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ORGANON
Dell’Arte del Guarire
di Samuel Hahnemann
VI EDIZIONE
PRESENTAZIONE
Similia similibus curantur:
I simili guariscono i simili. È l’affermazione di Hahnemann, il fondatore dell’Omeopatia, che cura con dosi infinitesime di rimedi « simili » al male, diluite all’ennesima potenza. Mentre il principio è valido ed efficace nel caso dell’Omeopatia, non lo è altrettanto allorché, ispirandosi ad esso, si ricorre ai vaccini, per prevenire le malattie.
Romolo Mantovani
Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.
Luca 6, 19
Riportiamo in questa pagina i 291 paragrafi della sesta edizione dell’Organon di Hahnemann, fondatore dell’Omeopatia. Questa grande opera ricca di solida esperienza contiene le leggi fondamentali dell’Omeopatia e della Natura vivente, comprese la legge della similitudine, la legge dell’infinitesimale con le sue diluizioni e dinamizzazioni, l’energia dinamica, l’unità organica, la forza vitale, l’aggravamento omeopatico nonché le crisi di eliminazione della malattia, il magnetismo e la trasmissione della forza vitale.
Ma Cristiano Federico Samuele Hahnemann ha compreso che la forza vitale curativa si può trasmettere per contatto e anche a distanza, alcune sue parole: “Questa forza curativa, questo meraviglioso e inestimabile dono fatto da Dio all’uomo…” sono parole da iniziato.
Profonda riconoscenza per il valore e la verità che troverete nel seguente scritto meritevole di aver aperto la via verso un’Arte del Guarire, i cui singoli rimedi sono tuttora in Italia “oscurati e boicottati” in quanto non gli è permessa la pubblicità. L’efficacia dei rimedi omeopatici è in realtà stata verificata positivamente già dalla Scienza dello Spirito Antroposofica, scientificamente provata da oltre mezzo secolo e negli stati più evoluti come Germania e Francia viene utilizzata perfino negli ospedali, inoltre sono ormai centinaia di migliaia i medici che prescrivono i medicinali omeopatici come unica terapia o a sostegno di altre e milioni gli utilizzatori.
La vasta scelta dei rimedi omeopatici comprende una folta gamma proveniente dal regno minerale e vegetale, il procedimento di diluizione e dinamizzazione consente di trarre benefici anche da piante tossiche o velenose ed esaltarne l'efficacia nei confronti dei sintomi evidenziati dai proving in soggetti " sani ", mantenendone le caratteristiche fitoterapiche e nutrizionali di fondo. Gli stessi autori delle materie mediche citano spesso riferimenti ed apprezzamenti nei riguardi dell'uso ultrasecolare attuato ed innato negli esseri viventi. Questa forma di collaborazione dimostra la grande potenza insita nella Natura e la saggezza dell'uomo quando riesce a comprenderla e amarla.
Solo un'apertura verso la Vita e una riflessione cosciente può fare emergere il nostro intuito e riconoscere la verità, più aumentano le divisioni e più ci si allontana da essa. Uniamoci quindi per cercare una visione che si avvalga degli apporti di reciproco aiuto, delle varie esperienze consolidate nel tempo.
Antonio Bigliardi
§ 1.
Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia,
come si dice, di guarirli.
§ 2.
La guarigione ideale è la restaurazione rapida, dolce, duratura della salute
ossia la rimozione del male nella sua totalità nel modo più rapido, più sicuro
ed innocuo, e per ragioni evidenti.
§ 3.
Se il medico capisce la malattia ossia sa che cosa si deve guarire nei singoli
casi di malattia = riconoscimento della malattia, indicazione; se
il medico sa chiaramente quello che nelle medicine, anzi in ogni singolo
medicamento, v’è che guarisce = Conoscenza del potere dei medicamenti; se
sa adattare, con motivi fondati, il potere medicamentoso dei rimedi con quanto
di sicuramente patologico ha riconosciuto nel malato, in modo da portare la
guarigione sia per l’esattezza dell’indicazione del medicamento = scelta del
medicamento più opportuno e corrispondente al caso per il suo modo di azione, sia
per l’esattezza della preparazione e della quantità (dose giusta) e
della sua ripetizione; se finalmente conosce gli ostacoli alla guarigione in
ogni caso e sa rimuoverli, affinché la guarigione sia definitiva, allora egli
opera utilmente e radicalmente ed è un vero terapeuta.
§ 4.
Egli è pure un igienista, se conosce le cause che disturbano la salute e
determinano e mantengono le malattie e sa da esse preservare l’uomo sano.
§ 5.
I dati relativi alla causa più probabile della malattia acuta, come pure i
momenti più importanti della malattia cronica, desunti da tutta la storia
nosologica, sono di ausilio al medico, per stabilire la causa fondamentale del
male, che per solito è dovuto a un miasma cronico.
Inoltre devesi tener conto della costituzione fisica del malato (specie di
quello cronico), il suo carattere affettivo e psichico, la sua occupazione, il
suo metodo di vita, le sue abitudini, le condizioni sociali e familiari,
la sua età, le sue funzioni sessuali ecc..
§ 6.
L’osservatore imparziale, conoscendo il nessun valore di reperti fantastici,
che non si possono dimostrare, non vede nelle malattie se non le alterazioni
del corpo e dello spirito riconoscibili coi sensi (sintomi) ossia le deviazioni
dallo stato sano, preesistente nell’individuo ora malato, deviazioni avvertite
dal malato stesso, notate dai conviventi e constatate dal medico.
Tutti questi segni osservati costituiscono la malattia nel suo complesso
totalitario ossia costituiscono la forma morbosa vera ed unica concepibile.
§ 7.
