duraturo soltanto da un medicamento che sia capace di produrre nell’organismo umano la totalità dei sintomi nel modo più simile e più completo e nel medesimo tempo superi in forza la malattia.

§ 28.
Poiché questa legge salutare di natura si manifesta in tutte le prove pure e in tutti gli esperimenti puri del mondo, è dimostrato che il fatto esiste; poco importa sapere scientificamente il perché questo avvenga ed io ci tengo poco a tentarne la spiegazione. Pur tuttavia la seguente ipotesi è la più probabile, perché si basa su chiare premesse sperimentali.

§ 29.
Poiché ogni malattia (non di spettanza della chirurgia) consiste in una perturbazione, nei sentimenti ed attività speciali, patologica dinamica della nostra forza vitale (principio vitale) — il principio vitale, perturbato dinamicamente da malattia naturale, nella cura omeopatica viene attaccato da un’affezione più forte, simile, artificiale, determinata dalla somministrazione di una medicina potentizzata e scelta esattamente per la somiglianza dei sintomi. In questo modo si spegne e scompare il senso della affezione patologica naturale (più debole) dinamica, che da questo momento non esiste più per il principio vitale. E il principio vitale viene interessato ed ora dominato da questa affezione patologica artificiale, più forte, che, estinta presto la sua azione, lascia libero e guarito il malato.
La forza vitale dinamica così liberata può ora continuare la vita di salute. Questo processo, verosimile al massimo grado, poggia sulle seguenti basi:

§ 30.
Il corpo umano mostra di lasciarsi perturbare, nel suo stato, più fortemente da medicine (anche perché noi possiamo dosarne la quantità) che dagli stimoli delle malattie naturali, perché le malattie naturali vengono guarite e superate da medicine appropriate.

§ 31.
Le potenze nemiche sia psichiche che fisiche, che si chiamano agenti patogeni, nella vita terrestre non possiedono necessariamente la proprietà di rendere malato l’uomo. Noi per causa di loro ammaliamo soltanto quando il nostro organismo ne ha la disposizione e trovasi disarmato in modo che l’agente patogeno presente può intaccarlo, alterare e perturbare lo stato di salute e determinare sentimenti e funzioni anormali. Quindi gli agenti morbosi non fanno ammalare chiunque ad ogni tempo.

§ 32.
Tutt’altro comportamento hanno le potenze producenti malattie artificiali, potenze che si chiamano medicine. Ogni vera medicina agisce in ogni tempo, in tutte le circostanze, in ogni uomo, provocando in esso sintomi ad essa caratteristici (perfino colpendo chiaramente i sentimenti, se la dose era sufficiente). Quindi è evidente che ogni organismo umano vivo deve venire colpito, quasi a dire contagiato, in ogni tempo e incondizionatamente dalla malattia da medicamento; mentre questo non avviene con le malattie naturali.

§ 33.
Tutte le esperienze dimostrano in modo esplicito che l’organismo umano vivente è di gran lunga più disarmato e più disposto ad essere stimolato e perturbato nel suo stato da forze medicamentose che non dai soliti agenti patogeni e miasmi contagianti. In altre parole:     Gli agenti patogeni possiedono, per alterare morbosamente lo stato umano, soltanto una forza subordinata e condizionata, spesse volte molto condizionata, mentre i medicamenti hanno tale forza assoluta ed incondizionata.

§ 34.
La maggior forza delle malattie prodotte artificialmente da medicamenti non è però l’unica condizione del potere di guarigione di malattie naturali. Per la guarigione si richiede anzitutto che la malattia artificiale sia simile il più possibile alla malattia da guarire che la malattia artificiale possa con più forza determinare nel principio vitale istintivo, incapace di superiorità e di ricordo, una disposizione patologica molto simile alla malattia naturale in modo da estinguere e distruggere, e non solo oscurare, nel principio vitale il senso della perturbazione morbosa naturale.
Questo è tanto vero che perfino una malattia di data più vecchia non può venire guarita dalla natura con malattia non simile sopraggiunta, per forte che essa sia, e tanto meno con cure mediche fatte con medicine allopatiche incapaci di produrre nel corpo sano uno stato morboso simile.

§ 35.
A spiegazione di quanto sopra, esamineremo, in tre diversi casi, sia il procedimento della natura in due malattie umane, naturali, dissimili tra loro, sia l’esito del trattamento medico ordinario con medicine allopatiche, disadatte ossia incapaci di produrre uno stato morboso artificiale simile alla malattia da guarire. Vedremo così che la natura stessa è incapace di rimuovere una malattia dissimile con una malattia non omeopatica, sia pure più forte, come pure l’uso anche di forti medicine non omeopatiche mai è in grado di guarire una qualsiasi malattia.

§ 36.
I. Le due malattie nell’uomo, dissimili tra loro, o sono di forza uguale o la più vecchia è più forte; in tal caso la nuova malattia viene tenuta lontana dall’organismo dalla malattia più vecchia.
Un malato di una malattia cronica grave non ammala di una dissenteria autunnale o di altra malattia infettiva lieve. La peste del levante non attacca, secondo Larrey, dove regna lo scorbuto, e persone con affezioni erpetiche ne restano immuni. Il rachitismo, secondo Jenner, non permette di attecchire al vaccino contro il vaiolo.
Secondo von Hildebrand, tubercolosi cavitari non vengono contagiati da febbri epidemiche non troppo violente.

§ 37.
E così anche un vecchio male cronico non viene guarito da cura medica ordinaria sia pure fatta blandamente, con metodo solito allopatico ossia con medicamenti incapaci di produrre nell’uomo sano uno stato simile alla malattia, sia pure che detta cura si prolunghi per anni. Questo si vede giornalmente nella pratica e non ha bisogno di conferma da alcun esempio.

§ 38.
II. Oppure la nuova malattia dissimile è più forte.
In questo caso la malattia primiera, di cui soffriva il malato, come più debole, viene differita e sospesa dalla nuova malattia sopraggiunta più forte, fino a quando la nuova è decorsa o guarita. Allora la malattia primiera ritorna in scena non guarita.
Due bambini affetti da una specie di epilessia rimasero senza accessi epilettici dopo il contagio di tigna (tinea); ma appena l’eruzione al capo sparì, ritornò l’epilessia come prima, secondo l’osservazione di Tulpius. Un’eruzione scabbiforme, come osservò Schopf, sparì quando comparve lo scorbuto, ma ritornò appena lo scorbuto fu guarito. Così pure una tubercolosi polmonare cavitaria divenne latente, mentre il malato fu colpito da un tifo violento, ma appena questo finì riprese il suo decorso.
Se un tubercoloso polmonare diventa maniaco, la tubercolosi viene allontanata con tutti i suoi sintomi; ma quando la follia scompare, ritorna la tubercolosi polmonare e porta a morte il paziente.
Quando contemporaneamente dominano vaiolo e morbillo ed ambedue i mali colpiscono uno stesso bambino, di solito il morbillo, già sviluppato, viene arrestato nel suo decorso dal vaiolo, venuto in secondo tempo, e continua solo dopo l’avvenuta guarigione del vaiolo. Però non di raro, come ha osservato Manget, anche il vaiolo, sviluppatosi dopo la vaccinazione fu interrotto per quattro giorni nel suo decorso da sopraggiunto morbillo e il vaiolo riprese il suo corso, fino alla fine, dopo la desquamazione morbillosa.

Anche quando la vaccinazione contro il vaiolo era attecchita da sei giorni e scoppiava il morbillo, si arrestava l’infiammazione dell’innesto e non riprendeva prima che il morbillo non aveva terminato il suo decorso di sette giorni. Durante una epidemia di morbillo, tale malattia colpì molti individui il quarto o quinto giorno dopo la vaccinazione antivaiolosa ed arrestò lo sviluppo dell’innesto fino a che il morbillo non guarì; solo allora le pustole vacciniche si svilupparono bene ed ebbero decorso regolare.
La vera febbre scarlattinosa di Sydenham con angina fu arrestata in quarta giornata da vaccinazione antivaiolosa, che decorse fino alla fine, e solo allora continuò il suo corso. Ma avvenne pure, giacché pari, in apparenza, di forza, che la vaccinazione in ottava giornata fu arrestata da sopraggiunta febbre scarlattinosa di Sydenham e l’alone delle pustole vacciniche scomparve fino alla scomparsa della febbre scarlattinosa, mentre poi la vaccinazione riprese il suo corso fino alla fine. Hortum osservò che il morbillo arrestava la vaccinazione in ottava giornata; quando l’innesto era vicino alla fine e scoppiava il morbillo, l’innesto s’arrestava e riprendeva il suo corso, quando il morbillo era al periodo di desquamazione, in modo che la vaccinazione in sedicesima giornata era come fosse in decima giornata. Come pure Hortum osservò che l’innesto vaccinico attecchì in un malato in corso di morbillo, ma si sviluppò solo allo scomparire del morbillo.
Io stesso vidi un’angina parotidea sparire all’attecchimento della vaccinazione antivaiolosa; soltanto finito il decorso della vaccinazione e scomparso l’alone rosso delle pustole, ricomparve la tumefazione delle ghiandole parotidee e sottomascellari e completò il suo decorso settimanale.
E così tutte le malattie dissimili tra loro si arrestano a vicenda, la più forte arresta la più debole (sempre che non si complichino, come raramente avviene nelle malattie acute), ma mai si guariscono l’un l’altra.

§ 39.
Questo ha constatato l’ordinaria scuola medica già da secoli ed ha visto che la natura non una sola volta è in grado di guarire una qualsiasi malattia con altra, che sopraggiunge, per quanto forte sia, se è dissimile da quella già esistente. Che cosa pensare di essa, che ciò nonostante continua a curare le malattie croniche con cure allopatiche, ossia con medicine e ricette, che solo Iddio sa quale stato morboso, pur sempre dissimile, sono in grado di produrre, per far fronte alla malattia da guarire? I medici, anche se non avessero osservato attentamente la natura, avrebbero dovuto capire, dalle disastrose conseguenze delle loro cure, che battevano strada falsa e contraria. Non vedevano essi, quando facevano, come al solito, una cura d’attacco allopatica contro una malattia cronica, che con essa cura determinavano solo una malattia artificiale, dissimile alla malattia da curare, e che solo sopprimevano e sospendevano il male e lo facevano tacere fino a quando sostenevano la malattia artificiale, mentre la malattia da curare ritornava e doveva ritornare in scena tutte le volte, quando la minor forza del malato non permetteva più di continuare gli attacchi allopatici alla vita?
Così naturalmente scompare ben presto dalla pelle l’eruzione scabbiforme con ripetuti e violenti purganti, ma se il malato non può più sopportare la malattia dell’intestino (dissimile) prodotta a forza e non può più prendere purganti, l’eruzione sulla pelle rifiorisce come prima, oppure la psora interna si sviluppa dando qualche sintomo maligno, perché il malato oltre il suo male primiero intatto, ha per giunta da sopportare anche una digestione dolorosa e rovinata e una perdita di forze. Così quando i soliti medici mantengono ad arte piaghe cutanee e fontanelle alla superficie del corpo, per estinguere una malattia cronica, non possono mai raggiungere il loro scopo, non possono mai portare la guarigione, perché dette piaghe cutanee, prodotte ad arte, sono totalmente estranee al male interno, sono allopatiche. Ma, poiché lo stimolo costituito da alcune fontanelle è almeno qualche volta un male più forte (dissimile) della malattia insita nell’organismo, esso la porta da principio al silenzio in un paio di settimane e la sospende, ma unicamente per poco tempo e precisamente con continua emaciazione del malato. L’epilessia, soppressa per molti anni da fontanelle, ritornò sempre e peggiorata appena si fecero guarire le fontanelle, come attestano Pechlin ed altri. Ma i purganti per l’eruzione scabbiforme e le fontanelle per l’epilessia non sono potenze di perturbazione meno estranee, meno dissimili, mezzi curativi meno allopatici e meno aggressivi di quanto sono fin qui, nella pratica, le ricette composte di miscugli, di ingredienti sconosciuti per le altre malattie anonime e innumerevoli. Queste ricette, anche solo a dose debole, sopprimono e sospendono i mali unicamente per breve tempo, senza poter guarire ed aggiungono poi sempre, dopo prolungato uso, un nuovo stato di malattia al male esistente.

§ 40.
III. Oppure la nuova malattia, dopo aver agito a lungo sull’organismo, alla fine si congiunge con la malattia vecchia, ad essa dissimile, e forma con essa un male complicato, in modo che ogni una colpisce una speciale regione nell’organismo, ossia gli organi ad essa più adatti, e, per così dire, occupa nell’organismo lo spazio, che più particolarmente le è adatto e lascia il resto per la malattia dissimile.

§ 41.
Le complicanze morbose, originate da inopportuno trattamento medico (cura allopatica), con l’uso prolungato di medicamenti inadatti, sono senza confronto più frequenti delle malattie naturali dissimili, che si associano e complicano a vicenda. Alla malattia naturale, che dovrebbe venire guarita, si associano poi, per la perseverante ripetizione di medicamento inopportuno, gli stati morbosi nuovi e spesso molto duraturi, corrispondenti alla natura del medicamento. Questi stati morbosi, un po’ alla volta, si associano alla malattia cronica dissimile esistente (che essi non possono guarire con azione similare ossia omeopatica) e la complicano, aggiungono al male vecchio uno nuovo, artificiale, dissimile, e rendono il malato, fin qui semplicemente malato, doppiamente malato ossia molto più malato ed inguaribile e talvolta inguaribile del tutto e spesso anche lo uccidono. Parecchi casi, illustrati in giornali medici di consultazione, come pure storie cliniche, raccolte in scritti medici, ne danno dimostrazione. Tali sono pure i casi frequenti, nei quali la sifilide complicata specialmente con la psora, ma anche con processi blenorragici, a causa della cura prolungata o spesso ripetuta di grandi dosi di preparati mercuriali inadatti, non solo non viene guarita, ma nell’organismo, accanto ad essa, gradatamente viene a prender posto l’avvelenamento cronico da mercurio.
In tal modo si forma una malattia complessa, mostruosa, spesso terribile, sotto il nome generico di malattia venerea larvata, che, se non è del tutto inguaribile, è per lo meno assai difficile ad estinguere.

§ 42.
La natura stessa permette, come si è detto, in alcuni casi, la concomitanza di due (anche tre) malattie naturali in uno stesso organismo. Tale complicanza però avviene, come bene si può dimostrare, solo per malattie fra loro dissimili, che, per leggi naturali eterne, non si possono tra di loro né elidere, né distruggere, né guarire. Sembra che dette malattie (due o tre) si distribuiscano uniformemente nell’organismo e ciascuna si appropri determinate parti e sistemi particolari. Tale fenomeno può verificarsi senza pregiudizio per l’unità della vita, a causa della dissomiglianza di queste malattie fra loro.

§ 43.
Ma ben diversamente succede quando s’incontrano nell’organismo due malattie simili ossia quando ad una malattia se ne aggiunge una nuova simile, più forte. Qui si mette in evidenza come la guarigione possa avvenire in modo naturale e quale via si debba seguire per guarire.

§ 44.
Due malattie simili non possono rimuoversi a vicenda (come è stato detto delle malattie dissimili in I), né possono sospendersi l’una l’altra (come è stato dimostrato per le malattie dissimili nella dissertazione II), in modo che la malattia vecchia si ripresenta dopo decorsa la nuova, come pure due malattie simili non possono coesistere (come è stato dimostrato per le dissimili in III) nello stesso organismo né formare una malattia doppia complicata.

§45.
No! Sempre e dovunque due malattie diverse per qualità, ma molto simili fra loro nelle manifestazioni ed azioni, come pure nei disturbi e sintomi da loro causati — incontrandosi nell’organismo si distruggono e precisamente la più forte distrugge la più debole. Questo avviene per ragioni facili a capirsi: la potenza morbosa sopraggiungente, più forte, per l’azione similare va ad occupare con predilezione le stesse parti dell’organismo, che fino allora erano dominate dagli stimoli morbosi della malattia più debole, che ora non possono più agire e vengono spenti.
In altre parole, poiché la potenza morbosa nuova simile, ma più forte, domina la sensibilità del malato, il principio vitale, data la sua unità, non può più sentire la malattia simile più debole. Questa viene cancellata, non esiste più, poiché essa non è mai qualche cosa di materiale, ma unicamente un’affezione dinamica (spirituale). Il principio vitale rimane affetto, e solo in modo transitorio, dalla nuova potenza morbosa, simile e più forte, del medicamento.

§ 46.
Si potrebbero citare moltissimi esempi di malattie guarite omeopaticamente dalla natura col mezzo di malattie a sintomi simili. Ma invece dobbiamo attenerci unicamente a quelle poche, che, sempre permanendo uguali, sono prodotte da un determinato miasma e che perciò portano un nome stabilito fisso, onde poter discutere di cosa determinata ed indubbia.
Specialmente il vaiolo umano, che ha un gran numero di manifestazioni violente, ha rimosso e guarito numerose malattie a sintomi simili. Le infiammazioni violente degli occhi nel vaiolo umano non sono molto comuni, ma il vaiolo innestato ha guarito completamente e per sempre un’infiammazione oculare cronica, come riporta Dezoteux e Leroy. Klein riferisce un caso di cecità, esistente da due anni in seguito a tigna del capo repressa, guarita completamente dal vaiolo.
J. F. Closs ha constatato che il vaiolo umano molte volte produceva sordità ed asma; mali che il vaiolo guariva anche quando aveva raggiunto I’acme del suo decorso.
Il vaiolo ha pure, tra i suoi sintomi frequenti, tumefazione, anche molto violenta, dei testicoli; Klein ha osservato la guarigione, operata per similitudine dal vaiolo, di una tumefazione grande, insorta in testicolo sinistro in seguito a contusione. Una simile tumefazione testicolare è stata guarita nello stesso modo secondo l’osservazione di altro autore. Tra i disturbi prodotti dal vaiolo vi è anche una diarrea dissenteriforme e Fr. Wendt ha osservato un caso di dissenteria guarito dal vaiolo, quale potenza morbosa similare.
Il vaiolo umano che sopraggiunge al vaccino, come è noto, lo tronca del tutto (omeopaticamente) sia per la maggiore forza che per la grande affinità e non lo lascia continuare fino alla fine. D’altra parte il vaiolo umano, che scoppia quando il vaccino è vicino alla maturità, (omeopaticamente) per la grande similarità ne viene di molto attenuato e reso più benigno come attestano Muehry ed altri.
La linfa vaccinica, oltre contenere il materiale protettivo contro il vaiolo, contiene anche l’agente per una eruzione cutanea generale di altra natura, che consta di elementi conici, ordinariamente piccoli, raramente grandi e suppuranti, secchi, poggianti su areole rosse poco estese, spesso frammiste con piccole macule rotonde, accompagnate talvolta da fortissimo prurito. Tale eruzione compare in non pochi bambini anche alcuni giorni prima, per lo più però dopo che si è formato l’alone rosso dell’innesto, e se ne va in un paio di giorni lasciando piccole macchie rosse dure sulla pelle. Il vaccino innestato guarisce, per la legge dei simili, eruzioni affini spesso molto vecchie e gravi in bambini, dopo l’attecchimento, in modo omeopatico, completamente e duraturamente, come testimoniano molti autori. Il vaccino, che ha come sintomo peculiare quello di produrre gonfiore al braccio, guarì, dopo il suo attecchimento, il gonfiore di un braccio paretico. La febbre, che in seguito all’innesto insorge al momento dell’alone rosso, guarì (omeopaticamente) una febbre intermittente di due persone, come riporta Hardege junior a conferma di quanto osservò J. Hunter, che due febbri (malattie simili) non possono esistere contemporaneamente in uno stesso organismo. Nella febbre e nella qualità della tosse il morbillo ha molta affinità con la pertosse e per questo Bosquillon osservò che in un’epidemia delle due malattie molti bambini, che avevano già superato il morbillo, rimanevano immuni dalla pertosse. Tutti, anche in seguito, sarebbero esenti dalla pertosse ed immunizzati a mezzo del morbillo, se la pertosse non fosse malattia simile solo in parte al morbillo, ossia se la pertosse portasse anche un’eruzione simile a quella portata dal morbillo. Così il morbillo poté preservare dalla pertosse solo molti e solo nella presente epidemia Ma se il morbillo trova nell’organismo una malattia con eruzione cutanea simile — sintomo fondamentale — può senz’altro toglierla e guarirla omeopaticamente. Kortum osservò un caso di eczema cronico guarito subito, completamente e duraturamente (Omeopaticamente) da sopraggiunto morbillo. Un’eruzione assai urente, simile a porpora miliare, datante da sei anni, sulla faccia, al collo, alle braccia, che si rinnovava ad ogni cambiamento di tempo, fu trasformata da sopraggiunto morbillo in un semplice rigonfiamento cutaneo; scomparso il morbillo, l’eruzione miliare guarì e non tornò più.

§ 47.
E’ impossibile che il medico possa trovare un insegnamento più chiaro e più persuasivo per la scelta della qualità di potenza morbosa artificiale (medicamento) per guarire, secondo il processo naturale, in modo certo, rapido, duraturo.

§ 48.

Tutti questi esempi dimostrano che nel corso della natura un male, un disturbo non può essere rimosso e guarito dall’arte medica con una potenza morbosa dissimile per quanto forte sia; ma solo a mezzo di una potenza a sintomi simili e un po’ più forte.
E questo avviene per leggi di natura eterne, irrevocabili e finora sconosciute.

§49.
Noi troveremmo di queste guarigioni omeopatiche naturali, pure un numero ben maggiore, se gli osservatori da una parte vi avessero prestato più attenzione e se la natura avesse a disposizione un numero più grande di malattie capaci di guarire omeopaticamente.

§ 50.
La natura stessa non ha quasi altri mezzi omeopatici a sua disposizione che le malattie miasmatiche poco numerose ed ostinate come la psora, il morbillo, il vaiolo umano, costituenti potenze morbigene, che, come il vaiolo e il morbillo, sono mezzi curativi più pericolosi e spaventosi che non i mali, che con loro si vogliono curare e come la psora, che, a guarigione avvenuta della malattia simile, richiede essa stessa di essere curata per poter essere distrutta. Queste due circostanze rendono l’applicazione di dette malattie, come rimedi omeopatici, difficile, incerta e pericolosa. E quanto pochi stati morbosi si riscontrano nell’uomo, che hanno il loro rimedio simile (omeopatico) nel vaiolo, nel morbillo e nella psora! La natura quindi può curare ben poche malattie con questi mezzi omeopatici pericolosi e dubbi; e il successo si ottiene solo attraverso pericoli e grandi disturbi già per il fatto che le dosi di queste potenze morbigene non sono, come quelle dei medicamenti, suscettibili di attenuazione in ragione delle circostanze. Inoltre al malato di una malattia vecchia e simile si vengono a dare tutti i disturbi pericolosi e molesti del vaiolo, del morbillo, della psora, per liberarlo dal suo male primitivo.
Ciò nonostante questo fortuito connubio di malattie ha dato delle bellissime guarigioni omeopatiche, che costituiscono la prova inconfutabile della grande ed unica legge terapeutica della natura: « Guarire le malattie con rimedi determinanti sintomi simili a loro malattie ».