Poiché in una malattia, in cui evidentemente nessuna causa determinante
o sostenente v’è da rimuovere (causa occasionale) null’altro è possibile
constatare all’infuori dei sintomi [pur con riguardo a qualche miasma e
considerando i fattori secondari], soltanto i sintomi nella loro totalità (essi
danno il quadro riflettente l’intima essenza della malattia ossia il male
della forza vitale) devono costituire l’essenziale, che la malattia
indica per fare riconoscere quale medicamento essa necessita per guarire, e
rappresentare l’unico momento che può determinare la scelta del rimedio più
adatto.
In altre parole la totalità dei sintomi deve costituire per il medico la
guida essenziale ed unica per riconoscere quello che egli in ogni malattia deve
con la sua arte togliere, affinché la malattia sia guarita e sia ripristinato
lo stato di salute.
§ 8.
Non si può pensare, né dimostrare con alcuna esperienza al mondo, che, dopo la
rimozione di tutti i sintomi della malattia e di tutto l’assième dei disturbi
percepibili, rimanga o possa rimanere altra cosa se non la salute, come se
l’alterazione morbosa fosse rimasta non spenta nell’organismo.
§ 9.
Nello stato di salute dell’uomo la forza vitale, vivificatrice
e misteriosa, domina in modo assoluto e dinamico (autocrazia) il
corpo materiale (organismo) e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita
armonica di sensi ed attività, in modo che il nostro intelletto ragionevole si
possa servire liberamente di questo strumento sano e vitale per gli scopi
superiori della nostra esistenza.
§ 10.
L’organismo materiale, considerato senza forza vitale, è incapace di
alcuna sensazione, di alcuna attività e di autoconservazione.
Unicamente l’essenza immateriale — principio vitale, forza vitale —
conferisce all’organismo materiale, nello stato di salute e di malattia,
tutte le sensazioni e determina le sue funzioni vitali.
§ 11.
Quando l’uomo ammala, dapprincipio è perturbata soltanto questa forza
vitale (principio vitale) — indipendente e presente ovunque
nell’organismo ed immateriale — dall’azione, nemica alla vita e dinamica, di
qualche agente patogeno. Unicamente il principio vitale perturbato ad
uno stato anormale può determinare nell’organismo sensazioni spiacevoli e
conseguenti funzioni irregolari ossia produrre quello che noi chiamiamo
malattia. Di fatti questa potenza, per sé invisibile e riconoscibile
solo nelle sue manifestazioni, nell’organismo mette in evidenza la sua
perturbazione morbosa sotto forma di malattia nei sentimenti ed attività —
l’unica parte dell’organismo aperta ai sensi dell’osservatore e del medico —
rilevabile dai sintomi del male e da null’altro.
§ 12.
Unica la forza vitale morbosamente perturbata provoca le malattie, in
modo che le manifestazioni di malattia percepibili dai nostri sensi, come pure
tutte le alterazioni interne, esprimono la perturbazione totale morbosa del
principio dinamico interno e rappresentano tutta la malattia.
D’altra parte lo sparire di tutte le manifestazioni di malattia — ossia di
tutto quanto era deviazione dimostrabile dei processi vitali sani per opera
della guarigione, come pure la restitutio ad integrum del principio vitale
presuppone necessariamente il ritorno della salute di tutto l’organismo.
§ 13.
Di conseguenza la malattia, — che non cade nel campo della manuale chirurgia —
(come avviene per gli allopatici) non è da considerare come un quid (materia
peccans) separato dall’organismo vivente e dal principio dinamico che lo
vivifica, sia pure esso considerato come qualche cosa di minutissimo. Tale
concezione errata poteva prendere piede solo in cervelli materialistici e dare
alla medicina da secoli quell’indirizzo pernicioso, che l’ha resa vera arte di
malanni.
§ 14.
Non vi è alcuna malattia né alcuna alterazione morbosa nell’interno
dell’organismo, che non si dia a riconoscere per mezzo di segni (sintomi) al
medico, che attentamente osserva.
Questo per bontà infinita dell’Onnisciente Conservatore della vita dell’uomo.
§ 15.
Il male della forza vitale, vivificatrice del nostro corpo, perturbata
morbosamente e immaterialmente nell’interno invisibile, e l’insieme dei sintomi,
da essa determinati nell’organismo e percepibili all’esterno e costituenti la
malattia, formano un tutto unico, sono la stessa cosa. L’organismo è lo
strumento materiale per la vita, che non si può pensare senza la vivificazione
da parte del principio vitale sensibile e dominante, come non si può
pensare la forza vitale senza organismo. Di conseguenza tutti e due
costituiscono un’unità, sebbene noi, per facilitarne la comprensione, li
scindiamo in due concetti.
§16.
La nostra forza vitale, quale principio spirituale dinamico, non
può venire aggredita ed intaccata da agenti nocivi all’organismo sano a mezzo
di potenze nemiche (che disturbano dal mondo esterno l’equilibrio della vita)
se non per via dinamica. Tutte le alterazioni morbose — malattie — non possono
essere rimosse dal medico in nessun modo se non con la forza dinamica virtuale
dei rimedi agenti sulla nostra forza spirituale vitale a mezzo della
sensibilità nervosa dovunque presente nell’organismo.
Per questo i medicamenti possono, con la loro azione dinamica sul principio
vitale, ristabilire la salute e l’armonia vitale e la ristabiliscono
realmente, quando i nostri sensi hanno rivelato al medico, attento osservatore
ed indagatore, le alterazioni osservabili nel malato (totalità dei sintomi) ed
hanno rappresentato la malattia così completamente da poterla curare.
§ 17.
Dal fatto che ogni volta nella guarigione, con la rimozione di tutto l’assieme
dei segni percepibili e dei disturbi della malattia, viene rimossa
contemporaneamente l’alterazione intima della forza vitale, che
costituisce la base del male — ossia la malattia nella sua totalità — segue che
il medico togliendo la totalità dei sintomi toglie e distrugge l’alterazione
intima ossia l’alterazione morbosa del principio vitale ossia il totale
della malattia, la malattia stessa. La distruzione della malattia equivale alla
restaurazione della salute, scopo supremo ed unico del medico, che ha coscienza
dell’importanza della sua arte. Questa non consiste in chiacchiere
apparentemente dotte, ma nel giovare ai malati.
§ 18.
Dalla verità inconfutabile che le malattie, al fine di far riconoscere il
rimedio necessario, all’infuori della totalità dei sintomi, con riguardo alle
modalità concomitanti, null’altro mettono in evidenza, deriva in modo assoluto
che la totalità dei sintomi rilevabili in ogni singola malattia e le loro
modalità costituiscono l’unica indicazione per la scelta del rimedio.
§ 19.
Siccome le malattie non sono che alterazioni dello stato sano dell’uomo, che si
manifestano con segni di malattia e la guarigione è possibile soltanto con il
cambiamento dello stato di malattia in stato di salute, si capisce
facilmente che le medicine non potrebbero guarire le malattie in nessun modo,
se non possedessero la forza di modificare lo stato dell’uomo nei suoi
sentimenti ed attività ed anzi unicamente in questa proprietà è riposta la loro
forza di guarigione.
§ 20.
Questa forza spirituale, insita nell’intima essenza dei medicamenti, di
modificare lo stato dell’uomo e quindi di guarire le malattie, non è per
se stessa in alcun modo riconoscibile con solo sforzo di ragionamento; si
lascia chiaramente mettere in evidenza nelle sue manifestazioni durante l’azione
sull’uomo, nelle esperienze.
§ 21.
Dal fatto che il potere di guarigione dei medicamenti non si può riconoscere in
loro stessi (nessuno può negare questo asserto) — dal fatto che negli
esperimenti, eseguiti anche dall’osservatore più acuto, dei rimedi nulla può
essere dimostrato, che li elevi ad essere medicamenti, se non quella forza che
hanno di trasformare chiaramente lo stato dell’organismo, in special modo lo
stato di salute dell’organismo, e di produrre in esso sano
molteplici e determinati sintomi di malattia — deriva che le medicine, per
agire come mezzi di cura, devono esprimere il loro potere terapeutico
unicamente a mezzo della loro proprietà di modificare lo stato dell’uomo
producendo sintomi loro particolari.
Noi dobbiamo quindi attenerci unicamente alle sindromi morbose, che i
medicamenti producono nel corpo sano, come all’unica espressione possibile
della loro forza curatrice, per sapere quale forza produttrice di malattia
possiede ogni medicamento e conseguentemente quale è la sua potenza
terapeutica.
§ 22.
Poiché nelle malattie null’altro si può dimostrare da rimuovere in esse — per
ridare lo stato di salute — se non la totalità dei segni e sintomi, ed
anche nelle medicine null’altro è dimostrabile curativo se non la loro proprietà
di produrre sintomi di malattia nell’uomo sano e rimuoverli nel malato, le
medicine portano la guarigione e distruggono le malattie solo in quanto i
medicamenti col produrre certi sintomi e sindromi — ossia col produrre ad arte
un certo stato di malattia — rimuovono e distruggono lo stato naturale di
malattia.
Inoltre ne consegue che per la totalità dei sintomi della malattia da guarire
deve essere scelta quella medicina, che (secondo l’esperienza ha sintomi
rimovibili più facilmente, più sicuramente, più duraturamente con sostanze a
sintomi simili o contrari) ha dimostrato avere la migliore tendenza a produrre
sintomi simili o contrari.
§ 23.
Ogni esperienza pura ed ogni sperimento esatto ci convince che sintomi
di malattia persistenti vengono così poco allontanati e distrutti da
medicamenti a sintomi contrari (metodo antipatico, enantiopatico o palliativo),
che anzi, dopo apparente sollievo di breve durata, risorgono in grado più forte
ed evidentemente peggiorati.
§ 24.
Non rimane quindi (giovevole) efficace nessun altro metodo di uso di medicine
contro le malattie se non quello omeopatico, in grazia del quale viene
scelto un medicamento che agisce contro la totalità dei sintomi patologici con
riguardo alla causa di insorgenza, se nota, ed alle circostanze concomitanti e
che, fra tutti i medicamenti, (conosciuti per le alterazioni dimostrate nello
stato dell’uomo sano), ha la forza e proprietà di produrre ad arte lo stato di
malattia più simile al caso di malattia da curare.
§ 25.
L’esperienza pura — unico ed infallibile oracolo della terapia — ci
insegna appunto, in tutte le ricerche accurate, che quella medicina, che nella
sua azione sull’uomo sano s’è dimostrata capace di produrre, in modo simile,
la maggior parte dei sintomi, che si trovano nel malato da curare, rimuove somministrata
in dose opportunamente potentizzata e piccola, presto, radicalmente e
stabilmente anche la totalità dei sintomi dello stato patologico ossia
tutta la malattia presente e la trasforma in salute. Ci insegna inoltre che
tutte le medicine guariscono senza eccezione le malattie, che hanno i sintomi
similari più vicini, e che nessuna di dette malattie lasciano non guarita.
§ 26.
Questo si basa sulla seguente legge naturale omeopatica — legge qua e là
intravista, ma finora non riconosciuta e che è base di ogni vera guarigione:
« Un’affezione dinamica debole viene, nell’organismo vivente, duraturamente cancellata
da un’affezione più forte, se questa, differendo per qualità, le è assai simile
nella sua manifestazione ».
§ 27.
Il potere di guarigione delle medicine si basa quindi sui loro sintomi, di forza
superiore simili a quelli della malattia, cosicché ogni singolo caso
di malattia viene rimosso e distrutto nel modo più sicuro, più radicale, più
rapido e più duraturo soltanto da un medicamento che sia capace di produrre
nell’organismo umano la totalità dei sintomi nel modo più simile e più
completo e nel medesimo tempo superi in forza la malattia.