§ 51.
Questi fatti bastano già per rivelare all’uomo la legge sopra enunciata. Ben si vede la superiorità dell’uomo sulla natura rozza, le cui azioni sono irriflessive. Quante migliaia di potenze morbigene omeopatiche ha l’uomo di più, per sollevare le sofferenze dei fratelli, nelle sostanze medicamentose sparse ovunque nel creato! In esse egli trova il mezzo di sviluppare tutti i possibili stati morbosi che possono essere richiesti come rimedi omeopatici dalle innumerevoli malattie naturali conosciute e sconosciute. E queste sono potenze morbigene la cui forza, dopo esplicata l’azione curativa, vinta dallo spirito vitale sparisce da sé e non richiede, all’opposto della psora, di nessun altro mezzo per essere annientata. Tali potenze artificiali può il medico fino ai limiti dell’infinito diluire, dividere e dinamizzare e può diminuire la dose al punto di lasciar loro soltanto la forza un po’ superiore a quella della malattia naturale simile che ha da guarire. Con delle risorse così preziose non vi ha bisogno di attaccare violentemente l’organismo per liberarlo da un male vecchio ed ostinato, in modo che il passaggio dallo stato di malattia a quello stabile desiderato di salute si ottiene in maniera dolce e impercettibile e sovente anche rapida.

§ 52.
Vi sono due metodi principali di cura: Uno che fonda ogni suo procedimento solo sull’osservazione precisa della natura, su esperimenti accurati e sulla pura esperienza ossia il metodo omeopatico (prima di me mai correntemente usato); il secondo metodo eteropatico o allopatico, che tutto questo non fa.
I due metodi sono contrari l’uno l’altro e solo chi non li conosce può illudersi che si possano avvicinare od anche abbinare e può perfino arrivare alla ridicolaggine di curare il malato a suo piacere ora allopaticamente ora omeopaticamente. Questo procedimento costituisce un tradimento delittuoso verso la divina omeopatia.

§ 53.
Le guarigioni vere e piane avvengono solo col metodo omeopatico, metodo che, come abbiamo visto prima, per conclusioni basate sulle esperienze, è anche indiscutibilmente giusto. Difatti con esso si raggiunge la guarigione delle malattie nel modo più sicuro, più rapido e più duraturo, perché quest’arte di curare è basata su una legge di natura eterna ed infallibile. Il metodo di cura omeopatico è l’unico giusto, l’unico possibile e più diritto per l’arte umana a somiglianza di una linea retta, che unica può essere tracciata tra due punti dati.

§ 54.
Il modo di cura allopatico che usava contro le malattie un po’ di tutto, ma sempre cose inadatte, era a ricordo d’uomo il metodo dominante, sotto le forme più svariate, denominate sistemi. Questi si susseguivano di quando in quando anche molto diversi tra loro e si onoravano del nome di « terapia razionale ». Ogni inventore di sistema aveva la presunzione di saper penetrare nell’intimità della vita sia nell’uomo sano che malato e di conoscerla chiaramente e di conseguenza faceva le prescrizioni per togliere la materia dannosa  dall’organismo malato al fine di ridargli la salute.
Tutto questo per vuote supposizioni e premesse indeterminate, senza interrogare rettamente la natura e senza dare ascolto, senza preconcetti, all’esperienza. Si ammetteva che le malattie fossero degli stati che comparissero sempre in modo abbastanza simile. La maggior parte dei sistemi stabilì quindi per i suoi quadri patologici dei nomi e ne fece delle classificazioni, ogni sistema in modo diverso. Ai medicamenti per semplice supposizione si attribuirono azioni (vedi le numerose materie mediche), che avrebbero dovuto togliere ossia guarire questi stati anormali.

§ 55.
Ma ben presto dopo la introduzione di ognuno di tali sistemi, il pubblico si convinceva che i mali dei malati coll’applicazione esatta di ognuno di tali metodi di cura solo aumentavano e si acuivano. E da molto tempo i medici allopatici sarebbero stati abbandonati completamente, se essi non avessero saputo di quando in quando portare ai malati un sollievo palliativo con nuovi mezzi trovati a caso — la cui azione spesso istantanea e seducente sorprende e così in certo qual modo hanno sostenuto il loro prestigio.

§ 56.
I medici fin qui, da 17 secoli, hanno potuto sperare di mantenere sicuramente la fiducia dei malati seguendo il metodo palliativo (antipatico, enantiopatico), introdotto secondo la legge di Galeno « contraria contrariis », coll’ingannare mediante un miglioramento quasi istantaneo dei mali. Ma quanto in sostanza inutile, anzi dannoso questo metodo terapeutico (nelle malattie a decorso non rapido) sarà dimostrato in quanto diremo appresso. E sì che si tratta dell’unica cosa nelle cure degli allopatici con attinenza evidente ad una parte dei sintomi della malattia naturale — ma, quale relazione! In realtà una contraria, che a meno di non voler ingannare un malato cronico e infischiarsene di lui, si dovrebbe proprio evitare.

§ 57.
Nel trattamento antipatico un medico comune, per vincere il sintomo più molesto di un caso, tra i molti e molti altri da lui non osservati nella malattia, somministra una medicina che notoriamente determina proprio il contrario del sintomo morboso da debellare; in questo modo egli si aspetta di produrre il più rapido sollievo palliativo. Secondo la legge « contraria contrariis », dettata dalla vecchia scuola medica da oltre quindici secoli, forti dosi di oppio sono prescritte contro i dolori di ogni specie, perché questa medicina annebbia rapidamente il sensorio. Questo rimedio è pure somministrato contro la diarrea, perché rapidamente arresta i movimenti peristaltici nell’intestino e lo rende insensibile.
L’oppio viene dato anche contro l’insonnia, perché porta rapidamente una specie di sonno soporoso e pesante. Si danno purganti quando un malato soffre abitualmente di stitichezza e costipazione. Si fa immergere nell’acqua fredda una mano ustionata, perché pare che il freddo debba togliere quasi magicamente il dolore della scottatura. Il malato che si lagna di essere freddoloso e povero di calore vitale viene messo in un bagno caldo, che lo riscalda solo momentaneamente. Per rianimare un malato indebolito gli si fa bere vino, che lo ristora solo momentaneamente. Oltre a questo vengono prescritte alcune altre misure antagonistiche, che però sono di numero limitato, perché la scuola medica comune conosce alcuni effetti peculiari (azioni primarie) soltanto di pochi rimedi.

§ 58.
Per voler giudicare questo modo di applicazione di medicine pur prescindendo dalla circostanza che è molto errato procedere solo sintomaticamente ossia unilateralmente contro un singolo sintomo ossia curare solo una piccola parte di un tutto, per cui evidentemente non è da aspettarsi giovamento per la malattia nella sua totalità come desidera il malato — devesi pure interrogare l’esperienza, al fine di poter sapere se nell’applicazione di un tale metodo di cura antipatica, contro disturbi di lunga durata e resistenti, al miglioramento passeggero non segua un peggioramento dei disturbi, dapprima palliativamente migliorati, o invece anche un peggioramento; peggioramento che il medico comunemente spiega diversamente al malato e suole attribuire o ad una malignità solo ora manifestatasi nel male primitivo o all’insorgere di una nuova malattia.

§ 59.
Ancora mai al mondo sintomi importanti di malattie persistenti si sono curati con tali palliativi contrari senza il loro ritorno dopo poche ore non solo, ma anzi con un’evidente peggioramento del male. Contro la tendenza pertinace alla sonnolenza di giorno si ordina il caffè, che nella sua prima azione sveglia, ma quando esso ha finito di agire, la sonnolenza aumenta. Contro lo svegliarsi di frequente di notte, si dà, senza badare agli altri sintomi della malattia, di sera, oppio, che per la sua prima azione porta per quella notte un sonno che stordisce e intontisce, ma che rende le notti seguenti ancora più insonni. A diarroici cronici si somministra, senza tener conto degli altri segni di malattia, ugualmente oppio, che nella sua azione primiera agisce da antidiarroico, ma poco dopo la diarrea compare ancora più forte; dolori violenti, spesso recidivanti, di ogni sorta si possono sopprimere con l’oppio, che ottunde la sensibilità, ma per poco tempo, perché ritornano sempre maggiori e spesso aumentati in modo insopportabile e compaiono altri mali a volte molto peggiori.
Contro tosse notturna di vecchia data il medico comune non sa ordinare di meglio se non l’oppio, che la sopprime con la sua prima azione, ma la tosse, che per la prima notte forse tace, ritorna nelle notti seguenti ancor più accanita e, se essa viene curata poi con insistenza con dosi crescenti di tale palliativo, sopraggiunge anche febbre e sudore notturno; una vescica indebolita ed una conseguente ritenzione di urina si cerca di vincere con il rimedio contrario antipatico, che stimola le vie urinarie, la tintura di cantaridi, con cui in realtà dapprincipio si costringe la vescica a vuotarsi, ma poi la vescica diventa ancor più ineccitabile e impossibilitata a farlo, sicché la sua paralisi è alle porte; — con le medicine purgative e lassative, usate in grandi dosi per stimolare l’intestino a scariche più frequenti, si vuole togliere la tendenza alla stitichezza; — debolezza persistente si vuol togliere con il bere vino, che nella sua prima azione rinforza, ma poi toglie maggiormente le forze; con cose amare e spezie riscaldanti il medico comune vuole rinforzare e riscaldare stomaci persistentemente deboli e freddi, ma lo stomaco, passata la prima azione palliativa di tali sostanze, ritorna ancora più inattivo; — la mancanza persistente di calore vitale e di freddolosità dovrebbe cedere con bagni caldi, ma dopo questi i malati diventano più fiacchi, più freddi e più freddolosi; — parti fortemente scottate risentono dall’applicazione dell’acqua fredda bensì sollievo momentaneo, ma il dolore cresce poi incredibilmente; l’infiammazione incalza e cresce a un grado maggiore; — con sostanze da fiuto, che eccitano il catarro, si vuole cacciare il vecchio raffreddore intasante, ma non si nota che questo con i rimedi contrari (nella azione che segue) non fa che peggiorare ed il naso si intasa ancora più; — con l’elettricità e il galvanismo, che potentemente eccitano con la loro azione primiera i movimenti muscolari, si pongono presto in più attivo movimento membra cronicamente deboli e quasi paralizzate; la conseguenza (azione tardiva) è abolizione completa di ogni eccitabilità muscolare e completa paralisi; — con salassi si vuole togliere congestione persistente sia al capo che in altre parti, per es. nel cardiopalmo, ma ne consegue sempre maggior afflusso di sangue in questi organi, cardiopalmo più forte e più frequente ecc.; — la inerzia paralitica degli organi del corpo e dello spirito, unita alla mancanza di conoscenza, che si riscontra in molte forme di tifo, viene curata con nulla di meglio se non forti dosi di valeriana, poiché questa sarebbe uno dei più forti medicamenti eccitanti e stimolanti; però all’ignorante l’arte medica non era noto che questa azione era solo la prima azione e che l’organismo dopo essa ogni volta per la azione seconda cadeva in uno stato stuporoso ed inerzia maggiore ossia con certezza verso la paralisi degli organi dello spirito e del corpo (e per fino la morte); non si vedeva che appunto quei malati che venivano rimpinzati di valeriana, medicamento opposto e antipatico, sicuramente morivano.
Il medico della vecchia scuola gioisce quando costringe il polso piccolo e frequente di cachettico, già con la prima dose di digitale (nella prima azione rallenta il polso), a rallentare per più ore; ma dopo esso ritorna con doppia frequenza. Dosi ripetute e rinforzate di digitale agiscono sempre meno e finalmente non danno più diminuzione di frequenza ma invece, nell’ulteriore azione, polso incontabile; sonno, appetito e forza spariscono ed una morte improvvisa è inevitabile, se non insorge delirio.
Dunque la falsa teoria non vede quanto spesso con tali mezzi opposti (antipatici) si rinforza la malattia per l’azione secondaria, se non spesso si determinano dei guai peggiori e l’esperienza lo dimostra con terrore.

§ 60.
Quando si manifestano queste funeste conseguenze, naturalmente da aspettarsi con l’uso di medicine antipatiche, il medico comune crede di cavarsi di imbarazzo dando, ad ogni peggioramento, una dose maggiore di medicamento, ma non ottiene che sollievo fuggevole. E la necessità di dare dosi sempre più grandi del palliativo fa seguire un altro male più grande se non spesso l’inguaribilità, il pericolo di vita e di morte, ma mai la guarigione di un male esistente già da qualche tempo od inveterato.

§ 61.
Se i medici avessero meditato sui risultati dolorosi dell’applicazione di medicamenti opposti, avrebbero già da lungo tempo trovato la grande verità che « proprio nel contrario di tale cura antipatica dei sintomi morbosi si deve cercare il modo di guarire realmente e durevolmente ». Essi avrebbero intuito, che come un’azione medicamentosa opposta ai sintomi morbosi (medicina antipatica) determina solo sollievo di breve durata e di sempre poi peggioramento, necessariamente il procedimento opposto ossia l’uso di medicamenti omeopatici deve portare, per la somiglianza dei sintomi, una guarigione duratura e completa, purché al posto di grandi dosi si somministrino dosi minime.
Nonostante l’esperienza di molti secoli, i medici non riuscirono a conoscere questa grande verità salutare. Sembra che essi abbiano ignorato del tutto i risultati del trattamento terapeutico sopraccitato ed anche il fatto che nessun medico mai ottenne la guarigione permanente di un male inveterato, a meno che non includesse nella sua prescrizione qualche medicamento agente omeopaticamente. Sembra pure che essi non abbiano compreso che tutte le guarigioni rapide e perfette, compiute dalla natura senza l’aiuto dell’uomo, avvengono sempre per il sopraggiungere di una malattia nuova simile.

§ 62.
I paragrafi, che seguiranno, vogliono spiegare l’origine dei danni recati dalla terapia antipatica come pure l’efficacia del contrario ossia del metodo omeopatico. Gli esempi, scelti a tale scopo, son tolti dalle numerose osservazioni, sfuggite interamente a tutti prima che io ne richiamassi l’attenzione, sebbene esse fossero alla portata di chiunque, chiare e importantissime per l’arte medica.

§ 63.
Qualunque medicamento, come qualunque forza agente sulla vitalità, altera più o meno l’equilibrio della forza vitale e produce un certo cambiamento dello stato di salute del corpo, di maggiore o di minore durata. Questa azione si chiama « effetto primario » od « azione primaria ». Sebbene sia il prodotto del medicamento e della forza vitale, essa è dovuta, probabilmente, in prevalenza alla potenza del medicamento. La nostra forza vitale con la sua energia cerca di opporsi a tale azione. L’azione che ne deriva ha carattere conservativo per la vita, è un’attività automatica della forza vitale ed è chiamata azione secondaria o reazione.

§ 64.
Di fronte all’azione primaria delle potenze morbigene artificiali (medicine) sul nostro corpo sano la nostra forza vitale sembra comportarsi (come appare dagli esempi, che seguono) solo recettivamente (in egual modo sofferente) e come costretta ad assumere in sé le impressioni della potenza artificiale agente dall’esterno ed a modificare il suo stato. Di poi essa sembra riprendersi e

a) o creare, di fronte a questa azione primaria assunta in sé, uno stato del tutto contrario (azione contraria), che sta in rapporto con l’energia della forza vitale e con l’intensità dell’impressione primaria (azione primaria) fatta dalla potenza morbigena artificiale (medicina);

b) oppure, quando la natura non può determinare uno stato esattamente contrario all’azione primaria, la forza vitale sembra sforzarsi per prevalere, annullando le alterazioni prodotte in lei dall’esterno (dalla medicina), ristabilendo al loro posto lo stato normale (azione secondaria o azione di guarigione).

§65.
Esempi riferiti ad a) sono familiari a tutti. Una mano tuffata in acqua calda è sì dapprima più calda dell’altra non tuffata, ma estratta dall’acqua calda e ben asciugata, dopo un po’ di tempo, diventa fredda e presto più fredda dell’altra (azione secondaria). Persona, che si riscaldi con esercizi muscolari violenti (azione primaria), viene poi presa da freddo e brividi (azione secondaria). A persona riscaldata da liberazione di troppo vino (azione primaria) ogni soffio d’aria diventa il giorno seguente troppo freddo (effetto contrario dell’organismo, azione secondaria). Un braccio immerso un po’ a lungo in acqua freddissima è dapprima molto più pallido e freddo dell’altro, ma, ritirato dall’acqua ed asciugato, esso non solo diventa di poi più caldo dell’altro, tua perfino caldissimo, arrossato ed infiammato (azione posteriore o azione secondaria, azione contraria della forza vitale).
L’azione primaria di caffè forte è eccesso di svegliatezza, a cui segue poi, per lungo tempo, lentezza e sonnolenza (effetto contrario, azione secondaria), a meno che tale sonnolenza non venga rimossa temporaneamente sempre di nuovo con l’uso di caffè (palliativo di breve durata). Il sonno pesante, profondo prodotto dall’oppio (azione primaria) sarà seguito nella notte seguente da maggior insonnia (effetto contrario, azione secondaria). A costipazione prodotta dall’oppio (azione primaria) segue diarrea (azione posteriore) e dopo l’uso di purganti (azione primaria) medicamentosi, che stimolano l’intestino, si osserva per alcuni giorni costipazione e stitichezza (azione secondaria). E così sempre all’azione primaria di una potenza, in grande dose, alterante fortemente lo stato dell’organismo sano viene costantemente opposto dalla nostra forza vitale proprio il contrario (sempre che sia possibile), quale azione secondaria.

§ 66.
Un’azione secondaria evidente, opposta non è, per ragioni chiare, percettibile dopo l’azione di piccole dosi omeopatiche di potenze alteranti lo stato dell’organismo sano.
Benché, all’osservazione attenta, si percepisca l’azione primaria, l’organismo vivente reagisce (azione secondaria) solo quel tanto, che basta per ristabilire lo stato normale.

§ 67.
Queste verità inconfutabili, offerte spontaneamente dalla natura e dall’esperienza, ci spiegano il processo salutare delle guarigioni omeopatiche e d’altra parte spiegano l’assurdità delle cure palliative delle malattie a mezzo delle medicine ad azione contraria.

§ 68.
Nelle guarigioni omeopatiche l’esperienza dimostra che, dopo la somministrazione di dosi estremamente piccole di medicine, necessarie per la guarigione, ma pure sufficienti per vincere con la somiglianza dei sintomi la malattia naturale e per cacciarli dalla sfera delle sensazioni del principio vitale, dapprincipio, dopo spenti detti sintomi, può permanere ancora nell’ organismo solamente qualche po’ di malattia dovuta al medicamento. Questa però, per la tenuità enorme della dose, è di tanto breve durata e debole, tanto evanescente, che la forza vitale non trova necessario di fare, contro questa piccola alterazione artificiale del suo stato, alcuna reazione tranne l’elevamento del suo stato attuale al livello sano (necessario al ristabilimento completo). Per giungere a tale stato, dopo la scomparsa dell’alterazione morbosa, ben piccolo sforzo è richiesto.

§ 69.
Nelle cure antipatiche (palliative) succede precisamente l’opposto. Il sintomo medicamentoso opposto al sintomo morboso (per es. l’insensibilità e il torpore prodotti dall’oppio nella sua prima azione contro il dolore) non gli è estraneo, non è del tutto allopatico; è evidente una relazione tra il sintomo medicamentoso e quello morboso, ma è una relazione opposta.
La distruzione del sintomo morboso dovrebbe qui avvenire per mezzo di un sintomo medicamentoso opposto, cosa che è impossibile. La medicina antipatica scelta agisce pure sullo stesso punto malato dell’organismo, altrettanto della medicina omeopatica agente in modo simile; la prima però nasconde, quale contrario, il sintomo morboso contrario solo lievemente e lo rende impercettibile per breve tempo al nostro principio vitale, di mode che, nel primo tempo dell’azione del palliativo opposto, la forza vitale non sente nulla di sgradevole da parte di tutte due (sia da parte del sintomo morboso sia da parte del sintomo medicamentoso), poiché sembrano reciprocamente l’un l’altro sospesi nella sensazione del principio vitale e neutralizzati dinamicamente (per es. l’azione dell’oppio annebbiante il dolore). La forza vitale nei primi minuti si sente sana e non percepisce né l’annebbiamento dell’oppio né il dolore del male. Ma poiché il sintomo medicamentoso opposto al male non può prendere (come nel sistema di cura omeopatica) il posto dell’alterazione presente nella malattia quale malattia artificiale, simile, più forte ossia non può attaccare, come una medicina omeopatica, il principio vitale con una malattia artificiale molto simile e sostituirsi al posto dell’alterazione della malattia naturale, così la medicina palliativa deve lasciare la malattia inestirpata, essendo cosa completamente contraria all’alterazione della malattia. Esso rende, come già detto, con una parvenza di neutralizzazione dinamica, dapprincipio insensibile la forza vitale; si estingue però presto, come ogni malattia da medicamento, da sé e lascia non solo la malattia come era prima, ma costringe anche (poiché, come tutti i palliativi, deve essere dato a grande dose, per ottenere la calma apparente) la forza vitale a contrapporre a questa medicina palliativa uno stato opposto, l’opposto dell’azione del medicamento, dunque quello simile all’alterazione morbosa presente, inestinta, naturale, che con questa aggiunta (controazione del palliativo), portata dalla forza vitale, necessariamente si ingrandisce e rinforza.
Il sintomo morboso (questa parte singola della malattia) diventa dunque peggiore dopo la scomparsa dell’azione del palliativo e tanto peggiore, quanto maggiore dose è stata somministrata. Ossia, rimanendo allo stesso esempio, quanto maggiore quantità di oppio viene somministrata contro il dolore, tanto maggiore diventa il dolore nella sua acutezza originaria, non appena scompare l’azione dell’oppio.