§ 28.
Poiché questa legge salutare di natura si manifesta in tutte le prove pure e in
tutti gli esperimenti puri del mondo, è dimostrato che il fatto esiste; poco
importa sapere scientificamente il perché questo avvenga ed io ci tengo poco a
tentarne la spiegazione. Pur tuttavia la seguente ipotesi è la più probabile,
perché si basa su chiare premesse sperimentali.
§ 29.
Poiché ogni malattia (non di spettanza della chirurgia) consiste in
una perturbazione, nei sentimenti ed attività speciali, patologica
dinamica della nostra forza vitale (principio vitale) — il principio
vitale, perturbato dinamicamente da malattia naturale, nella cura omeopatica
viene attaccato da un’affezione più forte, simile, artificiale, determinata
dalla somministrazione di una medicina potentizzata e scelta esattamente
per la somiglianza dei sintomi. In questo modo si spegne e scompare il senso
della affezione patologica naturale (più debole) dinamica, che da questo
momento non esiste più per il principio vitale. E il principio vitale
viene interessato ed ora dominato da questa affezione patologica artificiale,
più forte, che, estinta presto la sua azione, lascia libero e guarito il
malato.
La forza vitale dinamica così liberata può ora continuare la vita di
salute. Questo processo, verosimile al massimo grado, poggia sulle seguenti
basi:
§ 30.
Il corpo umano mostra di lasciarsi perturbare, nel suo stato, più fortemente da
medicine (anche perché noi possiamo dosarne la quantità) che dagli stimoli
delle malattie naturali, perché le malattie naturali vengono guarite e superate
da medicine appropriate.
§ 31.
Le potenze nemiche sia psichiche che fisiche, che si chiamano agenti patogeni,
nella vita terrestre non possiedono necessariamente la proprietà di
rendere malato l’uomo. Noi per causa di loro ammaliamo soltanto quando il
nostro organismo ne ha la disposizione e trovasi disarmato in modo che
l’agente patogeno presente può intaccarlo, alterare e perturbare lo stato di
salute e determinare sentimenti e funzioni anormali. Quindi gli agenti
morbosi non fanno ammalare chiunque ad ogni tempo.
§ 32.
Tutt’altro comportamento hanno le potenze producenti malattie artificiali,
potenze che si chiamano medicine. Ogni vera medicina agisce in ogni
tempo, in tutte le circostanze, in ogni uomo, provocando in esso sintomi ad
essa caratteristici (perfino colpendo chiaramente i sentimenti, se la dose era
sufficiente). Quindi è evidente che ogni organismo umano vivo deve venire
colpito, quasi a dire contagiato, in ogni tempo e incondizionatamente dalla
malattia da medicamento; mentre questo non avviene con le malattie
naturali.
§ 33.
Tutte le esperienze dimostrano in modo esplicito che l’organismo umano vivente
è di gran lunga più disarmato e più disposto ad essere stimolato e perturbato
nel suo stato da forze medicamentose che non dai soliti agenti patogeni e
miasmi contagianti. In altre parole: Gli agenti patogeni possiedono, per
alterare morbosamente lo stato umano, soltanto una forza subordinata e condizionata,
spesse volte molto condizionata, mentre i medicamenti hanno tale forza assoluta
ed incondizionata.
§ 34.
La maggior forza delle malattie prodotte artificialmente da medicamenti non è
però l’unica condizione del potere di guarigione di malattie naturali. Per la
guarigione si richiede anzitutto che la malattia artificiale sia simile
il più possibile alla malattia da guarire — che la malattia artificiale
possa con più forza determinare nel principio vitale istintivo, incapace di
superiorità e di ricordo, una disposizione patologica molto simile alla
malattia naturale in modo da estinguere e distruggere, e non solo oscurare, nel
principio vitale il senso della perturbazione morbosa naturale.
Questo è tanto vero che perfino una malattia di data più vecchia non può
venire guarita dalla natura con malattia non simile sopraggiunta, per
forte che essa sia, e tanto meno con cure mediche fatte con medicine
allopatiche incapaci di produrre nel corpo sano uno stato morboso simile.
§ 35.
A spiegazione di quanto sopra, esamineremo, in tre diversi casi, sia il
procedimento della natura in due malattie umane, naturali, dissimili tra loro,
sia l’esito del trattamento medico ordinario con medicine allopatiche,
disadatte ossia incapaci di produrre uno stato morboso artificiale simile alla
malattia da guarire. Vedremo così che la natura stessa è incapace di rimuovere
una malattia dissimile con una malattia non omeopatica, sia pure più forte,
come pure l’uso anche di forti medicine non omeopatiche mai è in grado di
guarire una qualsiasi malattia.
§ 36.
I. Le due malattie nell’uomo, dissimili tra loro, o sono di forza uguale o
la più vecchia è più forte; in tal caso la nuova malattia viene tenuta
lontana dall’organismo dalla malattia più vecchia.
Un malato di una malattia cronica grave non ammala di una dissenteria autunnale
o di altra malattia infettiva lieve. La peste del levante non attacca, secondo
Larrey, dove regna lo scorbuto, e persone con affezioni erpetiche ne restano
immuni. Il rachitismo, secondo Jenner, non permette di attecchire al vaccino
contro il vaiolo.
Secondo von Hildebrand, tubercolosi cavitari non vengono contagiati da febbri
epidemiche non troppo violente.
§ 37.
E così anche un vecchio male cronico non viene guarito da cura medica
ordinaria sia pure fatta blandamente, con metodo solito allopatico ossia
con medicamenti incapaci di produrre nell’uomo sano uno stato simile alla
malattia, sia pure che detta cura si prolunghi per anni. Questo si vede
giornalmente nella pratica e non ha bisogno di conferma da alcun esempio.
§ 38.
II. Oppure la nuova malattia dissimile è più forte.
In questo caso la malattia primiera, di cui soffriva il malato, come più
debole, viene differita e sospesa dalla nuova malattia sopraggiunta più forte,
fino a quando la nuova è decorsa o guarita. Allora la malattia primiera ritorna
in scena non guarita.
Due bambini affetti da una specie di epilessia rimasero senza accessi
epilettici dopo il contagio di tigna (tinea); ma appena l’eruzione al capo
sparì, ritornò l’epilessia come prima, secondo l’osservazione di Tulpius.
Un’eruzione scabbiforme, come osservò Schopf, sparì quando comparve lo
scorbuto, ma ritornò appena lo scorbuto fu guarito. Così pure una tubercolosi
polmonare cavitaria divenne latente, mentre il malato fu colpito da un tifo
violento, ma appena questo finì riprese il suo decorso.
Se un tubercoloso polmonare diventa maniaco, la tubercolosi viene allontanata
con tutti i suoi sintomi; ma quando la follia scompare, ritorna la tubercolosi
polmonare e porta a morte il paziente.
Quando contemporaneamente dominano vaiolo e morbillo ed ambedue i mali
colpiscono uno stesso bambino, di solito il morbillo, già sviluppato, viene
arrestato nel suo decorso dal vaiolo, venuto in secondo tempo, e continua solo
dopo l’avvenuta guarigione del vaiolo. Però non di raro, come ha osservato
Manget, anche il vaiolo, sviluppatosi dopo la vaccinazione fu interrotto per
quattro giorni nel suo decorso da sopraggiunto morbillo e il vaiolo riprese il
suo corso, fino alla fine, dopo la desquamazione morbillosa.
Anche
quando la vaccinazione contro il vaiolo era attecchita da sei giorni e
scoppiava il morbillo, si arrestava l’infiammazione dell’innesto e non
riprendeva prima che il morbillo non aveva terminato il suo decorso di sette
giorni. Durante una epidemia di morbillo, tale malattia colpì molti individui
il quarto o quinto giorno dopo la vaccinazione antivaiolosa ed arrestò lo
sviluppo dell’innesto fino a che il morbillo non guarì; solo allora le pustole
vacciniche si svilupparono bene ed ebbero decorso regolare.
La vera febbre scarlattinosa di Sydenham con angina fu arrestata in quarta
giornata da vaccinazione antivaiolosa, che decorse fino alla fine, e solo
allora continuò il suo corso. Ma avvenne pure, giacché pari, in apparenza, di
forza, che la vaccinazione in ottava giornata fu arrestata da sopraggiunta
febbre scarlattinosa di Sydenham e l’alone delle pustole vacciniche scomparve
fino alla scomparsa della febbre scarlattinosa, mentre poi la vaccinazione
riprese il suo corso fino alla fine. Hortum osservò che il morbillo arrestava
la vaccinazione in ottava giornata; quando l’innesto era vicino alla fine e
scoppiava il morbillo, l’innesto s’arrestava e riprendeva il suo corso, quando
il morbillo era al periodo di desquamazione, in modo che la vaccinazione in sedicesima
giornata era come fosse in decima giornata. Come pure Hortum osservò che
l’innesto vaccinico attecchì in un malato in corso di morbillo, ma si sviluppò
solo allo scomparire del morbillo.
Io stesso vidi un’angina parotidea sparire all’attecchimento della vaccinazione
antivaiolosa; soltanto finito il decorso della vaccinazione e scomparso l’alone
rosso delle pustole, ricomparve la tumefazione delle ghiandole parotidee e
sottomascellari e completò il suo decorso settimanale.
E così tutte le malattie dissimili tra loro si arrestano a vicenda, la più
forte arresta la più debole (sempre che non si complichino, come raramente
avviene nelle malattie acute), ma mai si guariscono l’un l’altra.
§ 39.
Questo ha constatato l’ordinaria scuola medica già da secoli ed ha visto che la
natura non una sola volta è in grado di guarire una qualsiasi malattia con
altra, che sopraggiunge, per quanto forte sia, se è dissimile da quella già
esistente. Che cosa pensare di essa, che ciò nonostante continua a curare le
malattie croniche con cure allopatiche, ossia con medicine e ricette, che solo
Iddio sa quale stato morboso, pur sempre dissimile, sono in grado di produrre,
per far fronte alla malattia da guarire? I medici, anche se non avessero
osservato attentamente la natura, avrebbero dovuto capire, dalle disastrose
conseguenze delle loro cure, che battevano strada falsa e contraria. Non
vedevano essi, quando facevano, come al solito, una cura d’attacco allopatica
contro una malattia cronica, che con essa cura determinavano solo una malattia
artificiale, dissimile alla malattia da curare, e che solo sopprimevano e
sospendevano il male e lo facevano tacere fino a quando sostenevano la malattia
artificiale, mentre la malattia da curare ritornava e doveva ritornare
in scena tutte le volte, quando la minor forza del malato non permetteva più di
continuare gli attacchi allopatici alla vita?