§ 70.
Per quanto fino a qui esposto dobbiamo ammettere:
1) che tutto quello che il medico può trovare di veramente malato e da guarire nelle malattie consiste solo nello stato e nei disturbi del malato e nelle alterazioni del suo stato percepibili con i sensi, in altre parole consiste solo nella totalità di quei sintomi, con i quali la malattia esprime la richiesta del rimedio appropriato. Mentre d’altra parte, ogni causa interna e condizione inventata od oscura, oppure altra causa morbosa immaginaria materiale non è che un sogno vano;
2) che questa alterazione della sensibilità generale, che chiamiamo malattia, può essere riportata allo stato di salute solo con altra alterazione della sensibilità generale della forza vitale col mezzo di medicine, la cui unica forza curativa può di conseguenza solamente consistere nell’alterazione dello stato fisiologico generale ossia nella produzione specifica di sintomi morbosi. Tali fatti si riconoscono nel modo più chiaro e più evidente negli esperimenti, con medicamenti, nell’organismo sano;
3) che, per tutte le esperienze fatte, con medicine, che sono capaci di produrre nell’uomo sano uno stato di malattia diverso, estraneo alla malattia da curare, non si può mai ottenere la guarigione di malattie naturali a loro dissimili (ossia con la cura allopatica) e che nel regno della natura stessa non avviene la guarigione, la soppressione, la distruzione della malattia, se sopraggiunge una seconda malattia dissimile alla prima, per quanto essa sia forte;
4) che, pure per tutte le esperienze fatte, con medicine, che hanno tendenza a produrre nell’uomo sano sintomi morbosi artificiali contrari a qualche sintomo della malattia da curare, si può avere soltanto un sollievo molto passeggero, mai guarigione di disturbi più vecchi, sebbene piuttosto sempre conseguente peggioramento. In altre parole il trattamento allopatico puramente palliativo in mali importanti, di vecchia data, è senz’altro contrario allo scopo;
5) che infine il terzo ed ancora possibile sistema di cura (l’omeopatico), fatto con medicine capaci di produrre nell’uomo sano sintomi similissimi da contrapporre alla totalità dei sintomi di una malattia naturale, purché somministrate in dose opportuna, è il solo sistema di cura giovevole. In esso le malattie, quali stimoli dinamici producenti alterazioni, vengono sopraffatte e distrutte, nella sensibilità del principio vitale, dagli stimoli più forti, simili delle medicine omeopatiche, e devono cessare di esistere, senza aggiunta di sofferenze, completamente e stabilmente. Anche la natura ci mostra questo con l’esempio di cure accidentali, quando una malattia vecchia viene distrutta e guarita in breve tempo e per sempre col sopraggiungere di una nuova simile.

§71.
Ora, poiché non resta alcun dubbio che le malattie umane consistono semplicemente di gruppi di certi sintomi e che questi possono essere estinti e l’organismo ricondotto allo stato di salute solo col mezzo di sostanze medicinali aventi il potere di produrre sintomi morbosi artificiali simili alla malattia (su questo è basato il processo di ciascuna vera guarigione), la questione della guarigione dipenderà dalla soluzione dei seguenti problemi:
I - Come acquista il medico la conoscenza delle malattie, necessaria allo scopo di guarirle?
II - Come ottiene egli la conoscenza del potere patogeno dei medicamenti considerati quali mezzi adatti per la guarigione delle malattie naturali?
III - Come applica egli queste potenze artificiali patogene ( = medicine) nel modo più efficace per la guarigione delle malattie?

§ 72.
Quanto segue può servire per illustrare in modo generico il primo punto. Le malattie del genere umano sono di due classi : la prima comprende processi morbosi della forza vitale indisposta ad andamento rapido. Tali malattie decorrono in breve tempo, con durata variabile e sono chiamate malattie « acute ». La seconda classe abbraccia malattie, che spesso appaiono trascurabili e impercettibili al loro principio, ma che, in modo a loro peculiare agiscono deleteriamente sull’organismo vivente, alterandolo dinamicamente e minacciando subdolamente lo stato di salute a tal grado che l’energia automatica della forza vitale, designata alla conservazione della vita, può farvi solo resistenza imperfetta ed inefficace sia al loro inizio sia durante il loro sviluppo. La forza vitale, incapace di estinguerle con le proprie forze, impotente ad impedire il loro sviluppo, deve lasciarsi da loro indisporre sempre più fino alla distruzione completa dell’organismo. Queste sono le malattie « croniche » e sono originate da infezioni con miasma cronico.

§ 73.
Anche le malattie acute si dividono in parecchie classi. Un primo gruppo contiene quelle malattie, che attaccano singoli individui. Esse sono occasionate da influenze nocive, a cui il malato è stato esposto. Eccessi sessuali o privazioni sessuali, impressioni fisiche, violenti raffreddamenti o surriscaldamenti, strapazzi da lavoro manuale, eccitamenti fisici o mentali, ecc., possono produrre malattie acute febbrili. Esse in realtà non sono altro che aggravamenti passeggeri di psora latente, che ritorna spontaneamente in latenza, purché la malattia acuta non sia stata troppo violenta o non sia stata guarita rapidamente.
Un secondo gruppo comprende quelle malattie sporadiche, che colpiscono parecchie persone simultaneamente in luoghi isolati. Esse sono generate da agenti meteorici o tellurici, alla cui influenza patogena solamente poche persone per volta sono soggette. Poi viene la classe delle malattie epidemiche, che colpiscono molte persone nello stesso tempo. Esse hanno una causa comune ed i singoli casi si assomigliano tra loro. Queste malattie generalmente divengono contagiose, quando infestano regioni, affollate, dove creano febbri di specie distinta. E siccome i casi di malattia sono di origine simile, simili sono pure le loro manifestazioni. Ma abbandonate a se stesse finiscono in un periodo limitato o con la guarigione o con la morte, a seconda dei casi. Guerre carestie, inondazioni spesso fanno nascere e diffondere tali malattie. Esse spesso appaiono in forma di distinte malattie acute, che invariabilmente si presentano nella stessa forma (per cui sono conosciute sotto un nome tradizionale). Alcune di esse malattie colpiscono la stessa persona una volta sola durante la vita, come il vaiolo, il morbillo, la pertosse, la ben conosciuta scarlattina di Sydenham liscia e rosea, la parotite ecc.. Altre possono colpire, ripetutamente, la stessa persona come la peste levantina, che si ripete presso che nella stessa forma; la febbre gialla, che infetta paesi costieri, il colera asiatico ecc..

§ 74.
E’ doloroso dovere annoverare tra le malattie croniche affezioni assai comuni, che vanno considerate quale conseguenza di cure allopatiche e dovute ad uso continuativo di medicine violente, eroiche a dose abbondante e crescente. Ne sono esempio: l’abuso di calomelano, di sublimato corrosivo, di unguenti mercuriali, di nitrato di argento, di iodio e sue pomate, di oppio, di valeriana, di balsamo peruviano e china, digitale, acido prussico, zolfo e acido solforico, l’uso di purganti continuato per anni, salassi, sanguisugi, fontanelle, setoni ecc.. Tali cure cervellotiche indeboliscono l’organismo, e, se non l’esauriscono del tutto, lo scombussolano gradualmente ed abnormemente in accordo con i caratteri individuali di ogni medicina.
Durante queste cure esaurienti e deleterie la forza vitale è obbligata ad alterare l’intero organismo a difesa della vita. Di conseguenza essa diminuisce od accresce l’irritabilità e le sensibilità delle varie parti e produce ipertrofia od atrofia, rammollimento od indurimento, in certi organi con esito anche in distruzione oppure, alla fine, con esito in lesioni organiche (deformità) di parti esterne od interne. Queste sono alcune delle conseguenze degli sforzi della natura, per proteggere l’organismo dalla distruzione completa, alla quale è esposto dal continuo uso di cure aggressive con sostanze perniciose.

§ 75.
Esempi di salute rovinata da cure allopatiche sono assai comuni nei tempi moderni. Essi costituiscono le infermità croniche più pietose e più incurabili e che probabilmente non troveranno mai rimedi per essere guarite, quando abbiano raggiunto un certo grado di gravità.

§ 76.
La Provvidenza ci ha concesso di guarire mediante l’omeopatia solo le malattie naturali. Ma le malattie prodotte da indebolimento per cure cervellotiche, eseguite magari per degli anni (abuso di salassi, emaciazione da setoni e fontanelle), come pure gli storpiamenti e deformità sia esterne che interne, determinate da medicamenti perniciosi e disadatti, dovrebbero venire eliminate dalla forza vitale stessa (con l’aiuto appropriato contro un qualche miasma cronico ancora forse esistente nell’organismo), purché essa non si trovi troppo indebolita da tali pratiche dannose e sempre che abbia potuto per degli anni sopportare impunemente questo enorme gioco. Non vi è, né può esservi arte umana per guarire le anormalità innumerevoli così frequentemente prodotte dall’arte malefica dell’allopatia.

§ 77.
Il nome di malattie croniche non va dato a quelle prodotte da esposizione continuata ad agenti nocivi evitabili, da eccessi abituali nel mangiare, nel bere e di altra specie, alteranti la salute; né a quelle malattie risultanti per mancanza del necessario per vivere, dall’abitare in località malsane e eminentemente paludose; né a quelle peculiari agli abitatori di prigioni, di officine umide o di altri luoghi confinanti, sofferenti per la mancanza di aria libera e di movimento; né a quelle che sono la risultante di troppo lavoro manuale o intellettuale o di continue mortificazioni e patemi d’animo ecc.. Purché non esista un miasma cronico nell’organismo, tali stati morbosi, così acquisiti, spariscono da sé con un regime appropriato di vita e non possono essere denominati malattie croniche.

§ 78.
Malattie croniche, vere, naturali sono quelle, dovute ad un miasma cronico. Esse crescono costantemente e, nonostante il regime di vita igienico sia del corpo che della mente, non cessano di tormentare la loro vittima, con sofferenze costantemente nuove, fino alla fine della vita, se vengono lasciate a sé senza l’aiuto di rimedi specifici. Esse sono le malattie più numerose e costituiscono la sorgente di gravi sofferenze per il genere umano. Le costituzioni più robuste, le abitudini migliori, l’energia della forza vitale, per quanto grande sia, non aiutata, sono incapaci di resistere a tali malattie.

§ 79.
Finora solo la sifilide era conosciuta come una di tali malattie croniche infettive, che, se lasciata senza cura, si estingue solo con l’esistenza stessa. La sicosi (escrescenze a cavolfiore) lasciata a se stessa, senza cure, è pure inestinguibile da parte della forza vitale e finora non è stata riconosciuta come malattia interna, cronica, infettiva di natura peculiare, come è senza dubbio. Senza la conoscenza delle malattie perpetuate con l’ereditarietà di essa, la distruzione delle sole neoformazioni cutanee era considerata come la cura per l’intera malattia.

§ 80.
Enormemente più diffuso, e di conseguenza molto più importante dei precedenti, è il miasma cronico detto psora. Mentre i due primi manifestano il male specifico interno, l’uno con l’ulcera venerea, l’altro con escrescenze a cavolfiore, la psora si manifesta, dopo di aver anch’essa infettato completamente l’interno dell’intero organismo, con un’eruzione caratteristica, a volte consistente in un’eruzione della pelle, limitata ad alcuni punti, con prurito voluttuoso, insopportabile e di odore caratteristico. La psora è la causa fondamentale vera determinante di quasi tutte le altre forme morbose frequenti ed innumerevoli, che figurano in patologia come entità proprie, chiuse, che vanno sotto il nome di nevrastenia, isterismo, ipocondria, mania, melanconia, idiozia, pazzia, epilessia, convulsioni di ogni specie, rammollimento osseo (rachitismo), scrofola, scoliosi e cifosi, carie ossea, cancro, varici, formazione di tessuti di granulazione, gotta, emorroidi, itterizia, cianosi, idropisia, amenorrea; emorragia gastrica, nasale, polmonare, vescicale, uterina; asma, suppurazione polmonare, impotenza, sterilità, emicrania, sordità, cateratta ed amaurosi, calcolosi renale, paralisi, deficienze negli organi dei sensi e dolori di mille qualità ecc..

§ 81.
Il passaggio di questo agente patogeno assai antico attraverso molti milioni di uomini, nel corso di centinaia di generazioni, e lo sviluppo incredibile così raggiunto, spiegano abbastanza bene come questa malattia possa manifestarsi sotto forma di sindromi così differenti e numerose nel genere umano; lo dimostrano all’evidenza, se si considera quale quantità di circostanze concorre ordinariamente all’insorgenza di questa gran diversità di affezioni croniche (sintomi secondari della psora), senza tener conto delle varietà innumerevoli di costituzione individuale, che già tra loro diversificano all’infinito. Non fa dunque meraviglia, se organismi così differenti, compenetrati dal miasma psorico e sottoposti a tante cause nocive, interne ed esterne, che talvolta agiscono in modo permanente, offrono un numero incalcolabile di stati di deficit, di affezioni, di alterazioni, di mali, che dalla vecchia patologia, fino ad oggi, son stati a torto classificati con una quantità di nomi, definiti come quadri morbosi indipendenti.

§ 82.
Sebbene l’arte medica, con la scoperta di quella grande sorgente delle malattie croniche, anche con riguardo alla scoperta dei rimedi specifici omeopatici, specie per la cura della psora, si sia avvicinata un bel po’ alla natura della maggior parte delle malattie da guarire, pur tuttavia permane il dovere al medico omeopatico, per stabilire l’indicazione in ogni malattia cronica (psorica) da guarire, di raccogliere i sintomi apprezzabili ancor più accuratamente di prima della scoperta. Di fatti nessuna vera guarigione di questa o di altre malattie può avvenire, senza cura severamente individualizzata di ogni caso.
Solo che in questa ricerca devesi osservare, se il male è insorto acuto e rapido oppure se è cronico. Nell’acuto i sintomi principali insorgono e più presto « diventano » percepibili ai nostri sensi e quindi è richiesto minor tempo per tracciare il quadro di malattia ed anche un interrogatorio più breve del malato, (in quanto che la maggior parte dei sintomi si mette in evidenza da sé); mentre in una malattia cronica, progredita lentamente durante parecchi anni, i sintomi sono ben più difficili ad essere rilevati.

§ 83.
Questo esame individualizzato di ogni caso di malattia e di cui io qui do sola direttive generali, — alle quali l’osservatore si atterrà con discernimento in ogni singolo caso —, richiede dal medico assenza di preconcetti, sensi sani, osservazione attenta e fedeltà di riproduzione del quadro morboso.

§84.
Il malato riferisce lo sviluppo dei suoi disturbi; i parenti raccontano le sue pene, il suo comportamento e quanto notato in lui. Il medico vede, sente e rileva, coi suoi sensi, che cosa vi è di alterato e di insolito. Egli scrive tutto con le stesse espressioni usate dal malato e dai parenti. Se possibile, egli lascia che essi dicano tutto senza interromperli, a meno che non facciano divagazioni inutili. Soltanto, fin da principio, il medico raccomandi di parlare adagio, onde poter scrivere quello che ritiene necessario di annotare fra quanto dicono.

§ 85.
Ogni deposizione, sia del malato che dei parenti, va scritta distinta su una linea, di modo che i sintomi risultino scritti separatamente, gli uni sotto gli altri. Così a fianco di quelli troppo indeterminati si potrà aggiungere quanto in seguito risulterà atto a chiarirli

§ 86.
Quando il malato e chi l’assiste hanno finito di esporre quanto hanno voluto spontaneamente dire, il medico annota vicino ad ogni singolo sintomo le più precise informazioni, richiedendole nel modo che segue. Scorrendo i singoli sintomi riferitigli, domanda ad es.: quando è avvenuto questo fatto? prima dell’uso della medicina somministrata fino allora? durante la somministrazione? oppure solo alcuni giorni dopo smesso di prenderla? Che dolore, quale sensazione — descriverla esattamente — ha avuto in quella data regione? precisare in che punto era. Il dolore era intermittente oppure tenace, continuo? di che durata? A che ora del giorno, o della notte era massimo oppure cessava? La circostanza, il fatto riferito come era? descriverlo esattamente e in modo chiaro.

§ 87.
Così il medico si fa dare le spiegazioni più dettagliate relative ad ogni singolo sintomo, senza però dare al malato, già con la domanda, l’imbeccata per la risposta, o in modo che il malato abbia solo da rispondere sì o no. Altrimenti il malato viene facilitato a dire cose false o non vere o a negare cose veramente esistenti per comodità o per piacere a chi interroga, con la conseguenza di un quadro sbagliato della malattia e logicamente di una cura non corrispondente.

§ 88.
Se in questi referti spontanei non è stato fatto cenno nei riguardi di più parti o funzioni del corpo, né delle condizioni morali, il medico chiederà notizie di tali parti, di tali funzioni come pure della disposizione morale, dello spirito del paziente, ma con espressioni generiche al fine di costringere il malato a riferire da sé i dettagli relativi.

§ 89.
Quando il malato — a cui nei riguardi delle sue sensazioni (tranne che nelle malattie simulate) devesi prestare la massima fede — con il suo referto spontaneo o soltanto determinato, ha dato le necessarie delucidazioni e completato abbastanza il quadro della sua malattia, il medico può, se crede necessario (quando crede di non essere stato sufficientemente edotto), rivolgere altre domande più dettagliate.

§ 90.
Quando il medico ha finito di scrivere queste risposte, annota quanto egli stesso osserva nell’ammalato e cerca di sapere se quanto rileva esisteva o no durante il periodo di salute.

§ 91.
I sintomi accidentali e lo stato del malato, durante l’uso di un qualche medicamento, non danno il quadro puro di una malattia. Al contrario, i sintomi presentati prima dell’uso della medicina o dopo parecchi giorni che non è stata più presa danno il vero concetto della forma originaria della malattia. Appunto questa deve annotare il medico. Quando l’affezione è cronica e il malato abbia usato fino al momento dell’esame qualche medicamento, il medico può lasciare il paziente per alcuni giorni senza medicine oppure dare egli qualche cosa non contenente medicine e differire l’esame rigoroso dei sintomi morbosi, per poter rilevare quelli permanenti inalterati, e così ottenere un quadro fedele, non mistificato della malattia.

§ 92.
Ma se si tratta di malattia ad andamento acuto e grave da non permetter nessun indugio, il medico deve accontentarsi anche dei sintomi sia pure alterati da medicine, quando non abbia potuto apprendere i sintomi presenti prima dell’uso della medicina. E questo per poter almeno comporre le manifestazioni attuali del male in un unico quadro (ossia comporre il quadro della malattia originaria imita a quella da medicamento, che di solito è più grave e pericolosa della prima, per causa di medicamenti spesso contrari, e che richiede, sovente di urgenza, una giusta cura) e poter istituire la cura omeopatica adatta, per impedire che il malato abbia a morire per le medicine dannose prese.

§ 93.
Se la malattia è insorta da poco tempo, oppure se cronica, a causa di un qualche avvenimento notevole di parecchio tempo prima, il malato stesso — o almeno i parenti interrogati di nascosto — lo riferirà di propria iniziativa oppure in seguito a discrete interrogazioni.

§ 94.
Nell’esame dello stato di malattie croniche, le condizioni particolari del malato nei riguardi delle sue abituali occupazioni, del suo metodo di vita e regime dietetico, delle sue condizioni familiari ecc.. devono essere ben vagliate ed esaminate, per stabilire se in esse vi sia qualche cosa, che possa determinare o sostenere la malattia, e per poter eliminare tale causa, onde favorire la guarigione.

§ 95.
La ricerca dei sintomi, citati prima e di tutti gli altri deve quindi, nei casi di malattie croniche, esser fatta più accuratamente ed estesamente che sia possibile e spingersi fino ai più piccoli dettagli. Difatti in dette malattie i sintomi sono assai strani e non somigliano affatto a quelli delle malattie acute, e per la cura, affinché possa avere successo, mai abbastanza sono presi in considerazione. Inoltre i malati sono talmente abituati ai loro mali di vecchia data che non presentano, o ben poco, attenzione ai piccoli segni, spesso assai caratteristici e decisivi per la scelta del rimedio, ritenendoli essi come legati al loro stato normale, quasi come di salute, avendone dimenticato la vera sensazione in quindici o vent’anni di durata del male. I malati poi neanche sognano che questi sintomi secondari, queste più o meno grandi deviazioni dallo stato di salute possano aver relazione con la malattia fondamentale.

§ 96.
Per di più i malati stessi possono essere di umore molto diverso. Certuni, specialmente i così detti ipocondriaci e altri assai sensibili ed impazienti, dipingono le loro sofferenze a tinte troppo vive e descrivono i loro disturbi con espressioni esagerate, per stimolare il medico a soccorrerli prontamente.

§ 97.
Altri, al contrario, sia per pigrizia sia per pudore malinteso, sia per una specie di dolcezza o timidezza, passan sopra ad una quantità di disturbi, li descrivono con termini non chiari o li indicano come cosa di poca importanza.

§ 98.
Sebbene si debba prestare fede al malato, che espone i suoi disturbi e le sue sensazioni, e si debbano tenere in gran conto le sue proprie espressioni — che, di solito, in bocca dei familiari e infermieri vengono alterate e falsificate —, con le quali egli intende far capire i suoi mali, pur tuttavia la ricerca del vero quadro morboso completo con tutti i dettagli per ogni malattia, ma specialmente nei mali cronici, richiede, nell’indagine, circospezione massima, delicatezza, esperienza, prudenza e molta pazienza.

§ 99.
In complesso l’indagine riesce al medico più facile nelle malattie acute o altrimenti insorte da poco tempo, perché tutti gli accidenti e deviazioni della salute perduta da poco sono rimasti ancora freschi, nuovi e impressionanti nella memoria del malato e dei familiari. Il medico anche qui deve saper tutto, però ha molto meno da indagare, poiché quasi tutto gli viene riferito spontaneamente.

§ 100.
Per la ricerca dei sintomi, nei riguardi di malattie epidemiche e sporadiche, è del tutto indifferente che già prima al mondo si sia manifestato qualche caso simile sotto questo o quel nome. La novità o la particolarità di un’epidemia non determina alcuna differenza sia nell’esame sia nella guarigione, perché il medico deve premettere come nuovo e sconosciuto il quadro puro di ogni malattia dominante al momento e ricercarselo interamente, se vuole essere un vero e serio terapeuta, che mai sostituisce supposizioni ad osservazioni, mai accetta come conosciuto, sia in toto che parzialmente, un caso di malattia, affidatogli per cura, senza averlo accuratamente sviscerato in tutte le sue manifestazioni. E questo maggiormente, considerando che ogni epidemia, per molti riguardi, ha un’espressione particolare e che ad accurato esame si riscontra ben differente da tutte le epidemie pregresse ed a torto segnate con certe denominazioni, — fatta eccezione di quelle epidemie dovute a causa contagiante fissa come il vaiolo, il morbillo ecc..

§ 101.
Può darsi benissimo che il medico dal primo caso, che si verifica di una malattia epidemica, non abbia la percezione del quadro completo, poiché qualunque malattia collettiva, solo all’osservazione diligente di più casi, mette in evidenza l’insieme dei suoi sintomi e segni. Frattanto però il medico, che indaga con cura, si avvicina spesso alla realtà, in modo da poter scoprire un quadro caratteristico — e quindi trovare anche un rimedio adatto ed omeopaticamente conforme.

§ 102.
Nella trascrizione dei sintomi di parecchi casi di questa specie il quadro morboso abbozzato diventa sempre più completo, non ingrandito per aggiunta di frasi, ma più caratteristico e contenente le peculiarità di questa malattia collettiva. I segni generali (per es. mancanza d’appetito, insonnia ecc.) acquistano la loro propria ed esatta qualificazione e d’altra parte risaltano i sintomi più salienti, particolari, per lo meno più rari in questa combinazione e altrimenti propri a poche malattie, per costituire la caratteristica dell’epidemia. Tutti i malati di un’epidemia dominante hanno sì una malattia proveniente da una stessa causa e perciò una malattia uguale; ma tutto il complesso di una malattia epidemica e la totalità dei suoi sintomi (la cui conoscenza è necessaria per la visione del quadro morboso completo, e per poter scegliere il medicamento omeopatico più adatto per la totalità dei sintomi) non possono venir osservati su un solo malato, ma devono venire ricavati e rilevati in modo totalitario dalle sofferenze di più malati, di costituzione fisica diversa.