Così naturalmente scompare ben presto dalla pelle l’eruzione scabbiforme con
ripetuti e violenti purganti, ma se il malato non può più sopportare la
malattia dell’intestino (dissimile) prodotta a forza e non può più prendere
purganti, l’eruzione sulla pelle rifiorisce come prima, oppure la psora interna
si sviluppa dando qualche sintomo maligno, perché il malato oltre il suo male
primiero intatto, ha per giunta da sopportare anche una digestione dolorosa e
rovinata e una perdita di forze. Così quando i soliti medici mantengono ad arte
piaghe cutanee e fontanelle alla superficie del corpo, per estinguere una malattia
cronica, non possono mai raggiungere il loro scopo, non possono mai portare la
guarigione, perché dette piaghe cutanee, prodotte ad arte, sono totalmente
estranee al male interno, sono allopatiche. Ma, poiché lo stimolo costituito da
alcune fontanelle è almeno qualche volta un male più forte (dissimile)
della malattia insita nell’organismo, esso la porta da principio al silenzio in
un paio di settimane e la sospende, ma unicamente per poco tempo e precisamente
con continua emaciazione del malato. L’epilessia, soppressa per molti anni da
fontanelle, ritornò sempre e peggiorata appena si fecero guarire le fontanelle,
come attestano Pechlin ed altri. Ma i purganti per l’eruzione scabbiforme e le
fontanelle per l’epilessia non sono potenze di perturbazione meno
estranee, meno dissimili, mezzi curativi meno allopatici e meno aggressivi di
quanto sono fin qui, nella pratica, le ricette composte di miscugli, di
ingredienti sconosciuti per le altre malattie anonime e innumerevoli. Queste
ricette, anche solo a dose debole, sopprimono e sospendono i mali unicamente
per breve tempo, senza poter guarire ed aggiungono poi sempre, dopo prolungato
uso, un nuovo stato di malattia al male esistente.
§ 40.
III. Oppure la nuova malattia, dopo aver agito a lungo sull’organismo, alla
fine si congiunge con la malattia vecchia, ad essa dissimile, e forma
con essa un male complicato, in modo che ogni una colpisce una speciale
regione nell’organismo, ossia gli organi ad essa più adatti, e, per così dire,
occupa nell’organismo lo spazio, che più particolarmente le è adatto e lascia
il resto per la malattia dissimile.
§ 41.
Le complicanze morbose, originate da inopportuno trattamento medico (cura
allopatica), con l’uso prolungato di medicamenti inadatti, sono senza confronto
più frequenti delle malattie naturali dissimili, che si associano e complicano
a vicenda. Alla malattia naturale, che dovrebbe venire guarita, si associano
poi, per la perseverante ripetizione di medicamento inopportuno, gli stati
morbosi nuovi e spesso molto duraturi, corrispondenti alla natura del
medicamento. Questi stati morbosi, un po’ alla volta, si associano alla
malattia cronica dissimile esistente (che essi non possono guarire con azione
similare ossia omeopatica) e la complicano, aggiungono al male vecchio uno
nuovo, artificiale, dissimile, e rendono il malato, fin qui semplicemente
malato, doppiamente malato ossia molto più malato ed inguaribile e talvolta
inguaribile del tutto e spesso anche lo uccidono. Parecchi casi, illustrati in
giornali medici di consultazione, come pure storie cliniche, raccolte in
scritti medici, ne danno dimostrazione. Tali sono pure i casi frequenti, nei
quali la sifilide complicata specialmente con la psora, ma anche con processi
blenorragici, a causa della cura prolungata o spesso ripetuta di grandi dosi di
preparati mercuriali inadatti, non solo non viene guarita, ma nell’organismo,
accanto ad essa, gradatamente viene a prender posto l’avvelenamento cronico da
mercurio.
In tal modo si forma una malattia complessa, mostruosa, spesso terribile, sotto
il nome generico di malattia venerea larvata, che, se non è del tutto
inguaribile, è per lo meno assai difficile ad estinguere.
§ 42.
La natura stessa permette, come si è detto, in alcuni casi, la concomitanza di
due (anche tre) malattie naturali in uno stesso organismo. Tale complicanza
però avviene, come bene si può dimostrare, solo per malattie fra loro
dissimili, che, per leggi naturali eterne, non si possono tra di loro né
elidere, né distruggere, né guarire. Sembra che dette malattie (due o tre) si
distribuiscano uniformemente nell’organismo e ciascuna si appropri determinate
parti e sistemi particolari. Tale fenomeno può verificarsi senza pregiudizio
per l’unità della vita, a causa della dissomiglianza di queste malattie fra
loro.
§ 43.
Ma ben diversamente succede quando s’incontrano nell’organismo due malattie
simili ossia quando ad una malattia se ne aggiunge una nuova simile, più forte.
Qui si mette in evidenza come la guarigione possa avvenire in modo naturale e
quale via si debba seguire per guarire.
§ 44.
Due malattie simili non possono rimuoversi a vicenda (come è stato detto
delle malattie dissimili in I), né possono sospendersi l’una l’altra (come
è stato dimostrato per le malattie dissimili nella dissertazione II), in modo
che la malattia vecchia si ripresenta dopo decorsa la nuova, come pure due
malattie simili non possono coesistere (come è stato dimostrato per le
dissimili in III) nello stesso organismo né formare una malattia doppia
complicata.
§45.
No! Sempre e dovunque due malattie diverse per qualità, ma molto simili fra
loro nelle manifestazioni ed azioni, come pure nei disturbi e sintomi da loro
causati — incontrandosi nell’organismo si distruggono e precisamente la più
forte distrugge la più debole. Questo avviene per ragioni facili a capirsi: la potenza
morbosa sopraggiungente, più forte, per l’azione similare va ad occupare con
predilezione le stesse parti dell’organismo, che fino allora erano dominate
dagli stimoli morbosi della malattia più debole, che ora non possono più agire
e vengono spenti.
In altre parole, poiché la potenza morbosa nuova simile, ma più
forte, domina la sensibilità del malato, il principio vitale, data la
sua unità, non può più sentire la malattia simile più debole. Questa viene
cancellata, non esiste più, poiché essa non è mai qualche cosa di materiale, ma
unicamente un’affezione dinamica (spirituale). Il principio vitale rimane
affetto, e solo in modo transitorio, dalla nuova potenza morbosa, simile
e più forte, del medicamento.
§ 46.
Si potrebbero citare moltissimi esempi di malattie guarite omeopaticamente
dalla natura col mezzo di malattie a sintomi simili. Ma invece dobbiamo
attenerci unicamente a quelle poche, che, sempre permanendo uguali, sono
prodotte da un determinato miasma e che perciò portano un nome stabilito fisso,
onde poter discutere di cosa determinata ed indubbia.