§ 103.
Con lo stesso metodo, ora descritto per le malattie epidemiche, che sono per lo più acute, dovettero da me essere studiate, nella gamma dei loro sintomi, e più diligentemente di quanto finora fatto, anche le malattie miasmatiche croniche, nella loro essenza invariabili, soprattutto poi e principalmente la psora. Anche in questo tipo di malattia un malato porta una parte di sintomi, un secondo, un terzo malato ecc. a loro volta presentano alcuni altri segni, che costituiscono pure un frammento della totalità sintomatologica, che forma il complesso dei segni di una e stessa malattia. Solo dallo studio di moltissimi casi si è potuto stabilire la totalità di tutti i sintomi appartenenti a una data malattia miasmatica cronica e specie della psora. Senza la visione totalitaria di tutti i sintomi e del quadro completo della malattia, non potevano essere ricercate le medicine, che omeopaticamente guarivano tutta la malattia, (medicine antipsoriche), medicine che nello stesso tempo costituiscono i veri rimedi individuali dei malati sofferenti di uguali malanni cronici.

§ 104.
Quando si è diligentemente raccolta in iscritto la totalità dei sintomi preminenti e caratteristici di un caso di malattia o in altre parole si è esattamente designato il quadro di una malattia di qualsiasi specie essa possa essere, s’è fatto la parte più difficile del lavoro. Il medico, quindi, nella cura, specialmente delle malattie croniche, ha davanti a sé sempre il materiale da studiare in tutte le sue parti e può rilevare i segni caratteristici e può opporre a questi, ossia alla malattia stessa, una potenza morbigena artificiale, simile, scelta tra le medicine omeopatiche sulla guida dei sintomi dei medicamenti conosciuti nelle loro azioni patogenetiche pure. E, durante la cura, a seconda dell’effetto favorevole del medicamento e del nuovo stato del malato, egli tralascia di curarsi, nel nuovo reperto di malattia, di quel gruppo di sintomi, già annotato prima, che è migliorato, e tiene conto invece di quei sintomi ancora presenti oppure di quanto sintomatologicamente nuovo si è aggiunto.

§ 105.
Il secondo dovere di un vero medico riguarda la scelta di quanto necessario per guarire la malattia naturale, la ricerca della forza patogenetica delle medicine, per potere, per la cura sceglierne una tra esse, che, col suo complesso sintomatologico, possa costituire una malattia artificiale più simile che sia possibile alla totalità dei sintomi preminenti della malattia naturale da guarire.

§ 106.
E’ necessario sia conosciuta ogni azione patogenetica delle singole medicine. Ossia devono essere stati prima osservati tutti i sintomi morbosi e i cambiamenti dello stato di salute, che ogni medicamento è capace di produrre specialmente nell’uomo sano, prima che si possa sperare di trovare e scegliere, fra le medicine così studiate, quelle omeopaticamente corrispondenti alla maggior parte delle malattie naturali.

§ 107.
Se a scopo di ricerca, si somministrano medicamenti salo a persona malata, sia pure in modo semplice e uno per volta, non si vede nulla o poco di preciso nei riguardi della loro azione pura, perché le alterazioni da aspettarsi, specie dello stato di salute, sono combinate con i sintomi della malattia naturale presente. Solo di rado possono essere osservati, in modo evidente, gli effetti puri dei medicamenti.

§ 108.
Non vi è nessun altro modo per esperimentare con certezza le azioni proprie dei medicamenti sullo stato di salute dell’uomo, non vi è nessun altro mezzo e più naturale, per raggiungere tale scopo, di quello di dare a uomini sani, a scopo di esperimento, in dose modica, i singoli medicamenti per osservare le alterazioni, i sintomi, i segni della azione portata da loro, soprattutto nello stato fisico e psichico, ossia per conoscere gli elementi di malattia, che essi medicamenti sono in grado e possono determinare, perché, come già detto, ogni azione curativa dei medicamenti è posta unicamente nella loro capacità di modificare lo stato di salute dell’uomo e tale azione risalta dall’osservazione di queste modificazioni.

§ 109.
Per primo battei questa via, con tenacia senza pari, che mi proveniva soltanto dalla assoluta convinzione della grande verità a beneficio dell’umanità, che unicamente con l’uso delle medicine omeopatiche è possibile la guarigione sicura delle malattie umane.

§ 110.
Inoltre notai che le azioni di agenti morbigeni, che precedenti studiosi di sostanze medicamentose avevano osservato in casi di grandi dosi, che per errore, per uccidere sé o altri o per altre circostanze, erano giunte nello stomaco di persone sane, coincidevano molto con le mie osservazioni fatte negli esperimenti con le stesse sostanze su me stesso e in altre persone. Detti autori citano questi casi come storie di avvelenamenti e a dimostrazione del pericolo di tali sostanze violente, per lo più per mettere in guardia di fronte ad esse, ma anche per vantare la loro arte, se in questi casi pericolosi, un po’ alla volta, con i mezzi da loro usati, hanno ottenuto la guarigione, o finalmente per giustificare la morte di persone, da loro curate, con la pericolosità di queste sostanze, che essi hanno poi denominato veleni. Ma nessuno di questi autori ha sospettato, che i sintomi, citati da loro solo come prova della tossicità e perniciosità, di tali sostanze fossero sicura indicazione della potenza di tali droghe e potessero togliere, guarendo, disturbi simili presenti in malattie naturali, che questi loro stimoli di malattia fossero indicazione della loro azione guaritrice omeopatica, che solo nell’osservazione di tali alterazioni dello stato di salute, che determinano i medicamenti nei corpi sani, stesse l’unica ricerca possibile delle loro forze medicamentose, mentre né a priori con sofisticheria cavillosa, né dall’odore, dal sapore o dall’aspetto delle medicine, né dalla loro lavorazione chimica, né dal loro uso, sia di singolo medicamento che di più medicamenti in miscuglio (ricetta), è possibile conoscere le energie curative, proprie dei medicamenti. Non si è avuto sentore che le storie di malattie da medicine avrebbero un’altra volta costituito i primi fondamenti della vera materia medica pura, materia medica, che fino ad ora era basata solo su false supposizioni e invenzioni ossia da considerare come non esistente.

§ 111.
La coincidenza delle mie osservazioni, riguardanti le azioni pure di medicamenti con quelle di autori precedenti, — sebbene citate indipendentemente da scopi terapeutici —, e la coincidenza stessa di questi reperti con altri di questa specie di autori diversi ci convince facilmente che i medicamenti, nelle loro azioni morbigene sul corpo umano sano, agiscono secondo leggi naturali determinate, eterne, ed ogni medicamento, per virtù di questi sintomi di malattia determinati e sicuri, che è capace di sviluppare, ne produce di particolari a seconda della sua specificità.

§ 112.
Da descrizioni precedenti di effetti così spesso pericolosi per la vita, svolti da medicamenti presi in dose eccessiva, si apprendono stati insorti non sul principio, ma verso la fine di casi così tragici e che sul principio erano di natura completamente opposta. Questi sintomi opposti a quelli dell’effetto primario, ossia contrari all’azione svolta dai medicamenti sulla forza vitale, sono espressione della reazione del principio vitale dell’organismo e costituiscono l’effetto secondario. Tuttavia questi sintomi negli esperimenti, con somministrazione di dosi modiche, in corpi sani solo raramente o quasi mai sono percepibili; a dosi piccole mai. Contro di essi l’organismo vivente, nelle cure omeopatiche, sviluppa solo tanta reazione, quanto basta per riportare lo stato di salute alla norma.

§ 113.
Solo i narcotici sembrano fare eccezione, perché essi nell’effetto primario tolgono sia la eccitabilità che la sensibilità. Sicché con essi più spesso, anche a dosi modiche, su corpi sani, si nota una maggiore sensibilità (e una maggiore eccitabilità) durante l’effetto secondario.

§ 114.
Ad eccezione dei narcotici, con gli esperimenti, in corpi sani, a dosi modiche di medicamenti, si mettono in evidenza solo gli effetti primari ossia quei sintomi, con i quali il medicamento altera lo stato di salute dell’uomo e porta nell’organismo uno stato morboso che dura un tempo più o meno lungo.

§ 115.
Fra questi sintomi, per alcuni medicamenti, ve ne sono non pochi che mutano; per es. sintomi comparsi sono completamente opposti a sintomi che seguiranno oppure hanno modalità opposte. Pur tuttavia questi sintomi non sono da considerare veramente come effetto secondario o solo come reazione della forza vitale, ma solo come stato variante di diversi parossismi dell’effetto primario; si chiamano effetti varianti o fluttuanti.

§ 116.
Alcuni sintomi da medicamenti insorgono in molti individui più di spesso; altri più di raro oppure solo in pochi individui, altri soltanto in pochissime persone sane.

§ 117.
A quest’ultimo gruppo appartengono le così dette idiosincrasie, sotto il qual nome si intendono alcune costituzioni che, sebbene di solito sane, pur tuttavia hanno la tendenza di pervenire, per effetto di certi agenti, (che in molti altri uomini non sembrano avere alcun influsso né determinare alcuna alterazione) in uno stato più o meno morboso. Però questa mancanza di azione su alcune persone è solo apparente. Difatti per determinare le idiosincrasie, come pure per determinare tutte le altre alterazioni morbose nell’uomo è necessaria la presenza di una forza nella sostanza, che agisce, e della disposizione del principio vitale, che vivifica dinamicamente l’organismo, di essere stimolato da questa forza. Di conseguenza, malattie importanti, che si hanno in casi di idiosincrasia, non possono essere attribuite soltanto a queste speciali costituzioni, ma vanno considerate anche come effetto di medicamenti, che hanno il potere di agire su ogni organismo umano; solo che poche costituzioni sane hanno disposizione a lasciarsi trasportare in uno stato morboso così imponente. Che queste potenze agiscano realmente su ogni organismo è dimostrato dal fatto che esse giovano, quali medicamenti omeopatici, in tutte le persone malate di sintomi morbosi simili a quelli che esse stesse fanno insorgere (sebbene apparentemente solo in persone, che presentano idiosincrasie).

§ 118.
Ogni medicamento determina nell’uomo effetti particolari, che nessuna altra sostanza medicamentosa, di specie diversa, può dare in modo così esatto.

§ 119.
Come certamente ogni specie di pianta è diversa da ogni altra per aspetto esterno, per modo di vita ed accrescimento, per sapore ed odore, come sicuramente ogni minerale, ogni sale è diverso dagli altri per le sue qualità (che, già da sole, avrebbero dovuto evitare ogni confusione) esterne, interne, fisiche e chimiche, così certamente tutte queste sostanze, vegetali e minerali, hanno effetti patogenetici — e quindi anche curativi — diversi e tra loro differenti. Ognuna di queste sostanze agisce in modo proprio, diverso, ma ben determinato, che elimina qualunque confusione, e determina alterazioni dello stato di salute e della cenestesi dell’uomo.

§ 120.
Dunque scrupolosamente, assai scrupolosamente le medicine, dalle quali dipende la vita e la morte, la malattia e la salute degli uomini, devono venire differenziate fra loro ed esaminate su corpi sani con accurate ed esatte ricerche, nei riguardi della loro potenza e dei loro veri effetti. Questo per poterle conoscere esattamente e per evitare, nel loro uso nelle malattie, ogni errore, poiché solo una scelta giusta del medicamento può ridare in breve tempo e durevolmente il maggiore dei beni terrestri, il benessere del corpo e dello spirito.

§ 121.
Nell’esame dei medicamenti, nei riguardi del loro effetto sull’organismo sano, si deve considerare che le sostanze forti, così dette eroiche, già in dose piccola, sogliono produrre alterazioni dello stato di salute perfino in persone robuste. Per lo stesso esame, medicamenti di potenza minore devono venire somministrati a dose più elevata; ma quelli più deboli devono, per essere apprezzato il loro effetto, venire sperimentati in persone sane, ma delicate, sensibili, eccitabili.

§ 122.
Per questi esperimenti — dai quali dipende, la sicurezza di tutta la terapia e il bene di tutte le generazioni umane future — non si devono usare se non medicamenti, che siano esattamente conosciuti e diano pieno affidamento per la loro purezza, genuinità ed efficacia.

§ 123.
Ognuna di queste medicine deve venir presa in forma assai semplice e non artefatta; le piante nostrali sotto forma di succo, spremuto di fresco, mescolato con un po’ di alcool, per impedirne la putrefazione; i vegetali esotici come polveri oppure sotto forma di tinture alcooliche, preparate di recente, ma poi diluite con alcune parti di acqua; le sostanze saline gommose sciolte in acqua subito prima dell’ingestione. Se si può avere la pianta, per sua natura debole di energia, solo in forma solida, per esperimento va usato l’infuso, nel quale si estraggono le sostanze attive versando acqua bollente sulla pianta sminuzzata. L’infuso va bevuto subito, ancora caldo, perché tutti gli infusi acquosi di vegetali, senza aggiunta di alcool, fermentano rapidamente e putrefanno e allora perdono la loro azione medicinale.

§ 124.
Ogni medicina deve essere usata per esperimento unicamente sola, purissima, senza aggiunta di qualsiasi altra sostanza, e senza che alcun altro medicamento venga preso nello stesso giorno e nei giorni seguenti, fino a quando si vogliono osservare gli effetti della medicina.

§ 125.
Durante il periodo di tempo che dura l’esperimento, deve essere osservato un conveniente regime dietetico, nutriente e semplice, possibilmente senza droghe, evitando contorni verdi, radici, ogni insalata ed erbaggi, che tutti sempre (comunque siano preparati) contengono sostanze alteranti l’effetto dei medicamenti. Le bevande siano le usuali di ogni giorno, però il meno possibile eccitanti.

§ 126.
La persona scelta per l’esperimento deve anzitutto essere nota per credibilità e coscienziosità. Durante l’esperimento deve evitare qualunque assidua applicazione dello spirito e del corpo, ogni intemperanza ed eccesso sessuale; affari urgenti non devono distoglierla dalla necessaria osservazione. La persona sperimentata deve rivolgere, con buona volontà, accurata attenzione su se stessa e nel medesimo tempo rimanere indisturbata; e, sana di corpo, deve pure possedere tanta intelligenza da poter definire e descrivere con espressioni chiare le sue sensazioni.

§ 127.
I medicamenti devono venire esperimentati in persona sia di sesso maschile che femminile, per mettere in evidenza le differenze di effetto nei riguardi del sesso.

§ 128.
Le esperienze più recenti hanno insegnato che le sostanze medicamentose, allo stato greggio, prese da persone in esperimento, per l’esame dei loro effetti specifici, non manifestano la completa pienezza delle forze insite come quando invece esse, vengano ingerite potentizzate in alte diluizioni con conveniente triturazione e succussione. Con questo semplice trattamento le forze nascoste allo stato greggio e quasi dormienti vengono sviluppate in modo incredibile e risvegliate ad attività. Così ora serve ottimamente per gli esperimenti, anche con sostanze contenenti forze medicamentose deboli, la somministrazione giornaliera di piccolissimi granuli, da quattro a sei al giorno, della trentesima potenza; i granuli si prendono a digiuno, per parecchi giorni, imbevuti con un po’ d’acqua o meglio sciolti, agitando bene, in una quantità più o meno grande di acqua.

§ 129.
Quando con una tale somministrazione si manifestano soltanto effetti deboli, si possono prendere alcuni globuli in più ogni giorno, fino a che gli effetti si rendono più chiari e più forti, fino a quando le alterazioni dello stato di salute sono divenute più sensibili. Difatti poche persone vengono subito attaccate fortemente da un medicamento. A questo riguardo esistono grandi differenze:
una medicina ritenuta assai forte, a dosi modiche a volte non produce alcun effetto in una persona apparentemente debole, mentre parecchie altre medicine, molto più deboli, determinano effetti abbastanza forti. E vi sono pure persone assai forti che risentono sintomi di malattia ben importanti da medicine in apparenza ad azione mite e sintomi assai miti da medicine più forti ecc.. Siccome questo a priori non si conosce, è molto consigliabile in ogni caso cominciare con dosi piccole, aumentare gradualmente di giorno in giorno la dose.

§ 130.
Se si dà fin da bel principio per la prima volta una dose ben forte di medicamento, si ha il vantaggio che la persona sperimentata percepisce il susseguirsi dei sintomi e può indicare esattamente il momento d’insorgenza di ognuno, cosa molto importante per conoscere il carattere della medicina, poiché l’ordine degli effetti primari come pure quello degli effetti fluttuanti avviene in modo inconfondibile. Anche una dose molto modica basta spesso per una prova, quando la persona dell’esperimento abbia fine sensibilità e sia il più possibile attenta al suo stato di salute. La durata dell’azione di un medicamento diventa nota solo dal confronto di parecchi esperimenti.

§ 131.
Se si deve, allo scopo di ottenere solo qualche conoscenza, somministrare per alcuni giorni di seguito la stessa medicina in dose sempre crescente, si conosceranno bensì i vari stati morbosi, che questo medicamento generalmente determina, ma non il modo di succedersi. Di fatti una dose successiva spesso toglie questo o quello dei sintomi dovuti ad una dose precedente o portando la guarigione o facendo insorgere uno stato contrario. Tali sintomi devono venire annotati fra parentesi come dubbi, fin quando esperimenti successivi avranno dimostrato trattarsi o di reazione e azione secondaria dell’organismo o di azione variante del medicamento.

§ 132.
Quando invece si vogliano ricercare soltanto sintomi per se stesi, di mi medicamento, specialmente se di azione debole, indipendentemente dall’ordine di loro successione e dalla durata di azione di quella sostanza medicamentosa, è preferibile la somministrazione di tale medicamento per alcuni giorni di seguito ed ogni giorno a dose più elevata. Così facendo si metterà in evidenza l’azione anche di sostanze debolissime e sconosciute, soprattutto se si esperimenta in soggetti sensibili.

§ 133.
Accusando qualche disturbo, per causa del medicamento, per poter stabilire con esattezza quale sintomo esso rappresenti, è utile anzi necessario mettersi in diverse posizioni ed osservare se il fenomeno apparso aumenta, diminuisce o scompare con il movimento della parte sofferente, con il camminare per la stanza o all’aperto, col porsi in posizione eretta o giacendo, se ritorna con la posizione di prima; se il sintomo subisce cambiamenti mangiando, bevendo o con qualche movimento, oppure quando si parla, si sternuta, si tossisce o per una qualunque funzione del corpo. Si deve pure stabilire in quale ora del giorno o della notte si manifesta a preferenza. Da tutte queste modalità risulteranno evidenti le caratteristiche specifiche di ogni sintomo.

§ 134.
Tutti gli agenti esterni, ed in principale modo i medicamenti, hanno la proprietà di determinare, nelle condizioni normali dell’organismo vivente, dei cambiamenti particolari a ciascuno di loro per determinate modalità. Ma i sintomi propri di una medicina non si sviluppano tutti e nemmeno tutti contemporaneamente, né nel corso di uno stesso esperimento; ma, in un individuo, una volta ne compaiono alcuni, mentre n un secondo e terzo esperimento ne compaiono altri; in altra persona si presentano a preferenza questi o quei sintomi. Così può darsi che nella quarta, ottava, decima persona, su cui si fa l’esperimento, si manifestino alcuni o parecchi dei fenomeni, che si sono notati nella seconda, sesta o nona persona e così via. Inoltre i fenomeni non appaiano ogni volta alla stessa ora.

§ 135.
La totalità di tutti gli elementi morbosi che un farmaco può sviluppare, sarà ottenuta quasi completamente solo attraverso molteplici osservazioni di esperimenti eseguiti su molti organismi adatti e diversi, in persone di ambo i sessi. Si può avere la certezza di avere esaminato a fondo un medicamento, nei riguardi dello stato morboso, che può determinare, o meglio delle sue facoltà di modificare lo stato di salute dell’uomo, soltanto quando, in ripetuti e successivi esperimenti, si notano solo poche cose nuove, rispetto a quelle già osservate, e vengono percepiti quasi sempre gli stessi sintomi, osservati anche da altre persone.

§ 136.
Come già detto, un farmaco, somministrato in stato di salute, può determinare la comparsa di tutte le alterazioni, di cui è capace, non in una sola persona, ma soltanto attraverso esperimenti in molte persone, diverse fra loro per costituzione e qualità fisiche.
Pur tuttavia, ogni farmaco ha la tendenza di produrre tutti i sintomi in ogni uomo, secondo una legge di natura eterna ed immutabile. In virtù di questa legge, il farmaco sviluppa tutti i suoi effetti (anche quelli che raramente determina in individui sani) in ogni uomo, che sia in stato di malattia con sintomi simili a quelli, che il farmaco può produrre. In tal caso, esso medicamento, anche somministrato in dose minima, se scelto omeopaticamente, genera silenziosamente uno stato artificiale, simile alla malattia naturale, che libera e guarisce il malato dal silo male primitivo, in modo rapido e duraturo (omeopatico).

§ 137.
Quanto più tenui sono le dosi del medicamento, che si vuoi sperimentare senza eccedere certi limiti, tanto più evidenti saranno gli effetti primari, che sono i più importanti a conoscersi, e soltanto questi si manifesteranno, mentre non si avranno effetti secondari o reattivi da parte del principio vitale. Avverrà così, se la persona, su cui si sperimenta, sarà amante della verità, moderata in tutto, con sensibilità fine e capace della massima attenzione, allo scopo di facilitare le osservazioni.
Al contrario, usando dosi eccessive, non solo si avranno effetti secondari tra i sintomi, ma gli effetti primari si manifesteranno così precipitosi, violenti e confusi, da rendere impossibile una osservazione esatta; senza calcolare il pericolo di danno, che può sorgere per tale esperimento e che non può essere indifferente a chi rispetti l’umanità e consideri come fratello anche il più umile tra il popolo.

§ 138.
Se si sono osservate le premesse necessarie per un esperimento:
buono e puro, tutti i disturbi, gli accidenti e le alterazioni dello stato di salute della persona sperimentata, durante la durata di azione del medicamento, derivano solo da esso farmaco e come sintomi devono quindi considerarsi ad esso propriamente appartenenti e come tali essere annotati, anche se il soggetto avesse, molto tempo prima, avvertito su sé fenomeni simili. La ricomparsa degli stessi, in seguito all’esperimento, dimostra soltanto che questo individuo, in virtù della sua propria costituzione, è terreno eccellente per il loro sviluppò. Nel caso nostro sono effetto del medicamento, perché essi non possono essere comparsi da sé, mentre un farmaco potente domina l’organismo.