Specialmente il vaiolo umano, che ha un gran numero di manifestazioni violente,
ha rimosso e guarito numerose malattie a sintomi simili. Le infiammazioni
violente degli occhi nel vaiolo umano non sono molto comuni, ma il vaiolo
innestato ha guarito completamente e per sempre un’infiammazione oculare
cronica, come riporta Dezoteux e Leroy. Klein riferisce un caso di cecità,
esistente da due anni in seguito a tigna del capo repressa, guarita
completamente dal vaiolo.
J. F. Closs ha constatato che il vaiolo umano molte volte produceva sordità ed
asma; mali che il vaiolo guariva anche quando aveva raggiunto I’acme del suo
decorso.
Il vaiolo ha pure, tra i suoi sintomi frequenti, tumefazione, anche molto
violenta, dei testicoli; Klein ha osservato la guarigione, operata per
similitudine dal vaiolo, di una tumefazione grande, insorta in testicolo
sinistro in seguito a contusione. Una simile tumefazione testicolare è stata
guarita nello stesso modo secondo l’osservazione di altro autore. Tra i
disturbi prodotti dal vaiolo vi è anche una diarrea dissenteriforme e Fr. Wendt
ha osservato un caso di dissenteria guarito dal vaiolo, quale potenza
morbosa similare.
Il vaiolo umano che sopraggiunge al vaccino, come è noto, lo tronca del tutto (omeopaticamente)
sia per la maggiore forza che per la grande affinità e non lo lascia continuare
fino alla fine. D’altra parte il vaiolo umano, che scoppia quando il vaccino è
vicino alla maturità, (omeopaticamente) per la grande similarità ne viene di
molto attenuato e reso più benigno come attestano Muehry ed altri.
La linfa vaccinica, oltre contenere il materiale protettivo contro il vaiolo,
contiene anche l’agente per una eruzione cutanea generale di altra natura, che
consta di elementi conici, ordinariamente piccoli, raramente grandi e suppuranti,
secchi, poggianti su areole rosse poco estese, spesso frammiste con piccole macule
rotonde, accompagnate talvolta da fortissimo prurito. Tale eruzione
compare in non pochi bambini anche alcuni giorni prima, per lo più però dopo
che si è formato l’alone rosso dell’innesto, e se ne va in un paio di giorni
lasciando piccole macchie rosse dure sulla pelle. Il vaccino innestato
guarisce, per la legge dei simili, eruzioni affini spesso molto vecchie e gravi
in bambini, dopo l’attecchimento, in modo omeopatico, completamente e
duraturamente, come testimoniano molti autori. Il vaccino, che ha come sintomo
peculiare quello di produrre gonfiore al braccio, guarì, dopo il suo
attecchimento, il gonfiore di un braccio paretico. La febbre, che in seguito
all’innesto insorge al momento dell’alone rosso, guarì (omeopaticamente) una
febbre intermittente di due persone, come riporta Hardege junior a conferma di
quanto osservò J. Hunter, che due febbri (malattie simili) non possono esistere
contemporaneamente in uno stesso organismo. Nella febbre e nella qualità della
tosse il morbillo ha molta affinità con la pertosse e per questo Bosquillon
osservò che in un’epidemia delle due malattie molti bambini, che avevano già
superato il morbillo, rimanevano immuni dalla pertosse. Tutti, anche in
seguito, sarebbero esenti dalla pertosse ed immunizzati a mezzo del morbillo,
se la pertosse non fosse malattia simile solo in parte al morbillo, ossia se la
pertosse portasse anche un’eruzione simile a quella portata dal morbillo. Così
il morbillo poté preservare dalla pertosse solo molti e solo nella presente epidemia
Ma se il morbillo trova nell’organismo una malattia con eruzione cutanea simile
— sintomo fondamentale — può senz’altro toglierla e guarirla omeopaticamente.
Kortum osservò un caso di eczema cronico guarito subito, completamente e
duraturamente (Omeopaticamente) da sopraggiunto morbillo. Un’eruzione assai
urente, simile a porpora miliare, datante da sei anni, sulla faccia, al collo,
alle braccia, che si rinnovava ad ogni cambiamento di tempo, fu trasformata da
sopraggiunto morbillo in un semplice rigonfiamento cutaneo; scomparso il
morbillo, l’eruzione miliare guarì e non tornò più.
§ 47.
E’ impossibile che il medico possa trovare un insegnamento più chiaro e
più persuasivo per la scelta della qualità di potenza morbosa
artificiale (medicamento) per guarire, secondo il processo naturale, in modo
certo, rapido, duraturo.
§ 48.
Tutti
questi esempi dimostrano che nel corso della natura un male, un disturbo non
può essere rimosso e guarito dall’arte medica con una potenza morbosa
dissimile per quanto forte sia; ma solo a mezzo di una potenza a sintomi
simili e un po’ più forte.
E questo avviene per leggi di natura eterne, irrevocabili e finora
sconosciute.
§49.
Noi
troveremmo di queste guarigioni omeopatiche naturali, pure un numero ben
maggiore, se gli osservatori da una parte vi avessero prestato più attenzione e
se la natura avesse a disposizione un numero più grande di malattie capaci di
guarire omeopaticamente.
§ 50.
La natura stessa non ha quasi altri mezzi omeopatici a sua disposizione che le
malattie miasmatiche poco numerose ed ostinate come la psora, il morbillo, il
vaiolo umano, costituenti potenze morbigene, che, come il vaiolo e il morbillo,
sono mezzi curativi più pericolosi e spaventosi che non i mali, che con loro si
vogliono curare e come la psora, che, a guarigione avvenuta della malattia
simile, richiede essa stessa di essere curata per poter essere distrutta.