§ 139.
Quando il medico non abbia preso egli stesso il medicamento a scopo di esperimentarlo, ma l’abbia somministrato ad altra persona, questa dovrà annotare chiaramente le sensazioni provate, i disturbi, i fenomeni e le alterazioni dello stato normale di salute, al momento stesso che le percepisce. Indicherà pure il tempo trascorso tra l’ingestione del farmaco e l’insorgenza di ogni sintomo, e, se questo permane a lungo, il tempo di durata.
Il medico leggerà la esposizione, in presenza della persona sperimentata, subito alla fine dell’esperimento, oppure, se la prova durerà più giorni, ogni giorno, con lo scopo di poter fare delle interrogazioni nei riguardi delle qualità dei singoli sintomi, mentre la memoria della persona è ancora fresca. Egli aggiungerà i dati così ottenuti e, se necessario, vi porterà le eventuali correzioni.

§ 140.
Se il soggetto non sa scrivere, dovrà il medico interrogare giornalmente come sono andate la cose. Egli dovrà soprattutto badare che l’individuo esperimentato faccia un’esposizione spontanea di quanto ha percepito, senza invenzioni né congetture; e interrogherà quanto meno è possibile. E tutto farà con le avvertenze già esposte trattando del rilievo del reperto e del quadro delle malattie naturali.

§ 141.
Ma di tutte le esperienze, relative agli effetti puri, che medicamenti semplici producono sull’uomo normale, e agli stati morbosi artificiali e ai sintomi generati nei soggetti sani, le migliori saranno sempre quelle, che un medico sano e perspicace, senza preconcetti e cosciente, istituirà su se stesso con tutte le precauzioni ed avvertenze già indicate. Egli sa con la massima certezza quanto ha percepito nell’esperimento su se stesso.

§ 142.
Ma come si possa, sia pure in malattie, come le croniche, che per lo più sono costanti nei sintomi, differenziare i disturbi della malattia fondamentale da alcuni sintomi propri del farmaco semplice usato per cura, è oggetto di critica fine e superiore, da rimettere solo a chi sia maestro nell’arte di osservare.

§ 143.
Quando, in questo modo, si avrà esperimentato nell’uomo sano un numero ragguardevole di farmaci semplici e si saranno annotati con cura e fedeltà tutti gli elementi di malattia ed i sintomi, che essi medicamenti, quali potenze di malattie artificiali, sono capaci di produrre, allora soltanto si avrà una vera Materia Medica; ossia una raccolta degli effetti genuini, puri, infallibili delle sostanze medicamentose semplici; un codice naturale, nel quale sono contenuti una quantità notevole di cambiamenti dello stato di salute e di sintomi, come sono apparsi all’attenzione dell’osservatore.
Qui si troveranno gli elementi (omeopatici) di malattie artificiali, che un giorno dovranno guarire malattie naturali simili, in altre parole vi si troveranno stati morbosi artificiali, che costituiranno per le malattie naturali simili gli unici veri rimedi, omeopatici e quindi specifici per effettuare una guarigione sicura e stabile.

§ 144.
Da questa Materia Medica sia assolutamente escluso tutto quanto possa essere supposizione, asserzione gratuita od invenzione. In essa vi sia soltanto il linguaggio puro della natura interrogata con diligenza ed onestà.

§ 145.
Certamente una raccolta assai notevole di medicamenti, conosciuti nella loro azione pura, che svolgono sullo stato di salute del corpo umano, può fornire per ognuno degli infiniti stati di malattia naturale, per ogni infermità, un rimedio omeopatico, un simile, che vi corrisponde, di potenza patogena artificiale curativa.
Frattanto anche oggi — grazie alla veridicità dei sintomi e alla ricchezza di elementi di malattia, che ciascun medicamento potente ha lasciato finora osservare negli esperimenti su organismi sani — rimangono solo pochi casi di malattia, per i quali non si trovi, un rimedio abbastanza omeopatico fra quanti fin qui esaminati nella loro azione pura, rimedio, che porti nuovamente lo stato di salute senza speciali disturbi, in modo dolce, sicuro e durevole; comunque in modo più certo e più sicuro di quanto possa fare l’arte terapeutica allopatica con i suoi metodi generali e speciali, con le sue miscele ignote, che solo alterano e peggiorano le malattie croniche, ma non possono guarire, che piuttosto che accelerare ritardano la guarigione di quelle acute e spesso anche portano pericolo di vita.

§ 146.
Il terzo punto nella missione di un vero terapeuta riguarda il modo più esatto di usare i medicamenti, studiati nella loro azione pura sull’uomo sano, allo scopo di raggiungere la guarigione omeopatica delle malattie naturali.

§ 147.
Fra le medicine, studiate nella loro azione di alterare lo stato di salute dell’uomo, quella, che, nei suoi sintomi conosciuti, sarà più simile alla totalità dei sintomi di una data malattia naturale, sarà per essa il rimedio omeopatico più adatto e più giusto. In essa si sarà trovato lo specifico di quella data malattia.

§ 148.
La malattia naturale non si deve mai considerare come una qualche materia dannosa, avente sede nell’interno dell’organismo o esternamente ad esso, ma come l’effetto di una potenza immateriale, nemica, che disturba, come con una specie di contagio, il principio vitale, dominante misterioso in tutto l’organismo, nelle sue funzioni istintive, e che, quale spirito maligno, tormenta e costringe a generare, nel corso della vita, certi mali e disordini, che si chiamano (sintomi) malattie. Ma se al principio vitale viene tolta la sensazione dell’azione dell’agente nemico, che cercava di portare e sostenere una alterazione, in altre parole se il medico fa agire sul malato una potenza artificiale (medicina omeopatica), capace di portare modificazioni patogene simillime sul principio vitale, che superi sempre, anche in dose minima, la forza della malattia naturale simile, la sensazione dell’agente patogeno primitivo viene a cessare per il principio vitale, per l’azione di questa malattia artificiale simile più forte. Da questo momento il male non esiste più per il principio vitale, è distrutto. Se, come si è detto, la medicina omeopatica è stata bene scelta, la malattia naturale acuta, se insorta da poco, scompare, inosservata, non raramente in poche ore; una malattia naturale più vecchia (per l’azione di alcune dosi della stessa medicina a potenza più alta oppure di altra medicina omeopatica scelta più simile) impiega invece a scomparire maggior tempo e con segni di malessere. Spesso il passaggio allo stato di salute, di guarigione avviene inosservato e rapido. Il principio vitale si sente di nuovo libero e capace di continuare la vita dell’organismo, come una volta, in stato di salute, e le forze ritornano.

§ 149.
Le infermità dì vecchia data (specialmente se complicate) richiedono, per guarire, molto maggior tempo. Soprattutto le malattie croniche insorte per causa di medicamenti, somministrati per l’imperizia allopatica, e sovrapposte alle malattie naturali rimaste non guarite, richiedono, per la guarigione, molto più tempo; esse spesso sono anche incurabili a causa della temeraria sottrazione di forze e di umori al malato (Con sottrazioni sanguigne, purganti ecc.), a causa della somministrazione molto prolungata di alte dosi di sostanze violente, date nella falsa e vuota presunzione di giovare, a causa di bagni minerali prescritti poco opportunamente ecc.. Tutte queste cause costituiscono le ordinarie prodezze dell’allopatia con le sue cure.

§ 150.
Se qualcuno lamenta uno o due disturbi, insorti di recente, il medico non deve considerarli come una malattia vera e propria, da richiedere una cura medicamentosa seria. Basterà una correzione del regime dietetico e del tenore di vita per far scomparire questa indisposizione.

§ 151.
Se il paziente lamenta alcuni disturbi violenti, il medico indagatore scoprirà che anche altri, molti altri segni di malattia, sebbene piccoli, vi sono e che si potrà fare un quadro completo d malattia.

§ 152.
Quanto più grave è una malattia acuta, essa presenta sintomi tanto più numerosi e più evidenti; tanto più sicura è la scelta del medicamento adatto, quanto più grande è il numero dei medicamenti conosciuti nelle loro azioni positive.
Fra le serie dei sintomi di molti medicamenti se ne troverà senza difficoltà una con i cui singoli elementi di malattia si potrà comporre un quadro morboso artificiale simile alla totalità dei sintomi della malattia naturale. Tale medicamento sarà il rimedio desiderato.

§ 153.
Nella ricerca del rimedio omeopatico, specifico, ossia in questo confronto tra la totalità dei segni della malattia naturale e le serie dei sintomi dei medicamenti a nostra disposizione, allo scopo di trovare la giusta potenza morbosa artificiale, per guarire il male secondo la legge dei simili, devonsi tenere presenti in modo particolare e quasi esclusivo, i sintomi più salienti, quelli particolari, quelli non comuni, quelli caratteristici della malattia.
Infatti il rimedio cercato, per essere il più adeguato alla guarigione, deve appunto avere, nella serie dei suoi sintomi, sintomi che siano assai simili a quelli caratteristici della malattia che si cura.
I sintomi generali e indeterminati, come inappetenza, mal di capo, debolezza, sonno inquieto, malessere ecc., per avere carattere generale e non essere meglio specificati, meritano minor attenzione, poiché essi i riscontrano quasi in ogni malattia e in ogni medicamento.

§ 154.
Quando il quadro di malattia, formato dalla serie dei sintomi del medicamento più adatto, contiene il maggior numero dei sintomi corrispondenti a quelli della malattia da guarire, di quelli particolari, non comuni, caratteristici ed aventi la massima similitudine, il medicamento scelto è il rimedio più adatto, per detto caso di malattia è il rimedio omeopatico, specifico. Una malattia, che sia recente, di solito, già con la prima dose di medicamento verrà tolta e guarita senza notevoli disturbi.

§ 155.
Io dico: senza notevoli sofferenze. Infatti somministrando questo medicamento omeopatico, assai adatto, sono in azione solo i suoi sintomi corrispondenti a quelli della malattia; essi si sostituiscono nell’organismo, ossia nelle sensazioni del principio vitale, ai sintomi più deboli della malattia naturale, e, superandoli, li distruggono. Invece i sintomi rimanenti, spesso assai numerosi della medicina omeopatica, che nel caso della malattia in esame non hanno applicazione, tacciono in modo assoluto. Di loro non si nota nulla nello stato del malato, che va di ora in ora migliorando. Questo perché la dose omeopatica, necessaria, usata è troppo debole per produrre gli altri suoi effetti non omeopatici nelle parti del corpo libere dalla malattia. Essa, invece, produce soltanto i sintomi omeopatici nelle regioni del corpo già irritate e sconvolte dai sintomi simili della malattia. In tal modo vien fatta sentire al principio vitale malato solo l’azione simile, ma più forte del medicamento, con la quale la malattia originaria viene spenta.

§ 156.
Tuttavia è ben difficile che un medicamento omeopatico, anche evidentemente ben scelto, in special modo se somministrato in dose non troppo piccola, non dia qualche disturbo sia pure di poca entità, qualche nuovo piccolo sintomo durante la sua azione in soggetti molto eccitabili e sensibili. Infatti è quasi impossibile che medicamento e malattia nei loro sintomi si coprano così esattamente come fossero due triangoli di uguali lati ed uguali angoli. Ma questa perturbazione insignificante (nei casi buoni) viene facilmente neutralizzata dall’energia propria (autocrazia) dell’organismo vivente, e da ammalati non eccessivamente delicati neppure viene sentita. Ciò nonostante si stabilisce la guarigione, se essa non viene ostacolata nel malato da azioni di medicamenti estranei, da errori nel regime di vita o da passioni.

§ 157.
Sebbene sia certo che un medicamento omeopatico, ben scelto, per la sua dosatura appropriata e piccola, faccia scomparire tranquillamente e distrugga la malattia acuta simile, senza che insorgano altri sintomi non omeopatici, ossia senza determinare nuove e notevoli sofferenze, pur tuttavia esso suole (sebbene solo a dose non convenientemente piccola), subito dopo l’ingestione — nella prima o nelle prime ore —, determinare un piccolo aggravamento (che dura anche parecchie ore, se la dose è piuttosto elevata), che assomiglia alla malattia tanto che il malato lo ritiene come un aggravamento del proprio male. In realtà si tratta unicamente di una malattia da medicamento, estremamente simile alla malattia naturale, ma di intensità maggiore.

§ 158.
Questo piccolo aggravamento omeopatico non è raro nelle prime ore, e dà l’ottimo pronostico che la malattia acuta verrà troncata già dalla prima dose —, perché la malattia sviluppata dal medicamento deve essere logicamente un po’ più forte della malattia naturale, che si vuol curare, per poterla vincere e distruggere. Nella stessa guisa che una malattia naturale può distruggere e superare un’altra simile, solo se è più intensa e più forte.

§ 159.
Questo apparente aggravamento di malattia, nelle prime ore, è tanto minore per intensità e durata, quanto più piccola è la dose del rimedio omeopatico.

§ 160.
Ma poiché ben difficilmente si può preparare il rimedio omeopatico a dose così piccola da poter migliorare, vincere, anzi guarire totalmente una malattia naturale, simile, piuttosto recente e inalterata, è chiaro il perché una dose di medicamento omeopatico, che non sia la minima possibile, determini, già nella prima ora dopo l’ingestione, un evidente aggravamento omeopatico di questa specie.

§ 161.
Nelle malattie acute, insorte di recente, il così detto aggravamento omeopatico, o piuttosto l’azione primaria del medicamento omeopatico, che sembra esalti i sintomi della malattia naturale, avviene nella prima o nelle prime ore dopo la somministrazione. Quando, invece, medicamenti, con azione a lunga durata, hanno da combattere un male vecchio o di assai vecchia data, non devono insorgere, durante la cura, esaltazioni di questa specie, e in realtà non insorgono, se la medicina ben scelta, viene somministrata in dosi convenientemente piccole ed aumentate un po’ per volta con dinamizzazione. Esacerbazioni simili dei sintomi originali della malattia cronica possono rendersi manifeste solo alla fine di tali cure, quando la guarigione è quasi del tutto ultimata.

§ 162.
Essendo ancora limitato il numero dei medicamenti conosciuti bene nella loro azione vera e pura, accade talvolta, che solo una parte dei sintomi della malattia da curare è coperta dai sintomi del farmaco più simile trovato e che per conseguenza si deve usare tale rimedio incompleto in mancanza di uno migliore.

§ 163.
Naturalmente, in questo caso, da tale medicina non devesi aspettare una guarigione completa e senza disturbi. Infatti, con la sua somministrazione, insorgono accidenti, che prima nella malattia non si erano notati e che sono sintomi accessori dovuti al medicamento non del tutto simile. Essi tuttavia non impediscono che una parte notevole del male (i sintomi della malattia simili a quelli del farmaco) venga distrutta dal medicamento e che quindi si instauri un certo inizio di guarigione, non privo di disturbi secondari. Questi però, con medicina a dose sufficientemente piccola, sono esigui.

§ 164.
Il numero ristretto dei sintomi equivalenti ed omeopatici della medicina scelta bene non porta alcun pregiudizio per la guarigione, se questi pochi sintomi del farmaco sono per la massima parte singolari e caratteristici rispetto a quelli della malattia. In tal caso la guarigione avviene egualmente senza notevoli disturbi.

§ 165.
Ma quando tra i sintomi caratteristici e peculiari della malattia e quelli del medicamento scelto non vi è perfetta somiglianza, ma solo corrispondenza nei caratteri generali, senza modalità definite (come malessere, stanchezza, mal di capo ecc.) e tra i medicamenti conosciuti non se ne trova alcuno omeopaticamente adatto, il medico non deve ripromettersi alcun successo immediato dall’uso di tale farmaco non omeopatico.

§ 166.
Però con l’aumentato numero dei farmaci conosciuti, negli ultimi tempi, nelle loro azioni pure, questo caso è divenuto assai raro, e gli inconvenienti, se pur ve ne sono, diminuiscono non appena si può adottare un altro medicamento più simile.

§ 167.
Se insorgono disturbi di una certa entità, secondari alla somministrazione di questa medicina imperfettamente omeopatica, non si deve lasciare, nei casi di malattie acute, che questa prima dose esplichi tutta la sua azione, ed abbandonare il malato alla completa azione del farmaco, ma devesi esaminare il nuovo stato presente del malato e connettere quanto è rimasto dei sintomi primieri con i nuovi insorti e tratteggiare un nuovo quadro di malattia.

§ 168.
in questo modo si troverà con maggior facilità un rimedio simile, che basterà somministrare una sola volta, se non per distruggere totalmente la malattia, almeno per avvicinarsi di molto alla guarigione. E se anche questo nuovo farmaco dovesse non essere in grado di portare la guarigione, si ripeterà l’esame del malato e si sceglierà, per il nuovo quadro morboso rilevato, un’altra medicina omeopatica, più simile che sia possibile. Si continuerà con mesto metodo fino a raggiungere la guarigione completa del malato.

§ 169.
Se al primo esame di un malato e alla prima scelta del farmaco dovesse accadere che la totalità dei sintomi della malattia non vengono coperti bene dai sintomi di un unico medicamento, (a causa del numero insufficiente di medicamenti conosciuti), ma che invece due medicine si contrastano la preferenza di scelta, poiché una è più simile ad una parte dei sintomi del malato e l’altra più simile al resto di essi, non ci si lasci indurre ad usare senz’altro le due medicine una dopo l’altra e tanto meno tutte due insieme. Infatti la seconda medicina, ritenuta assai adatta, non sarà più simile al quadro nuovo di malattia presente dopo la somministrazione del primo medicamento; e in questo caso, quindi, si dovrà scegliere un nuovo farmaco omeopaticamente più adatto al complesso dei nuovi sintomi, che si rileveranno.

§ 170.
Anche qui, come sempre quando avviene qualche cambiamento dello stato di malattia, si devono rilevare di nuovo tutti i sintomi presenti e (senza riguardo alla seconda medicina ritenuta ben adatta nella prima scelta del medicamento) scegliere una nuova medicina omeopatica, più simile al nuovo stato di malattia. Se accadesse, cosa che non spesso avviene, che la seconda medicina, giudicata adatta fin da principio, fosse corrispondente anche al nuovo quadro morboso, con maggior fiducia e preferenza essa sarà somministrata.

§ 171.
Nelle malattie croniche, non veneree, che sono le più comuni e dovute alla psora, sono di frequente necessari per la guarigione, parecchi rimedi, rimedi antipsorici, da usare un dopo l’altro, in modo che ognuno sia scelto omeopaticamente in seguito all’esame del gruppo di sintomi rimasti ad azione esplicata del farmaco precedente.

§ 172.
Una difficoltà analoga insorge quando la malattia da curare presenta un numero troppo esiguo di sintomi. Tale circostanza merita la nostra diligente osservazione, poiché potendola togliere, quasi tutte le difficoltà per la guarigione, a mezzo del più perfetto fra tutti i sistemi curativi (anche prescindendo dal numero ancora incompleto dei medicamenti noti), vengono eliminate.

§ 173.
Sembrano avere pochi sintomi, e quindi sono più difficili a guarire, solo quelle malattie, che si potrebbero chiamare monosintomatiche, poiché presentano soltanto uno o due sintomi principali, che quasi nascondono tutti gli altri. Codeste malattie sono per lo più croniche.

§ 174.
Il loro sintomo fondamentale può essere o un male interno, (come ad es. una cefalea, che data da più anni, una diarrea di antica data, una vecchia cardialgia ecc.) oppure un male esterno. Mali di quest’ultimo tipo sono denominati volentieri con nome di malattie locali.

§ 175.
Nelle malattie monosintomatiche della prima categoria, la mancanza di attenzione, da parte del medico, è spesso la sola causa, per la quale non vengono rilevati i sintomi, che servono a stabilire il quadro completo della malattia.

§ 176.
Pur tuttavia vi sono alcuni, sia pure pochi, casi di questo genere, che anche esaminati accuratamente fin da principio, non presentano che uno o due sintomi evidenti, intensi e tutti gli altri in modo poco chiaro.

§ 177.
E per curare con successo anche questi casi rarissimi, si scelga, sulla guida dei pochi sintomi, la medicina omeopaticamente più adatta.

§ 178.
Potrà anche talvolta darsi che la medicina, scelta osservando scrupolosamente la legge dei simili, sviluppi una malattia artificiale sufficientemente simile per poter annientare la malattia, che si cura. Questo è tanto più possibile, quanto più i pochi sintomi presenti sono ben chiari, precisi e caratteristici.

§ 179.
Sarà però più frequente il caso, in cui il farmaco non si contrapporrà che in parte alla malattia naturale, perché scelto con un numero insufficiente di sintomi.

§ 180.
Ma allora la medicina ben scelta, se pure omeopaticamente, per quanto detto in precedenza, insufficiente, perché nella sua azione contro la malattia è solo parzialmente simile, determina — come nel caso in cui il numero scarso di medicamenti rende incerta la scelta del farmaco — disturbi secondari e l’insorgenza, nello stato del malato, di molteplici accidenti, ad essa propri, che costituiscono, sebbene fino allora non percepiti o sentiti soltanto di raro, sintomi della malattia stessa. Insorgeranno o si manifesteranno in modo più distinto sintomi, che prima il malato non aveva avuto o non aveva chiaramente avvertito.

§ 181.
Non si obietti che i disturbi secondari e i nuovi sintomi insorti sono dovuti al farmaco somministrato. Essi insorgono per esso, ma sono sempre soltanto sintomi, che la malattia stessa di per sé ed in quel dato individuo può produrre e che vengono resi manifesti dal medicamento, per la sua proprietà di determinare sintomi simili. In altre parole si rende evidente la totalità dei sintomi, che costituiscono la malattia ed il vero stato presente, che deve servire di base per la cura.

§ 182.
Così la scelta del farmaco, che inevitabilmente doveva risultare imperfetta, a causa del numero troppo esiguo di sintomi, rende il servigio di completare la sintomatologia della malattia e quindi facilita la scelta di un altro rimedio omeopatico, più conveniente.

§ 183.
Allora quando la dose della prima medicina non ha portato alcun giovamento (sempre che i nuovi disturbi per la loro violenza, non richiedano un intervento più pronto, cosa che quasi mai accade per le piccole dosi omeopatiche e nelle malattie croniche), si deve rilevare il nuovo stato presente della malattia, quale esso è, e, basandosi sullo stesso, scegliere un altro medicamento omeopatico. Questo potrà essere scelto tanto più simile al nuovo stato presente della malattia, in quanto la sintomatologia della stessa è più ricca e più completa.

§ 184.
Ed in seguito, ogni volta, quando l’azione di una medicina è finita e non è più capace di giovare, devesi rilevare lo stato presente della malattia, tenendo conto di tutti i sintomi e scegliere, per il nuovo quadro sintomatologico, una medicina omeopatica più simile che sia possibile. Così si farà fino a quando si sarà raggiunta la guarigione.

§ 185.
Fra le malattie monosintomatiche occupano un posto importante quelle che si chiamano malattie locali. Esse comprendono le alterazioni ed i disturbi delle parti esterne del corpo. Fino ai nostri giorni si insegnò che si tratta di malattie delle parti esterne del corpo, senza partecipazione del resto dell’organismo; — questa concezione teorica assurda ha portato ad applicazioni terapeutiche assai dannose.

§ 186.
Quei mali locali, che sono recenti e dovuti unicamente ad un agente esterno, sembrano essere i soli a meritare tale denominazione. Ma la lesione dovrebbe essere molto lieve e quindi insignificante; poiché, quando mali di una certa importanza attaccano il nostro corpo dall’esterno, tutto l’organismo ne viene a soffrire; insorge febbre ecc.. E’ compito della chirurgia rimediare a queste infermità, con diritto, in quanto si tratta di portare quei soccorsi meccanici, che unicamente servono a portare la guarigione, asportando ostacoli meccanici, come per es. la riduzione di lussazioni, la sutura di ferite, le fasciature, l’arresto di emorragie con legatura di vasi; l’asportazione di corpi estranei, operazioni in cavità per allontanare corpi dannosi all’organismo, svuotamenti di raccolte liquide, riduzione e contenzione di fratture ecc.. Ma deve intervenire il medico dinamico con l’arte omeopatica, quando, in tali infermità, tutto l’organismo vivente, come sempre, richiede un aiuto attivo, dinamico per essere messo in grado di portare a compimento l’opera di guarigione — come per esempio quando si tratta di combattere la febbre violenta, insorta per gravi contusioni, per lacerazioni di parti molli o di vasi, o di lenire il dolore da scottature.

§ 187.
Invece ben altra origine hanno quei mali, quelle alterazioni, quei disturbi, che si riscontrano sulle parti esteriori dell’organismo e che non sono dovuti all’azione di agenti esterni oppure che sono conseguenza di piccole lesioni esterne. Essi hanno la loro origine in un male interno. Considerarli solo come mali esterni e curarli, solo o quasi esclusivamente, con applicazioni terapeutiche locali o trattarli chirurgicamente con mezzi simili, come ha fatto fin qui da secoli la medicina, è cosa tanto assurda, quanto dannose le conseguenze che ne derivano.

§ 188.
Si ritenevano questi mali come locali, come malattie unicamente localizzate all’esterno, alle quali l’organismo non partecipava affatto o ben poco; come affezioni di singole parti visibili, che ne erano colpite all’insaputa del resto dell’organismo vivente.

§ 189.
Eppure basta la più piccola riflessione per capire che nessun male esterno (non dovuto a lesione traumatica esterna) può insorgere o permanere o peggiorare senza causa interna, senza partecipazione di tutto l’organismo (di conseguenza malato).
Non potrebbe nemmeno insorgere senza la partecipazione di tutto l’organismo vivente (ossia senza la partecipazione del principio vitale, che domina tutte le parti sensibili ed eccitabili del corpo). Non si può concepire il suo insorgere se non legato ad un cambiamento di tutto lo stato vitale, tanto sono unite tutte le parti dell’organismo fra loro in un tutto inscindibile di vita e di funzione. Non esiste un’eruzione alle labbra, non una suppurazione ungueale, senza che, prima ed in pari tempo, non vi sia una perturbazione interna dell’organismo.

§ 190.
Il trattamento veramente razionale di un male esterno, non dovuto a cause traumatiche, deve agire su tutto l’organismo, deve tendere alla guarigione con la distruzione del male generale, con rimedi interni. Soltanto tale cura sarà utile, sicura, giovevole e radicale.

§ 191.
Questo asserto è confermato dall’esperimento. Ogni medicamento energico, subito dopo esser stato somministrato per uso interno, determina notevoli alterazioni sia nello stato generale sia in parti esterne dell’organismo (che la medicina volgare considera isolate), dando origine a qualche male cosidetto locale, con sede anche alle estremità del corpo. In altre parole il medicamento determina le alterazioni salutari, la guarigione di tutto l’organismo, facendo scomparire il male esterno (senza bisogno di alcun soccorso esterno), se il farmaco, che agisce sull’organismo in toto, è stato scelto secondo la legge dei simili.

§ 192.
Il modo migliore di raggiungere tale scopo consiste, quando si esamina un caso di malattia, nel considerare diligentemente non solo i caratteri del male locale, ma anche tutte le perturbazioni dello stato generale, tutti i disturbi e sintomi, anche in rapporto ad eventuali medicine prese, e nel fare un quadro completo di malattia, prima di passare alla scelta del rimedio omeopatico, che, nella sua azione patogenetica, corrisponda alla totalità dei sintomi rilevati.

§ 193.
Con questo medicamento, usato soltanto per uso interno (e già alla prima dose se il male è insorto da poco) guarisce lo stato generale malato dell’organismo ed anche il male locale, contemporaneamente, dimostrando così che il male locale dipende unicamente da una affezione del resto dell’organismo e che devesi considerare come una parte inscindibile del tutto, come uno dei sintomi maggiori e più evidenti della malattia in toto.

§ 194.
Nelle malattie locali acute, insorgenti rapidamente, come pure in quelle instauratesi già da lungo tempo, non devesi applicare, sulla parte esterna malata, alcun medicamento, fosse anche quello salutare, omeopatico, usato per uso interno; tanto meno se questo fosse contemporaneamente somministrato per bocca. Infatti i mali locali (per es. flogosi di parti, eresipela ecc.), che hanno origine non da agenti traumatici, violenti, esterni, ma da cause dinamiche interne, scompaiono di solito sicuramente con rimedi scelti tra quelli noti, purché corrispondano omeopaticamente allo stato presente del malato. Se non scompaiono del tutto, se, nonostante un ordinato regime di vita, permane nella parte malata e nel resto dell’organismo traccia di malattia, che la forza vitale non è capace di eliminare, vuol dire (e non è raro il caso) che il male locale acuto è una manifestazione dello stato psorico fino allora latente e capace adesso di sviluppare una malattia cronica.

§ 195.
In questi casi, che non sono rari, devesi, dopo aver vinto lo stato acuto, istituire una cura contro i disturbi residuati e contro quelli che il malato soffriva di solito in precedenza; tale cura, basata sempre sulla legge dei simili, sarà antipsorica, per poter portare alla guarigione radicale. Nei mali locali cronici, di origine non venerea, la cura interna antipsorica è senz’altro necessaria.

§ 196.
Si potrebbe credere che la guarigione di questi mali dovesse avvenire più rapidamente, usando il medicamento, riconosciuto
omeopaticamente adatto alla totalità dei sintomi, anche in applicazioni locali oltre che per uso interno, pensando che l’azione di un farmaco, messo proprio su un male locale, dovesse essere più pronta.

§ 197.
Tale sistema curativo è da rigettare non solo per combattere i sintomi locali della psora, ma anche quelli della sifilide e quelli della sicosi, poiché il trattamento topico, contemporaneo alla cura interna, in malattie, che hanno costante un male locale come sintomo fondamentale, presenta lo svantaggio, che, con queste applicazioni terapeutiche locali, il sintomo fondamentale di solito sparisce prima che la malattia interna sia distrutta, dandoci la parvenza di guarigione completa o almeno rendendoci difficile ed in alcuni casi impossibile giudicare se tutta la malattia è stata annientata dal medicamento somministrato contemporaneamente per via interna.

§ 198.
Per la stessa ragione devesi rigettare la sola cura esterna del male locale con il medicamento adatto per uso interno. Poiché quando viene soppresso il male locale delle malattie croniche, la cura interna, necessaria per la completa guarigione, diventa difficile. Quando il sintomo fondamentale (il male locale) è scomparso, rimangono solo altri sintomi incerti, labili e meno costanti e troppo poco caratteristici per permettere di formare ancora un quadro chiaro e completo della malattia.

§ 199.
Se infine il medicamento omeopatico, adatto per la malattia, non è stato ancora scelto quando il sintomo principale locale è
stato soppresso con qualche medicamento caustico o simile o con cura chirurgica, la scelta del farmaco appropriato diventa molto più difficile per i sintomi non caratteristici ed incostanti che rimangono. Venendo a mancare il sintomo principale esterno, viene anche a mancare il segno più importante, che ci serve di guida nella cura fino alla scomparsa completa della malattia.

§ 200.
11 male locale, se esiste quando si fa la cara interna, aiuta la ricerca del medicamento omiol3atico per la malattia nella sua totalità. Somministrato poi il medicamento, così scelto, per via interna, se il male locale non scompare, vuol dire che la guarigione non è stata raggiunta. Ma se esso, con la cura interna, senza alcuna cura locale, scompare, dimostra che tutta la malattia è stata distrutta fin dalle radici e si è ottenuta la guarigione completa. Questo è un vantaggio inestimabile ed insostituibile.

§ 201.
Evidentemente la forza vitale dell’uomo (istintivamente), quando è colpita da una malattia cronica, che non può vincere con le proprie energie, si decide a determinare la formazione di un male locale, in una parte esterna del corpo, soltanto al fine di far tacere la malattia interna, che minaccia di distruggere organi vitali e la vita stessa, facendo ammalare e mantenendo malata una parte dell’organismo non indispensabile alla vita. Ossia si tratta, per così dire, di trasportare il male interno in un male esterno locale e in certa qual maniera di farne la sostituzione. La presenza del male locale porta momentaneamente al silenzio la malattia interna, senza però guarirla o diminuirla. Tuttavia il male locale rimane sempre come un sintomo della malattia generale, come una parte della stessa, però ingrandita dalla forza vitale e trasportata in parte del corpo non pericolosa (esterna), collo scopo di acchetare il male interno. Ma, come già detto, con questo sintomo localizzato la forza vitale guadagna così poco, nei confronti della malattia in toto, che un po’ alla volta è costretta ad accrescere il male interno e ad ingrandire e peggiorare sempre più il male esterno, affinché esso basti a silenziare il primo. Vecchie ulcerazioni alle gambe peggiorano a psora interna non guarita, l’ulcera sifilitica s’ingrandisce, se la sifilide interna non viene guarita; i condilomi si moltiplicano e crescono, finché la sicosi non è guarita. Il male locale diventa sempre più difficile a guarire, man mano che con il tempo la malattia generale cresce.

§ 202.
Se ora il medico dell’altra scuola crede di guarire la malattia nella sua totalità con il distruggere, con mezzi esterni, il sintomo locale erra, perché la natura ricorre in tal caso al risveglio del male interno, dei sintomi già esistenti e di quelli latenti, ossia esaltando la malattia interna. In questo caso si suole dire, ma a torto, che il male locale è stato, con i medicamenti esterni, ricacciato nel corpo o nei nervi.

§ 203.
Ogni medicazione esterna, diretta a togliere dalla superficie del corpo tali sintomi locali, senza guarire la malattia miasmatica interna, come ad esempio la cura con pomate applicate sulla pelle contro l’eruzione scabbiforme, le causticazione di un’ulcera, l’asportazione di condilomi con metodi chirurgici o con legature o con il fuoco, costituisce un metodo di cura esterno tanto generalizzato quanto pernicioso, che è la causa principale di innumerevoli mali cronici, per i quali l’intera umanità soffre. Tale metodo è uno dei più delittuosi, che possano essere attribuiti alla scienza medica; ciò nonostante, è diffusissimo e viene insegnato, come unico, nelle scuole mediche.

§ 204.
Se noi facciamo astrazione dai mali cronici, dai disturbi provenienti da un sistema antigienico di vita e dagli innumerevoli stati morbosi dovuti a medicamenti, che vengono somministrati in cure cervellotiche, costanti e dannose, anche in malattie di piccola entità, la maggior parte delle malattie croniche è dovuta a tre miasmi cronici: alla sifilide interna, alla sicosi interna, ma, su scala molto maggiore, alla usura interna.
Ciascuno di questi miasmi è diffuso in tutto l’organismo già prima di determinare la comparsa dell’effetto primario, del sintomo locale ossia dell’ulcera nella sifilide, dell’eruzione scabbiforme nella psora e dei condilomi nella sicosi.
Se ora, a queste malattie si asportano, con cure esterne, i sintomi locali, ritenuti vicarianti e silenziatori della malattia generale, inevitabilmente presto o tardi dovranno svilupparsi e manifestarsi le malattie, per legge di natura, proprie a ciascuno e caratteristiche, e in questo modo si propagherà l’immensa miseria e l’incredibile quantità di malattie croniche, che da secoli tormentano il genere umano.
Nessuna di tali malattie sarebbe insorta con simile frequenza, se i medici avessero combattuto questi tre miasmi, invece che con cure esterne dirette contro i sintomi locali, con medicamenti interni, omeopatici e si fossero prodigati ad estirpare dall’organismo, radicalmente, ogni male con le relative medicine confacenti.

§ 205.
Il medico omeopatico non cura mai alcuno di questi sintomi primari delle malattie miasmatiche croniche, né alcuno di quelli di mali insorti secondariamente, con mezzi terapeutici locali (né con mezzi agenti dinamicamente né con mezzi meccanici), ma cura soltanto il miasma fondamentale. Questo guarisce (ad eccezione di alcuni casi inveterati di sicosi) e guarendo porta la scomparsa dei sintomi sia primari che secondari. Ma il medico omeopatico, che non sa quanto sia accaduto prima della sua chiamata e purtroppo trova i sintomi primari per lo più fatti scomparire dai medici curanti precedenti con mezzi esterni, si trova ad avere da fare con i sintomi secondari ossia con mali provenienti dallo sviluppo e dall’evoluzione della malattia miasmatica fondamentale ed ancora più di tutto si trova di fronte a malattie croniche provenienti dalla psora interna. Io stesso ho trattato l’argomento, come può fare un medico isolato, dopo uno studio, un’osservazione e un’esperienza di molti anni, nel mio libro sulle « Malattie croniche » e ad esso rimando il lettore.

§ 206.
Prima di cominciare la cura di una malattia cronica, è necessario indagare con diligenza, se il malato ha avuto malattie veneree; Poiché, in tal caso, la cura va diretta contro di esse, se soltanto sintomi di tal genere sono presenti; ai giorni nostri è però difficile trovare tali sintomi soli.
Quando un caso di psora ha segni non chiari, devesi pensare ad una complicanza con una pregressa infezione venerea. Di fatti sempre o quasi sempre il medico, quando trova una antica malattia venerea, ha da curare una psora complicata. La psora costituisce di gran lunga la causa più frequente delle malattie croniche. Talvolta questi due miasmi, in malati cronici, sono complicati dalla sicosi, come si può rilevare anche dall’anamnesi. Però, molto più spesso, si riscontra la psora come sola causa fondamentale di malattie croniche (qualunque nome esse possano avere), che spesso si presentano esaltate in grado assai grave ed alterato per le cure allopatiche.

§ 207.
Quindi il medico omeopatico deve ricercare anche quali cure allopatiche ha fatto il malato, quali medicamenti ha usato e in qual modo, se ha fatto bagni con acque minerali e con quale esito. Queste informazioni sono necessarie per stabilire in certo qual modo la degenerazione della malattia primitiva e, se possibile, per togliere in parte, se non del tutto, i danni recati dalle cure ed evitare i medicamenti così male usati.

§ 208.
Inoltre devesi prendere in considerazione l’età del malato, il suo regime di vita e dietetico, le sue occupazioni, la sua posizione familiare e sociale, in quanto questi fattori possono contribuire ad aggravare il suo male od in quanto possono favorire o impedire la cura. Così pure non bisogna trascurare di tener conto della disposizione d’animo e del modo di pensare del paziente, affinché tali stati psichici non abbiano ad ostacolare la guarigione e possano venire modificati, se occorre.

§ 209.
Solo ora il medico comporrà il quadro della malattia nel modo più completo possibile, secondo il metodo già esposto, cercando di mettere in evidenza i sintomi più evidenti e più distinti (i sintomi caratteristici), per i quali sceglierà il primo medicamento (antipsorico od altro), secondo la legge dei simili, ed inizierà la cura.

§ 210.
Appartengono alla psora quasi tutte le malattie chiamate monosintomatiche, che sembrano essere più difficili a guarire appunto per questa proprietà (monosintomatologia). Ad esse fanno capo anche le malattie dello spirito e della mente.
Esse però non costituiscono una classe ben distinta dalle altre malattie, poiché in ognuna delle malattie dell’organismo, chiamate fisiche, vi è sempre un’alterazione dello spirito e della mente. In ogni stato di malattia lo stato dell’animo costituisce uno dei sintomi più importanti, che va sempre rilevato per poter fare il quadro fedele del male e conseguentemente poterlo guarire con la cura omeopatica.

§ 211.
Tal cosa è tanto importante nella scelta del medicamento, che spesso lo stato d’animo del paziente è decisivo, perché rappresenta un sintomo preciso e caratteristico e che meno di qualsiasi altro può sfuggire all’osservazione del medico attento.

§ 212.
Il Creatore delle potenze salutari ha tenuto in singolarissima considerazione questo elemento fondamentale delle malattie, i cambiamenti dello stato d’animo e di mente, poiché non esiste al mondo alcun medicamento, di una certa potenza, che non alteri in modo chiaro lo stato d’animo e di mente dell’uomo sano, che ne faccia esperimento; ed ogni medicamento dà un’alterazione diversa.

§ 213.
Di conseguenza non si curerà mai secondo natura, ossia omeopaticamente, se in ogni caso di malattia, anche acuto, non si terrà conto dei sintomi relativi ai cambiamenti dello stato di mente e di animo e, tra i medicamenti, non si sceglierà quello che abbia gli altri sintomi simili a quelli della malattia e sia anche capace di sviluppare uno stato di animo e di mente simile.

§ 214.
Nei riguardi delle malattie mentali ben poco mi resta da insegnare, poiché esse si curano nella stessa maniera e non altrimenti che tutte le altre malattie. In altre parole, esse si curano con medicamenti, che, nella loro patogenesi nell’uomo sano, determinano l’insorgere di sintomi fisici e psichici più simili che sia possibile a quelli della malattia.

§ 215.
Quasi tutte le malattie mentali non sono altro che malattie dell’organismo, nelle quali il sintomo particolare dell’alterazione dello spirito e dello stato d’animo si esalta (ora in modo lento, ora in modo rapido), mentre i sintomi fisici si attutiscono tanto da giungere, alla fine, ad una sintomatologia evidentissima, quasi si trattasse di un male locale insediantesi negli organi delicatissimi cerebrali.

§ 216.
Non sono rari i casi, in cui una malattia del corpo, che porta pericolo di vita, (come per esempio una suppurazione polmonare o la alterazione grave di qualche altro organo nobile o qualche malattia febbrile acuta, una febbre puerperale ecc.), per la rapida esaltazione dei sintomi psichici, degenera in delirio, in uno stato melanconico o in pazzia, e con questo fa scomparire ogni pericolo mortale dovuto ai sintomi fisici. Questi intanto migliorano fin quasi a guarire o diminuiscono a tal punto, che la loro presenza viene constatata solo da un medico molto attento e perspicace; in questo modo essi degenerano in una malattia monosintomatica (come si trattasse di un male locale), nella quale il sintomo dell’alterazione mentale diventa sintomo fondamentale, che soverchia la maggior parte dei sintomi fisici, e ne silenzia la loro violenza in maniera palliativa.
In una parola il processo patologico degli organi fisici viene in certo qual modo trasferito nelle sedi dello spirito, mai raggiunte e mai raggiungibili da bisturi anatomico.

§ 217.
In tali casi la ricerca della totalità dei sintomi va fatta accuratamente, in relazione sia ai sintomi fisici che al sintomo fondamentale, che riguarda l’alterazione della mente e dello stato d’animo. Devonsi ricercare le precise caratteristiche di questo sintomo, al fine di poter trovare, tra i medicamenti conosciuti nelle loro azioni pure, quello che, nella sua patogenesia, presenta non solo i sintomi fisici, ma anche, ed in modo distinto e assai simile, quelli psichici e morali della malattia, che si vuole curare.

§ 218.
Per giungere alla conoscenza del quadro sintomatologico completo è necessaria anzitutto un’esatta descrizione di tutti i fenomeni fisici presenti prima dell’esacerbazione del sintomo mentale, prima della degenerazione in malattia psichica. Questi dati si avranno dalla relazione dei parenti.

§ 219.
La comparazione dei sintomi fisici esistenti dapprincipio con quelli presenti ora, sebbene quasi impercettibili, (e che possono a volte tornare evidenti in qualche intervallo di lucidità di mente o in qualche remittenza passeggera della malattia mentale) servirà appunto a dimostrare che essi esistono ancora, sia pure in modo velato.

§ 220.
Inoltre lo stato mentale e morale, osservato attentamente dai parenti e rilevato dal medico stesso, servirà a metter assieme il quadro completo della malattia, per la quale potrà poi venir scelto il medicamento omeopatico, capace di dare sintomi simili e soprattutto sintomi mentali assai simili a quelli presenti nel malato. Se la malattia data da qualche tempo, la scelta del medicamento potrà esser fatta tra quelli antipsorici.

§ 221.
Quando in un malato ordinario, quieto insorge improvvisamente delirio o pazzia (in occasione di uno spavento, di un dispiacere, di abuso di bevande alcooliche ecc.) come malattia acuta, non si può istituire subito, sin da principio, una cura con medicamenti antipsorici, nonostante si tratti, quasi senza eccezioni, di malattia dovuta a psora. Ma il primo trattamento si deve fare con altri medicamenti omeopatici, somministrati a potenze alte e a dosi tenue, al fine di modificare lo stato mentale e morale e far ritornare la psora al suo stato primiero, latente, nel quale il malato appare come guarito.

§ 222.
Tuttavia un malato così liberato da una malattia acuta, con medicamenti apsorici, non va mai considerato come guarito. Al contrario devesi, senza perder tempo, sottoporlo a cura continuata antipsorica, e forse anche antisifilitica, per liberarlo completamente dalla malattia fondamentale, cronica che è divenuta latente, ma che potrebbe recidivare nella malattia mentale o morale, per guarirlo radicalmente dalle manifestazioni psoriche, alle quali è d’ora innanzi assai predisposto. Soltanto così facendo, non sarà più da temere un attacco simile in avvenire, purché il malato si attenga fedelmente al regime di vita prescrittogli.

§ 223.
Ma se si tralascia di fare la cura antipsorica (o antisifilitica), anche per una occasione di minor entità di quella, che ha scatenato la prima manifestazione mentale, si potrà aspettarsi, quasi con certezza, presto, un nuovo attacco, più intenso e più persistente, durante il quale la psora suole svilupparsi completamente e degenerare in una alienazione mentale o periodica o continua, la cui cura antipsorica sarà ben più difficile.

§ 224.
Se, a malattia mentale non completamente sviluppata, si dubitasse della causa d’insorgenza, per differenziare se essa è insorta per un male fisico del corpo oppure per educazione errata o trascurata, per cattive abitudini, per costumi corrotti, per superstizioni od ignoranza, il medico ricorrerà ad esortazioni comprensibili e buone, ad argomenti di consolazione, ad osservazioni serie ed assennate. Con questi mezzi, se la malattia mentale è basata su un male fisico del corpo, anziché cedere e migliorare, si aggraverà presto; il melanconico diventerà più depresso, più inconsolabile, più chiuso in sé, il maniaco più irritato, il demente ancora più irragionevole.

§ 225.
Vi sono delle malattie dello spirito, tuttavia ben poche, che non sono l’espressione di degenerazione di malattie fisiche del corpo, ma hanno origine e si sviluppano in modo opposto, ossia hanno il loro punto di partenza dallo spirito, a causa di dispiaceri protratti, di umiliazioni, di contrarietà, di offese, ma più spesso a causa di paura e spavento. Queste malattie dello spirito spesso, col tempo, alterano ed anche in grado notevole lo stato di salute del corpo.

§ 226.
Soltanto queste malattie mentali, che partono dallo spirito, si possono guarire, se sono recenti e non hanno troppo sconvolto la salute dell’organismo. Con mezzi psichici, con la confidenza, con la buona persuasione, con discorsi sensati, a volte anche con inganno ben mascherato, si possono presto trasformare in uno stato di benessere dell’animo (e con un regime di vita adatto anche in uno stato di benessere del corpo).

§ 227.
Anche in queste malattie vi è un miasma psorico, che soltanto non ha raggiunto il suo completo sviluppo. Ed è certo che, una volta che il malato sia risanato, affinché non abbia a ricadere in altra malattia mentale simile, come facilmente accade, deve essere sottoposto ad una cura antipsorica (e se occorre anche antisifilitica) radicale.

§ 228.
Nelle malattie mentali, originate da male fisico del corpo, che sono da curare unicamente con medicamento omeopatico diretto a combattere l’agente interno della malattia, devesi anche istituire un regime spirituale; i parenti dell’ammalato e il medico devono tenere di fronte al paziente un’adatta condotta psichica. Al furioso devesi opporre tranquillità, sangue freddo e ferma volontà — al timido e al piagnucoloso, che si lagna penosamente, un muto compatimento espresso sia col viso che con i gesti — alle ciarle dell’insensato un silenzio non del tutto privo di attenzione ad un contegno schifoso e raccapricciante assoluta noncuranza. Se un malato danneggia, distrugge oggetti, non lo si rimproveri; si cerchi d prevenire queste azioni e si eviti qualsiasi castigo e punizione corporea. L’unico caso, in cui la violenza potrebbe essere giustificata, sarebbe la somministrazione forzata di medicine. Ma facendo la cura omeopatica non v’è bisogno di ricorrere alla violenza, per far prendere i medicamenti, poiché questi non hanno nessun sapore e possono venire somministrati al malato con le vivande, a sua insaputa.

§ 229.
D’altra parte contraddire simili malati, usare con loro accondiscendenza troppo spinta, rimproveri violenti, bestemmie, mostrare debolezza e timore sono tutte cose fuori posto e costituiscono mezzi curativi dannosi.
Però più di tutto determinano peggioramento della malattia lo scherno, la derisione, l’inganno, quando siano avvertiti dai malati. I medici e gli infermieri devono sempre fingere di credere che i malati abbiano la ragione. Si cerchi di allontanare qualsiasi cosa, che possa turbare i loro sensi e il loro spirito. Per la loro mente annebbiata non vi è alcun divertimento, nessuna distrazione benefica; nessun sollievo dalle buone parole, dalla lettura o da altro. Nessun ristoro vi è per quell’anima eccitata spasimante nelle catene del corpo malato, all’infuori della guarigione. Soltanto il corpo guarito irradierà la pace e il benessere su quello spirito.

§ 230.
Se il medicamento scelto (e la scelta, che va fatta con diligenza e senza stancarsi, è molto più facile, quando vi è sufficiente numero di medicamenti omeopatici conosciuti nelle loro azioni pure, perché lo stato mentale di questi malati offre un sintomo fondamentale chiaro, inconfondibile) per un dato caso di malattia mentale è perfettamente omeopatico al quadro esatto della malattia, esso è capace di portare spesso in breve tempo, a dose piccolissima, un miglioramento sorprendente, mentre nulla si era prima ottenuto con le dosi enormi di tutte le altre medicine non adatte e somministrate fino a dare quasi la morte.
Posso attestare, in base a grande esperienza, che l’eccellenza della omeoterapia sopra tutte le altre terapie in nessun altro campo trionfa quanto in quello delle malattie croniche della mente, che derivano originariamente da mali fisici del corpo o che si svilupparono contemporaneamente ad essi.

§ 231.
Meritano un esame a parte le malattie intermittenti; non solamente quelle, che ritornano ad epoche fisse, come le numerose febbri intermittenti e le affezioni in apparenza non febbrili, che hanno lo stesso carattere, ma anche quelle malattie, che a periodi indeterminati, si alternano con stati morbosi diversi.

§ 232.
Queste ultime malattie, dette alternanti, sono molteplici, appartengono al gran numero delle malattie croniche, sono per lo più conseguenza di una psora sviluppata e, sebbene di raro, qualche volta vi è la complicità del miasma della sifilide. Nel primo caso la cura va fatta con medicamenti antipsorici; nel secondo caso anche con antisifilitici, come è insegnato nel mio libro sulle malattie croniche.

§ 233.
Le malattie intermittenti tipiche sono quelle, nelle quali, dopo un lasso abbastanza determinato di tempo, trascorso in apparente benessere, riappare uno stato morboso, uguale a quello prima esistente, che scompare pure in determinato tempo. Questo stato si riscontra, tanto negli stati morbosi in apparenza febbrili, ma tipici (ossia che compaiono e se ne vanno ad epoche fisse), come pure in quelli febbrili (che comprendono le molteplici febbri intermittenti).

§ 234.
Gli stati morbosi, recidivanti ad epoche fisse, tipici, in apparenza febbrili, che di solito non hanno carattere sporadico o epidemico, appartengono alle malattie croniche di provenienza psorica; e come tali vanno curati. Solo raramente sono complicati da sifilide. A volte è necessario somministrare una piccolissima dose di soluzione potentizzata di corteccia di china, per troncare completamente il carattere dell’intermittenza.

§ 235.
Nelle febbri intermittenti, a carattere sporadico od epidemico, (non in quelle che regnano endemiche in luoghi paludosi) si riscontrano spesso accessi composti ti due stati alternantisi in modo opposto (freddo, calore - calore, freddo), ed a volte di tre (freddo, calore, sudore).
Per questa particolarità anche il medicamento, scelto di solito tra i medicamenti antipsorici, deve essere capace di determinare nell’uomo sano due o tre stati alternanti simili, o per lo meno deve corrispondere omeopaticamente, secondo la legge dei simili, allo stato intermittente più forte e più distinto (sia esso lo stato del brivido con i suoi sintomi secondari o lo stato del calore con gli altri suoi sintomi, od anche quello del sudore con i relativi sintomi secondari). Ma specialmente i sintomi relativi allo stato del malato, nei periodi senza febbre, devono guidare nella scelta del medicamento omeopatico più simile.

§ 236.
In questi casi, è meglio e più utile somministrare la medicina, subito o poco dopo la fine dell’accesso, non appena l’ammalato si è riavuto, in certo qual modo dallo stesso. Data in questo momento, essa ha il tempo di determinare nell’organismo tutti gli effetti che le son propri per portare la guarigione senza scosse, e senza violenti reazioni. Ma se viene somministrata subito prima dell’accesso, per quanto essa sia adatta al caso, incontrandosi con la recidiva della malattia naturale, determina nell’organismo una reazione così violenta, da diminuire di molto la resistenza del malato, da mettere perfino in pericolo di vita. Invece somministrata subito dopo finito l’accesso ossia quando è subentrato il periodo apirettico, prima, anche molto prima che si prepari il nuovo attacco, la medicina trova la forza vitale dell’organismo nelle migliori condizioni per poterla quietamente modificare e porre in stato di salute.

§ 237.
Se il periodo apirettico è molto breve, come in alcune febbri molto maligne, oppure se esso è turbato da disturbi dovuti all’attacco precedente, la medicina omeopatica va somministrata al momento quando il sudore e gli altri fenomeni indicano che l’accesso sta per finire.

§ 238.
Non di rado un’unica dose di medicina adatta tronca gli attacchi e ridà la salute; però nel maggior numero dei casi è necessario somministrare una nuova dose dopo ogni accesso.
Ogni modo, quando permangono gli stessi sintomi, si ripete la medesima medicina, cosa che avviene senza inconvenienti, potentizzando ogni dose successiva, dando dieci, dodici scosse alla boccetta contenente il rimedio liquido. Ciò nonostante, talvolta, sebbene raramente, la febbre intermittente riappare dopo parecchi giorni di benessere. Questo ritorno di una stessa febbre, dopo un intervallo di benessere, è però soltanto possibile, quando l’agente patogeno, che ha determinato la febbre intermittente, agisce ancor sempre sull’individuo guarito, come avviene in regioni paludose; in tal caso la guarigione è possibile soltanto con l’allontanamento della causa del male e, nel caso specifico, con il cambiamento di domicilio (trasferimento dalla regione paludosa in una montana).

§ 239.
Quasi ogni medicamento nella sua patogenesia presenta una febbre speciale, particolare e perfino una specie di febbre intermittente, con stati alternantisi, che è differente da tutte le altre febbri, prodotte da altri medicamenti. Per questo nel grande regno dei medicinali si trova il rimedio omeopatico adatto per ognuna delle febbri intermittenti naturali e per molte di esse si trova il rimedio già nel numero ristretto dei medicamenti conosciuti ed esperimentati nell’uomo sano.

§ 240.
Quando il medicamento omeopatico, specifico per una febbre intermittente, epidemica in una data epoca, non porta, in qualche malato, la guarigione completa, vuol dire che v’è la complicità (a meno che la guarigione non sia impedita dall’abitare in regione paludosa) del miasmo psorico. In tal caso dovranno essere usati medicamenti antipsorici fino alla guarigione.

§ 241.
Epidemie di febbri intermittenti, dove non sono endemiche, hanno la natura di malattie croniche, composte da singoli attacchi acuti.
Ogni singola epidemia ha una propria caratteristica uguale e comune a tutti gli individui, che indica, se trovata nella totalità dei sintomi comuni a tutti i malati, il medicamento omeopatico adatto alla generalità dei casi.
Tale medicamento giova sempre anche in malati, che prima dell’epidemia godevano uno stato discreto di salute, ossia che non erano cronici di psora in atto.

§ 242.
Se non si sono curati i primi accessi di una febbre intermittente epidemica, oppure se i malati sono stati indeboliti da cure allopatiche, si sviluppa la psora, che purtroppo si trova in moltissimi individui allo stato latente; essa assume il tipo di febbre intermittente e in apparenza continua il gioco della febbre intermittente epidemica.
In questo caso il medicamento, che si è mostrato utile contro i primi attacchi, non serve più e non è più adatto. Ora ci si trova di fronte soltanto una febbre intermittente psorica, che sarà vinta, di solito, da piccolissime dosi di zolfo o di fegato di zolfo ad alta potenza.

§ 243.
Nei casi di febbri intermittenti, spesso molto maligni, che colpiscono molte persone, abitanti in zone non paludose, devonsi usare dapprima, per alcuni giorni, come sempre nelle malattie acute, medicamenti omeopatici simili, scelti tra quelli conosciuti ed esperimentati (non antipsorici). Se con questi la guarigione ritarda, si pensi alla psora e si tenga presente che soltanto medicamenti antipsorici potranno portare un giovamento efficace.

§ 244.
Le febbri intermittenti, endemiche in luoghi paludosi e in luoghi soggetti spesso ad inondazioni, hanno dato molto da tare alla classe medica. Eppure anche in questi luoghi, un uomo sano, abituandovisi fin da giovane, può rimanere in buona salute, purché conduca un regime di vita senza errori e non venga depresso dalla miseria, da strapazzi o da violenti passioni.
Le febbri intermittenti lo potranno colpire nei primi tempi, ma una o due piccolissime dosi di soluzione di corteccia di china ad alta potenza lo libereranno dal male, se egli terrà un regime di vita ordinato. Ma se individui, che osservano un buon regime dietetico e psichico e mantengono il corpo in sufficiente movimento, non vengono guariti da una o due di tali dosi di china, vuoi dire sempre che in essi vi è una psora, che tende a svilupparsi e la loro febbre intermittente non può essere guarita, nella regione paludosa, senza una cura antipsorica
A volte in questi malati, anche senza che abbiano a trasferirsi in zone asciutte, montane, avviene un’apparente guarigione, la febbre se ne va, se non sono fortemente intaccati dal male ossia se la psora in essi non si è ancora completamente sviluppata ed è stata in grado di poter ritornare allo stato latente; ma veramente guarire, non sarà per loro più possibile senza una cura antipsorica.

§ 245.
Ora che abbiamo visto quali rapporti intercorrono tra la cura omeopatica e le modalità fondamentali e particolari delle malattie, passiamo a trattare dei medicamenti, del modo di usarli e del regime di vita da tenere durante la cura.

§ 246.
Ogni miglioramento, decisamente e continuamente progressivo durante la cura, costituisce uno stato, che per tutta la sua durata, esclude, in via generale, la ripetizione di qualsiasi medicinale, poiché il medicamento preso dal malato continua a svolgere l’azione benefica, di cui è capace, fino alla fine. Questo è il caso non raro nelle malattie acute; mentre nelle malattie abbastanza croniche una dose di medicamento omeopatico, bene scelto, sviluppa tutta l’azione benefica di cui è capace, secondo le sue qualità, con un miglioramento continuo, ma lento, in periodo di tempo, che va da quaranta a cento giorni. Ma al medico ed al malato interessa molto, se possibile, ridurre questo periodo di tempo alla metà, ad un quarto ed anche più e di ottenere una guarigione molto più rapida. E questa metà si può raggiungere benissimo, come mi hanno insegnato recentissime e ripetute esperienze; ma alle seguenti condizioni:

1°) quale medicamento omeopatico deve essere scelto, con ogni attenzione, quello più simile possibile;

2°) se il medicamento è ad alta potenza, deve venire somministrato sciolto in acqua e a dose piccolissima ed a intervalli, che l’esperienza ha insegnato essere i più atti ad accelerare al massimo la guarigione.
Devesi poi avere l’avvertenza, che la potenza di ogni dose sia un po’ diversa da quella della dose precedente o successiva. Questo accorgimento ha lo scopo di evitare che il principio vitale sia offeso ed eccitato a reazioni contrarie, come sempre accade quando si usano ripetere dosi uguali e molto ravvicinate tra loro.

§ 247.
La ripetizione di dosi identiche costanti di un medicamento, anche unica, peggio se fatta più volte di seguito (a brevi intervalli, se si vuole che la cura non venga ritardata) è una cosa assurda. Il principio vitale non accetta queste dosi uguali senza ripugnanza, ossia senza tralasciare di mettere in evidenza altri sintomi della malattia da medicamento oltre quelli simili ai sintomi della malattia naturale. Siccome la dose precedente ha già determinato nel principio vitale le modificazioni a lei proprie, una nuova dose di uguale potenza, non può più fare la stessa cosa. Con una tale dose identica il malato non può altro che ammalarsi di altro male, ossia diventare più malato di prima, poiché ora rimangono ad agire solo quei sintomi della stessa medicina, che non sono più omeopatici per la malattia naturale; quindi nessun progresso nei riguardi della guarigione, ma soltanto un vero aggravamento del malato.
Ma se invece ogni dose successiva è di potenza diversa, ossia è di dinamizzazione un po’ più alta, il principio vitale si lascia influenzare senza difficoltà (diminuisce ancor più la sensibilità di fronte alla malattia naturale) e portare più vicino alla guarigione.

§ 248.
Per questo scopo la soluzione del medicamento viene potentizzata (agitando con otto, dieci, dodici scosse la boccetta) ogni volta prima della somministrazione. La soluzione viene data in ragione di uno o più (crescendo progressivamente) cucchiaini da caffè o da tè; nelle malattie croniche giornalmente od ogni secondo giorno; nelle malattie acute ogni sei, quattro, tre, due ore; nei casi urgenti ogni ora ed anche più spesso. Così nelle malattie croniche, una medicina omeopatica bene scelta, sebbene abbia azione di lunga durata, può essere ripetuta, con crescente successo, anche giornalmente per dei mesi.
Quando la soluzione (in sette, o quattordici o quindici giorni) è consumata, alla nuova soluzione — se il suo uso è ancora indicato — si aggiunge uno o più granuli di una potenza più elevata. Così si procede fino a che il malato continua ad averne sempre maggior beneficio, senza risentire disturbi di sorta. Se questo accade, ossia il resto della malattia appare con una sintomatologia cambiata, si deve scegliere una nuova medicina corrispondente meglio, omeopaticamente, al caso e somministrarla con le stesse modalità. Ossia va somministrata sempre con lo scuotere con forza la soluzione, prima di ogni dose, al fine di cambiare il grado di potenza e per elevarla. Se, ripetendo giornalmente una medicina, omeopaticamente ben scelta, alla fine della cura di una malattia cronica, compare il così detto aggravamento omeopatico, di modo che i rimanenti sintomi della malattia sembrano esacerbarsi, le dosi devono venire ancor più diminuite e ripetute ad intervalli più distanziati, oppure sospese per parecchi giorni.
La sospensione del medicamento ha lo scopo di far vedere, se la guarigione necessita ancora o no di aiuto medico, dato che questa sintomatologia, in apparenza dovuta ad eccesso di medicina omeopatica, può scomparire da sé e lasciare il malato guarito. Se per la cura si usa soltanto una boccetta (contenente circa un dramma di alcool diluito, nel quale si scioglie un granulo di medicina, agitando con forti scosse), che il malato fiuta giornalmente, oppure ogni due, tre, quattro giorni, anch’essa deve venire agitata, con otto, dieci forti scosse, ogni volta prima di essere fiutata.

§ 249.
Ogni medicina, prescritta per un dato caso di malattia, che nel corso della stessa provoca la comparsa di nuovi sintomi, non propri alla malattia da curare e molesti, non è capace di dare vero miglioramento e non si può ritenere come omeopatica. Se l’aggravamento da essa determinato è stato notevole, devesi quanto prima possibile toglierlo, almeno in parte, con un antidoto, prima di somministrare un nuovo medicamento, scelto con più precisione secondo la legge dei simili; se l’aggravamento non è stato violento né importante, il nuovo medicamento può essere usato subito, per sostituirlo a quello scelto male.

§ 250.
Così in casi urgenti, se il medico perspicace, che segue attentamente il suo malato, si accorge, già dopo sei, otto, dodici ore che la medicina somministrata è stata scelta male, perché lo stato del malato, per nuovi sintomi e disturbi insorti, si aggrava, sia pure
poco, di ora in ora, non solo può, anzi deve rimediarvi con la scelta e la somministrazione di una medicina omeopatica più adatta allo stato presente del malato.

§ 251.
Alcuni medicamenti (per es. ignatia, bryonia, rhus e parzialmente anche belladonna) esercitano modificazioni dello stato di salute dell’uomo con manifestazioni in massima parte alternanti ossia con sintomi primitivi opposti fra loro. Se somministrando alcuni di questi medicamenti, dopo un’esatta scelta omeopatica, il medico (in malattie acute già dopo poche ore) non vede alcun miglioramento, con una seconda dose dello stesso medicamento, nella maggior parte dei casi, raggiungerà presto il suo scopo.

§ 252.
La constatazione, nella somministrazione di altri medicamenti, che la medicina omeopatica ben scelta e nella dose minima, non dà miglioramento, è un segno certo che la causa della malattia persiste ancora e che nel sistema di vita del malato o nel suo ambiente vi è qualche irregolarità, che deve essere allontanata perché possa stabilirsi sicura guarigione.

§ 253.
Fra i segni, che indicano, in tutte le malattie, ma specialmente in quelle acute, un inizio anche piccolo, non visibile a chiunque, di miglioramento o di peggioramento, lo stato dell’animo e il comportamento del malato sono i più sicuri ed i più evidenti. In caso di miglioramento, anche lieve, il malato si sente più a suo agio, presenta una maggior calma, ha lo spirito più sereno, ha più coraggio e i suoi modi diventano più naturali. In caso di peggioramento, anche piccolo, avviene il contrario. Il malato è preoccupato, depresso; cerca di destare la compassione su sé; nelle sue azioni, nei suoi gesti, in tutti i suoi atteggiamenti vi è qualche cosa di insolito, che un osservatore attento rileva, ma che non potrébbe descrivere a parole.

§ 254.
I sintomi nuovi ed estranei alla malattia che si cura, o all’opposto, l’attenuarsi dei sintomi esistenti, senza comparsa di altri, non lasciano alcun dubbio nel medico osservatore ed indagatore nei riguardi del peggioramento o del miglioramento, sebbene esistono malati incapaci di avvertire spontaneamente e di comunicare sia un miglioramento che un peggioramento.

§ 255.
Ma anche in tali casi si può venirne a capo, se si esamina ogni sintomo registrato della malattia e nessun altro sintomo nuovo viene rilevato.
Quando nel malato si è già constatato un miglioramento morale, la medicina ha già portato un attenuazione notevole della malattia, o, se il tempo di azione è stato troppo breve, la porterà. Se il miglioramento, nel caso che la medicina sia adatta, ritarda a manifestarsi, vuol dire che vi è qualche ostacolo nel regime di vita del malato o in altre circostanze.

§ 256.
D’altra parte, se il malato accusa nuovi accidenti o sintomi d’importanza (indizio di medicina omeopatica non scelta bene), anche se egli assicura di essere migliorato, non gli si deve prestar fede, ma considerare il suo caso come peggiorato, come ben presto i fatti dimostreranno.

§ 257.
Il vero omeopatico eviterà di avere predilezioni per certi rimedi, dai quali può avere avuto, per caso, ottimi successi in più occasioni. Tale predilezione gli farebbe trascurare, non di rado, medicamenti più omeopatici e quindi più giovevoli.

§ 258.
Così pure il vero medico eviterà di avere preconcetti verso medicamenti, che in altre occasioni gli hanno dato insuccesso, perché non scelti bene e quindi non esattamente omeopatici (ossia per propria colpa), e terrà presente la verità, che tra i medicamenti meritano considerazione e preferenza solo quelli che meglio corrispondono, secondo la legge dei simili, alla totalità dei sintomi caratteristici della malattia da curare, e che in questa scelta, che è una cosa difficile, non deve immischiarsi nessuna passione.

§ 259.
Dato che nelle cure omeopatiche sono necessarie dosi piccolissime, è ben comprensibile che, in esse, sia escluso, dal regime dietetico e dal regime di vita, ogni cosa, che in qualsiasi modo possa agire da medicamento, al fine che la dose minima non venga sopraffatta, diminuita od anche solo ostacolata, nella sua azione, da uno stimolo medicamentoso estraneo.

§ 260.
Per malati cronici la ricerca accurata di tali ostacoli alla guarigione è ancora più necessaria, poiché la loro malattia di solito è stata aggravata da errori, spesso sconosciuti, del regime di vita.

§ 261.
Il regime di vita più conveniente, durante la cura, nelle malattie croniche, consiste nel rimuovere gli ostacoli alla guarigione, prima citati, e di procurare, quando occorra, condizioni opposte, come ad es.: divertimenti innocenti, moto attivo all’aria aperta, con qualsiasi tempo, (passeggiate giornaliere, piccoli lavori manuali); alimentazione nutriente senza elementi medicamentosi ecc..

§ 262.
Invece nelle malattie acute — tranne che quando vi è confusione mentale — decide la voce infallibile del senso istintivo della conservazione della vita, che qui parla tanto chiaro e deciso. Il medico, i parenti e chi assiste il malato non hanno altro da fare che non ostacolare la natura, sia proibendo ciò che il malato urgentemente chiede, sia cercando di persuaderlo a prendere cose che gli nuocerebbero.

§ 263.
Generalmente il malato acuto chiede cibi e bevande, che costituiscono un palliativo e portano un sollievo momentaneo; essi di solito non hanno qualità medicinali e rispondono ad un bisogno del momento. I piccoli ostacoli alla guarigione, che potrebbero derivare dal soddisfare in misura moderata questi desideri del paziente, sono compensati, anche ad usura, dalla forza della medicina omeopatica adatta e del principio vitale da essa liberato, come anche dal sollievo del malato, dovuto alla soddisfazione del suo ardente desiderio. Così pure nelle malattie acute per la temperatura della stanza e per il maggior o minor numero di coperte del letto devesi tener conto del desiderio del malato. Ogni fatica mentale ed anche ogni emozione deve essere da lui tenuta lontana.

§ 264.
Il vero medico deve avere le medicine più pure e più potenti che sia possibile, per poter essere sicuro della loro azione terapeutica; quindi deve saperne giudicare la purezza.

§ 265.
E’ questione di coscienza, per lui, il poter essere convinto in modo assoluto, che il malato prenda sempre la medicina giusta.
Per questo egli stesso, con le sue proprie mani, deve dare al malato la medicina scelta; come pure egli deve prepararsi le medicine.

§ 266.
Le sostanze provenienti dal regno animale e vegetale possiedono la migliore azione medicamentosa, quando sono allo stato greggio.

§ 267.
Il modo migliore e più sicuro per ricavare i principi attivi dalle piante indigene e che si possono avere fresche consiste nel mescolare immediatamente e bene tutto il succo fresco, ottenuto con la spremitura, con alcole assoluto in parti uguali. Il miscuglio, in recipiente di vetro tappato, si lascia a riposo per ventiquattro ore e poi si travasa la parte chiara, che viene conservata per uso medicinale, lasciando il sedimento formato da fibre e sostanze organiche.
L’alcool impedisce ogni fermentazione presente e futura del succo delle piante. Il succo delle piante, che, così trattato, contiene tutti i principi attivi al completo ed inalterati si può conservare indefinitamente, in boccette di vetro ben tappate e chiuse ermeticamente con cera fusa, per evitare ogni evaporazione, e tenute preservate dalla luce solare.

§ 268.
Per quanto riguarda le piante esotiche, le loro cortecce, semi e radici, che non si possono avere allo stato fresco, il medico prudente non ne accetterà mai alcuna, sotto forma di polvere, sulla parola e sulla fede altrui, ma cercherà di averle allo stato greggio e non preparate, per convincersi della loro purezza, prima di farne un qualsiasi uso terapeutico.

§ 269.
L’omeopatia sviluppa, per il raggiungimento dei propri fini, le energie terapeutiche, interne e quasi spirituali delle sostanze grezze, mediante un trattamento speciale, finora non usato; e le sviluppa ad un grado altissimo, di modo che esse diventano assai attive, giovevoli e di azione assai profonda. Diventano tali perfino quelle, che allo stato greggio non manifestano sul corpo umano alcuna azione. Questa meravigliosa trasformazione delle qualità di sostanze naturali, mediante un’azione meccanica, che agisce sulle loro particelle più piccole a mezzo della triturazione e succussione, (mentre esse con l’interposizione di una sostanza indifferente, sia allo stato solido che liquido, rimangono separate tra loro) sviluppa energie prima non palesi, latenti, dinamiche, che agiscono soprattutto sul principio vitale e sullo stato di salute della vita animale. Questo procedimento si denomina dinamizzare, potentizzare ed i suoi prodotti dinamizzazioni o potenze nei vari gradi.

§ 270.
Per attuare nel modo migliore questo sviluppo di energia, si prende una piccola porzione della sostanza da potentizzare, circa un grano, lo si tritura per tre ore con trecento grani di lattosio, nella maniera esposta in nota.
Per le ragioni, che verranno in seguito indicate, si prende quindi un grano di questa polvere e lo si scioglie in una miscela fatta con una parte di alcool assoluto e quattro parti di acqua distillata. Una sola goccia di questa soluzione viene messa in una boccetta, nella quale si versano cento gocce di alcool assoluto (la boccetta abbia grandezza tale, che, con questo contenuto, sia riempila per due terzi). Tappata bene, la boccetta riceverà cento scosse forti, eseguite con la mano contro un corpo duro, ma elastico (per es. un libro rilegato in pelle). Questo è il primo grado di dinamizzazione della medicina, la prima potenza; con essa si bagnano leggermente granuli di zucchero, che si asciugano distendendoli su carta assorbente, e si conservano in boccetta chiusa con tappo, con la scritta « prima potenza, 1a ». Di questa, per l’ulteriore dinamizzazione, si prende un sol granulo, lo si mette in un’altra boccetta nuova (con una goccia d’acqua per scioglierlo) e versatevi cento gocce di alcool assoluto, si potentizza con cento forti scosse. Con questo liquido potentizzato si imbevono lievemente granuli di zucchero, che poi si asciugano, distendendoli rapidamente su carta asciugante, e si conservano in boccetta ben tappata, riparata dal calore e dalla luce, e con l’indicazione « 2a potenza ».
Con questo procedimento si preparano anche le altre diluizioni. La trentesima si preparerà con un sol granulo della XXIX e cento gocce di alcool; potentizzando tale soluzione con cento forti scosse e trattando poi con essa granuli di zucchero nel modo prima indicato. Le sostanze medicinali gregge, sottoposte a tale trattamento, danno preparazioni capaci di venire a contatto con le parti sofferenti dell’organismo malato e di liberare il principio vitale dal senso della malattia naturale mediante un processo morboso artificiale simile.
Con queste manipolazioni meccaniche, che vengono eseguite, con scrupolo, con le modalità prima esposte, si ottiene che un dato corpo, che allo stato greggio a volte non rappresenta neanche una sostanza medicinale, viene alla fine tutto trasformato, mediante diluizioni sempre più alte, in energia dinamica, che come tale non cade più sotto i nostri sensi. I granuli di zucchero, già allo stato secco, ma ancora più se sciolti in acqua, costituiscono il veicolo di tale energia. L’azione terapeutica è esplicata nell’organismo malato da questa forza invisibile trasportata dai granuli.

§ 271.
Se il medico prepara da sé le medicine omeopatiche, come dovrebbe sempre fare per salvare l’umanità dalle malattie, può, giacché ben poca sostanza allo stato greggio è necessaria, adoperare (se non ha bisogno del succo spremuto) la stessa pianta fresca; ne mette un paio di grani in un mortaio per triturarla con tre terzi di cento grani di lattosio ecc.. Tale procedimento devesi seguire anche con le medicine allo stato solido e di natura oleosa.

§ 272.
Un granulo, preso a secco sulla lingua, costituisce una delle dosi minime per un caso di malattia acuta, di media intensità, in tal caso solo pochi nervi vengono a contatto con la medicina. Ma uno stesso granulo triturato con un po’ di lattosio, sciolto in molta acqua, quando si agiti bene la soluzione ogni volta prima di somministrarla, dà una medicina molto più potente e sufficiente per l’uso di molti giorni. E, così trattata e somministrata, questa dose, pure così piccola, viene a contatto con molti nervi.

§ 273.
In nessun caso di malattia è necessario, e per questo soltanto non è lecito, somministrare al malato, in una volta, più di un’unica medicina semplice, ben nota nella sua azione, oppure un miscuglio di più medicine diverse tra loro. Nell’unica terapia vera e semplice, nella terapia veramente naturale qual’é la omeopatia, non è permesso dare al malato due diverse medicine in una volta.

§ 274.
Poiché il vero terapeuta trova ciò che, può desiderare già nelle medicine del tutto semplici, non mescolate ad altre e date una per volta (costituenti potenze di malattie artificiali, capaci di superare in modo completo, con la loro energia omeopatica, le malattie naturali, di cancellarle dalla coscienza del principio vitale e di portare guarigione duratura), non gli salterà mai in mente, anche in omaggio al detto proverbiale di non andare in cerca delle cose difficili e complicate, quando una meta si può raggiungere con cose semplici, di usare più di una medicina semplice per volta. Difatti, anche se si conoscono le azioni pure e caratteristiche delle singole medicine semplici sull’organismo sano, è impossibile prevedere quali azioni esse possono avere nel malato, quando agiscono contemporaneamente in più di una. Inoltre, se un medicamento semplice, conosciuto esattamente in tutti i suoi sintomi, è scelto omeopaticamente per un dato caso di malattia, esso giova, già da solo, in tutto; se, nel peggiore dei casi, non presenta una completa somiglianza con i sintomi della malattia, e quindi non giova, ha però il vantaggio di aiutare la scelta del nuovo medicamento più simile, poiché risveglia nuovi disturbi, che confermano quei sintomi, che il medicamento è capace di determinare nell’esperimento sull’uomo sano; questo vantaggio non si ha nell’uso di medicine composte.

§ 275.
La convenienza di un medicamento, per un dato caso di malattia non sta soltanto nella giusta scelta omeopatica di esso, ma anche nella giusta grandezza o meglio piccolezza della sua dose necessaria. Se si somministra una dose troppo forte di una medicina, anche scelta in tutto conforme alla legge dei simili, essa, fatta astrazione delle sue proprietà benefiche, dovrà essere dannosa, perché, per la sua dose, esplicherà un’azione eccessiva, non necessaria, sui principio vitale, ed a mezzo di questo, per la sua omeopaticità, sulle parti dell’organismo più sensibili e già molto colpite dalla malattia naturale.

§ 276.
Una medicina, anche se conveniente per la sua omeopaticità ad una dato caso di malattia, somministrata in dose eccessiva, nuoce e nuoce tanto più, quanto più essa è omeopatica e quanto più alta è la sua potenza e molto più di qualsiasi altra medicina, di ugual dose, non omeopatica, senza alcuna somiglianza con il caso di malattia. Dosi eccessive di una medicina omeopatica bene scelta e soprattutto una frequente ripetizione di essa portano, di solito, grande danno. Esse mettono non raramente il malato in pericolo di vita o rendono la sua malattia quasi incurabile. Esse distruggono nel principio vitale il senso della malattia naturale; il malato non soffre più della malattia originaria dal momento in cui agisce su lui questa dose eccessiva di medicina, ma poi è più malato per la malattia del tutto simile, ma più intensa scatenata dal medicamento, che è anche difficilissima a guarire.

§ 277.
Per gli stessi motivi e perché una medicina ben potentizzata ed a dose piccola diventa più efficace e giovevole, quasi fino al miracolo, quanto maggiore è la sua omeopaticità, una medicina, la cui scelta sia omeopatica, deve essere tanto più efficace, quanto più la sua dose si avvicina alla tenuità necessaria più adatta per il suo effetto benefico in forma mite.

§ 278.
Ora sorge la domanda: quale è il grado di tenuità della dose più conveniente per portare un aiuto dolce? ossia in quale dose si deve somministrare la medicina omeopatica scelta per un dato caso di malattia? La risposta a queste domande ossia lo stabilire per ogni medicina la dose più adatta a portare la guarigione nel modo più dolce e più rapido non è, come si capisce facilmente, oggetto di supposizioni teoriche; giudizi cervellotici, sofisticherie cavillose risolvono così poco il problema, come la pretesa di voler registrare tutti i casi possibili in una tabella. Unicamente l’esperimento, la diligente osservazione dell’eccitabilità di ciascun malato e l’esperienza possono servire di guida, volta per volta, nello stabilire la dose. Sarebbe assurdo il voler contrapporre a quello che insegna l’esperienza nei riguardi della grandezza della dose di medicine omeopatiche, necessaria a dare la guarigione, le grandi dosi di medicina della vecchia pratica medica (allopatia), che nomi vengono ad agire sulle parti malate dell’organismo, ma aggrediscono parti non attaccate dalla malattia.

§ 279.
L’esperienza pura dimostra, in modo assoluto, che, quando la malattia non è sostenuta da evidenti gravi processi patologici di un organo interno importante, (anche se essa è fra le malattie croniche e complicate), anche se durante la cura sono state tenute lontane tutte le possibili interferenze di medicamenti estranei, la dose del medicamento scelto, omeopaticanente e potentizzato ad alto grado, al principio della cura di una malattia importante (specie se cronica), di regola, non può mai essere preparata così piccola da essere più debole della malattia naturale da non superare almeno in parte questa, da non cancellare, sia pure in parte, nel principio vitale il senso della malattia e da non determinare già un principio di guarigione.

§ 280.
La dose della medicina, che dà continuo miglioramento e non fa insorgere nuovi sintomi molesti, viene gradualmente aumentata
e continuata fino a quando il malato, che si sente migliorato nello stato generale, comincia ad avvertire leggermente di nuovo, uno
o più disturbi vecchi, iniziali.
Questo fatto, che si osserva quando si somministra una medicina, a dose piccolissima, aumentandola gradatamente e potentizzandola ogni volta con la succussione, indica che la guarigione è vicina, poiché ora il principio vitale non ha più bisogno di venire attaccato dalla malattia simile del medicamento per perdere il senso della malattia naturale; ed indica che ora il principio vitale, liberato di più dalla malattia naturale, comincia a soffrire soltanto poco per la malattia artificiale, prodotta dal medicamento, che costituisce il così detto aggravamento omeopatico.

§ 281.
Per persuadersi di quanto ora esposto, basta lasciare il malato senza medicina per otto, dieci, quindici giorni, dandogli in questo frattempo qualche cartina di solo lattosio.
Così facendo, se i pochi ed ultimi disturbi sono dovuti al medicamento, che imita i sintomi vecchi, iniziali della malattia naturale, essi spariscono in pochi giorni o in poche ore, se il malato mantiene un regime di vita corretto; se poi, nel tempo in cui il malato non prende più medicine, nessun altro segno della malattia originaria compare, vuol dire che molto probabilmente s’è raggiunta la guarigione. Ma se negli ultimi giorni si presentano ancora sintomi della malattia, essi sono residui non ancora spenti della malattia originaria, che devono venire di nuovo trattati con potenze più alte di medicina, nel modo già indicato. Le dosi iniziali piccolissime, devono, naturalmente, venire aumentate gradatamente, in malati molto eccitabili in misura più ridotta e in modo più lento che in malati insensibili; in questi si può salire presto a dosi più alte. Vi sono malati, che, rispetto agi insensibili, hanno una eccitabilità nel rapporto di mille ad uno.

§ 282.
Il fatto, che durante la cura, specialmente di malattie croniche, già le dosi iniziali, sebbene modificate (potentizzate ad un grado più alto) ad ogni ripetizione, abbiano portato un così detto aggravamento omeopatico, ossia una notevole esacerbazione dei sintomi prima rilevati nella malattia originaria, costituisce un segno sicuro che le dosi erano troppo grandi.

§ 283.
Per agire in tutto secondo natura, il vero medico prescriverà la medicina omeopatica, sotto ogni riguardo ben scelta, in dose minima anche per il fatto, che se, per errore umano possibile, la medicina non fosse adatta, il danno da essa proveniente sia piccolo e possa venir vinto dalla forza vitale stessa e da una pronta somministrazione di un medicamento più conveniente (pure in dose piccolissima).

§ 284.
Oltre la lingua, la bocca e lo stomaco, sono suscettibili di ricevere le azioni dei medicamenti liquidi il naso e gli organi respiratori, con il fiuto e la inspirazione attraverso la bocca. Però anche tutta la superficie del corpo, rivestita da pelle, è adatta a ricevere le azioni della soluzione liquida dei medicamenti, specialmente se la frizione con gli stessi è legata all’uso contemporaneo interno della medicina.

§ 285.
Quindi la guarigione di malattie molto vecchie può venir favorita dall’uso, contemporaneo a quello interno, di frizioni sulla pelle (al tronco, alle braccia, alle gambe, alle cosce) con la stessa medicina, che viene data per bocca. In tale caso si devono evitare le parti che soffrono di dolori, di crampi o di eruzione cutanee.

§ 286.
Non meno omeopaticamente delle vere medicine, che vengono somministrate per bocca o per frizioni sulla pelle o per fiuto, e non meno energicamente, agisce la forza dinamica magnetica, elettrica e galvanica sul nostro principio vitale; e con questi mezzi possono venire guariti casi di malattia con sensibilità ed irritabilità anormali, malattie psichiche con abnorme sentimento e movimenti muscolari involontari. Però il modo di usare i due ultimi mezzi come pure l’uso della macchina elettromagnetica sono pratiche non molto chiare, per applicarle in omeopatia. Per lo meno finora l’elettricità e il galvanismo si sono usati come mezzi palliativi, con grande danno dei malati. Le azioni positive e pure di questi due mezzi finora sono state ancora poco esperimentate sul corpo umano sano.

§ 287.
La forza magnetica può essere sicuramente usata in terapia, essendo note le azioni positive del polo nord e del polo sud di una potente sbarra magnetica. Ambedue i poli hanno uguale forza, che però esplicano in modo diverso. Le dosi si regolano con applicazioni più o meno lunghe di uno o dell’altro polo, a seconda che siano più indicati i sintomi del polo sud o del polo nord. Quale antidoto di una azione troppo violenta serve l’applicazione di una lastra lucida di zinco.


§ 288.
A questo punto trovasi necessario accennare al così detto magnetismo animale, denominato meglio Mesmerismo (in onore a Mesmer, suo scopritore). Esso si differenzia da tutte le altre medicine esistenti in natura. Questa forza curativa, per tutto un secolo, insensatamente negata o derisa, questo meraviglioso e inestimabile dono fatto da Dio all’uomo, che una potente volontà di un uomo ben intenzionato, con contatto o no, perfino ad una certa distanza, fa affluire in un malato (come uno dei poli di una potente calamita in una sbarra di acciaio greggio) agisce in diversi modi. Essa sostituisce la forza vitale mancante in qualche parte dell’organismo del malato; deriva altrove l’accumulo eccessivo di forza vitale, che si è formato in qualche parte dell’organismo e che è causa di infiniti mali nervosi; cancella soprattutto la perturbazione morbosa del principio vitale nei malati e vi sostituisce una sensazione normale di salute; per es. in piaghe di vecchia data, nell’amaurosi, in paralisi di qualche arto ecc..
A questo genere di cure appartengono quelle fatte in tutti i tempi, con esiti miracolosi, da persone dotate di grande forza magnetica. Ma l’esempio più brillante della trasmissione di forza umana su tutto l’organismo è il richiamo in vita di persona giacente da qualche tempo in morte apparente, per opera della volontà fortissima e ben intenzionata di un uomo, pieno di forza vitale; una specie di risurrezione, confermata dalla storia con parecchi casi incontestabili. Se la persona, che usa il mesmerismo, sia essa di sesso maschile o femminile, è anche capace di entusiasmo buono (sia pure bigottismo, fanatismo, misticismo o estasi) viene a trovarsi in condizioni migliori per l’applicazione di questa azione filantropica, che richiede sacrificio; essa può meglio non solo dirigere la forza della sua bontà dominante esclusivamente sull’oggetto bisognoso di aiuto, ma anche concentrarvela e così a volte operare prodigi.

§ 289.
Tutti questi metodi di applicazione del mesmerismo consistono nell’infondere dinamicamente più o meno forza vitale del malato e costituiscono il mesmerismo positivo. Un modo di applicazione, che si esplica in maniera contraria, costituisce invece il mesmerismo negativo. Ad esso appartengono i passaggi, usati per il risveglio dallo stato di sonnambulismo, e tutte le pratiche manuali comprese nelle denominazioni « calmare » e «ventilare ». Il modo più semplice e più sicuro di scaricare, con il mesmerismo negativo, la forza vitale, accumulata in eccesso in qualche parte dell’organismo di persona non indebolita, consiste nel fare movimenti molto rapidi con la mano destra distesa, tenuta circa un pollice di distanza dal corpo ed in senso parallelo, dalla testa fino alla punta dei piedi. Quanto più rapidamente si eseguisce questo passaggio, tanto maggiore è la scarica. Per esempio, in caso di morte apparente di una donna prima sana, nella quale per un violento trauma morale venne soppressa d’improvviso la mestruazione, prossima a comparire, la forza vitale, probabilmente accumulatasi nella regione precordiale, può venire scaricata con questo passaggio rapido di mesmerismo negativo e distribuita nel suo equilibrio in tutto l’organismo, per cui di solito ne segue subito il ritorno alla vita.
Così pure a volte un passaggio lieve, non rapido, calma, in persone molto eccitabili, una grande inquietudine ed un’insonnia ansiosa derivanti da un passaggio positivo troppo forte.

§ 290.
A queste pratiche appartiene in parte anche il così detto massaggio, eseguito da una persona robusta, ben intenzionata. Essa eseguisce delle manovre sui muscoli degli arti, del torace, della schiena di una persona convalescente, che presenta ancora dimagramento, debolezza digestiva ed insonnia. Tali manovre consistono nell’afferrare i singoli muscoli, nell’eseguirvi una pressione moderata e un movimento di impastare; con esse il principio vitale viene stimolato a reagire ed a ristabilire il tono dei muscoli e dei vasi sanguigni e linfatici. La base di queste pratiche, che non devono essere esagerate in persone ancora irritabili, è naturalmente il mesmerismo.

§ 291.
I bagni di acqua pura sono mezzi di cura sussidiari, in parte con azione palliativa, in parte omeopatica, che aiutano a ristabilire la salute di malati acuti come pure di convalescenti guariti da malattie croniche, quando si prenda nella dovuta considerazione lo stato del paziente, la temperatura dell’acqua, la durata e la ripetizione del bagno. Essi determinano nell’organismo, anche se usati bene, solo modificazioni benefiche di carattere fisico, e quindi di per sé non sono una vera medicina. I bagni tiepidi da 25 gradi a 27 gradi R. servono a risvegliare la sensibilità assopita delle fibre nervose in morti apparenti (congelati, annegati, soffocati). In tali casi la loro azione è palliativa; in altri, unitamente a somministrazione di caffè e frizioni sulla pelle, si mostrano abbastanza efficaci e possono costituire un aiuto omeopatico in casi, dove la eccitabilità è distribuita in modo ineguale ed anche eccessivo in alcuni organi, come in alcuni crampi isterici e convulsioni dei bambini. L’immersione istantanea in bagni freddi, da 10 gradi a 6 gradi R., di convalescenti guariti da malattie croniche con medicine e che hanno scarso calore vitale, rappresenta un aiuto omeopatico, mentre le ripetute immersioni sono solo un palliativo per il ristabilimento del tono rilassato della muscolatura e dei nervi; per il raggiungimento di quest’ultimo scopo i bagni son da farsi con durata di alcuni minuti e a temperatura sempre più bassa. Essi costituiscono un palliativo, che, poiché agisce solo fisicamente, non è legato ai danni, che può dare invece un palliativo medicamentoso dinamico.

 

 

 

 

 

 








 

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