Queste due circostanze rendono l’applicazione di dette malattie, come rimedi
omeopatici, difficile, incerta e pericolosa. E quanto pochi stati morbosi si
riscontrano nell’uomo, che hanno il loro rimedio simile (omeopatico) nel vaiolo,
nel morbillo e nella psora! La natura quindi può curare ben poche malattie con
questi mezzi omeopatici pericolosi e dubbi; e il successo si ottiene solo
attraverso pericoli e grandi disturbi già per il fatto che le dosi di queste
potenze morbigene non sono, come quelle dei medicamenti, suscettibili di
attenuazione in ragione delle circostanze. Inoltre al malato di una malattia
vecchia e simile si vengono a dare tutti i disturbi pericolosi e molesti del vaiolo,
del morbillo, della psora, per liberarlo dal suo male primitivo.
Ciò nonostante questo fortuito connubio di malattie ha dato delle bellissime
guarigioni omeopatiche, che costituiscono la prova inconfutabile della grande
ed unica legge terapeutica della natura: « Guarire le malattie con rimedi
determinanti sintomi simili a loro malattie ».
§ 51.
Questi fatti bastano già per rivelare all’uomo la legge sopra enunciata. Ben si
vede la superiorità dell’uomo sulla natura rozza, le cui azioni sono irriflessive.
Quante migliaia di potenze morbigene omeopatiche ha l’uomo di più, per
sollevare le sofferenze dei fratelli, nelle sostanze medicamentose sparse
ovunque nel creato! In esse egli trova il mezzo di sviluppare tutti i possibili
stati morbosi che possono essere richiesti come rimedi omeopatici dalle innumerevoli
malattie naturali conosciute e sconosciute. E queste sono potenze morbigene la
cui forza, dopo esplicata l’azione curativa, vinta dallo spirito vitale
sparisce da sé e non richiede, all’opposto della psora, di nessun altro mezzo
per essere annientata. Tali potenze artificiali può il medico fino ai limiti
dell’infinito diluire, dividere e dinamizzare e può diminuire la dose al punto
di lasciar loro soltanto la forza un po’ superiore a quella della malattia
naturale simile che ha da guarire. Con delle risorse così preziose non vi ha
bisogno di attaccare violentemente l’organismo per liberarlo da un male vecchio
ed ostinato, in modo che il passaggio dallo stato di malattia a quello stabile
desiderato di salute si ottiene in maniera dolce e impercettibile e sovente
anche rapida.
§ 52.
Vi sono due metodi principali di cura: Uno che fonda ogni suo procedimento solo
sull’osservazione precisa della natura, su esperimenti accurati e sulla pura
esperienza ossia il metodo omeopatico (prima di me mai correntemente
usato); il secondo metodo eteropatico o allopatico, che tutto questo non fa.
I due metodi sono contrari l’uno l’altro e solo chi non li conosce può
illudersi che si possano avvicinare od anche abbinare e può perfino arrivare
alla ridicolaggine di curare il malato a suo piacere ora allopaticamente ora omeopaticamente.
Questo procedimento costituisce un tradimento delittuoso verso la divina omeopatia.
§ 53.
Le guarigioni vere e piane avvengono solo col metodo omeopatico, metodo che,
come abbiamo visto prima, per conclusioni basate sulle esperienze, è anche
indiscutibilmente giusto. Difatti con esso si raggiunge la guarigione delle
malattie nel modo più sicuro, più rapido e più duraturo, perché quest’arte di
curare è basata su una legge di natura eterna ed infallibile. Il metodo
di cura omeopatico è l’unico giusto, l’unico possibile e più diritto per l’arte
umana a somiglianza di una linea retta, che unica può essere tracciata tra due punti
dati.
§ 54.
Il modo di cura allopatico che usava contro le malattie un po’ di tutto, ma
sempre cose inadatte, era a ricordo d’uomo il metodo dominante, sotto le forme
più svariate, denominate sistemi. Questi si susseguivano di quando in quando
anche molto diversi tra loro e si onoravano del nome di « terapia razionale ».
Ogni inventore di sistema aveva la presunzione di saper penetrare nell’intimità
della vita sia nell’uomo sano che malato e di conoscerla chiaramente e
di conseguenza faceva le prescrizioni per togliere la materia dannosa
dall’organismo malato al fine di ridargli la salute.
Tutto questo per vuote supposizioni e premesse indeterminate, senza interrogare
rettamente la natura e senza dare ascolto, senza preconcetti, all’esperienza.
Si ammetteva che le malattie fossero degli stati che comparissero sempre in
modo abbastanza simile. La maggior parte dei sistemi stabilì quindi per i suoi
quadri patologici dei nomi e ne fece delle classificazioni, ogni sistema in
modo diverso. Ai medicamenti per semplice supposizione si attribuirono azioni
(vedi le numerose materie mediche), che avrebbero dovuto togliere ossia guarire
questi stati anormali.
§ 55.
Ma ben presto dopo la introduzione di ognuno di tali sistemi, il pubblico si
convinceva che i mali dei malati coll’applicazione esatta di ognuno di tali
metodi di cura solo aumentavano e si acuivano. E da molto tempo i medici
allopatici sarebbero stati abbandonati completamente, se essi non avessero
saputo di quando in quando portare ai malati un sollievo palliativo con nuovi
mezzi trovati a caso — la cui azione spesso istantanea e seducente sorprende e
così in certo qual modo hanno sostenuto il loro prestigio.
§ 56.
I medici fin qui, da 17 secoli, hanno potuto sperare di mantenere sicuramente
la fiducia dei malati seguendo il metodo palliativo (antipatico,
enantiopatico), introdotto secondo la legge di Galeno « contraria contrariis
», coll’ingannare mediante un miglioramento quasi istantaneo dei
mali. Ma quanto in sostanza inutile, anzi dannoso questo metodo terapeutico
(nelle malattie a decorso non rapido) sarà dimostrato in quanto diremo
appresso. E sì che si tratta dell’unica cosa nelle cure degli allopatici con
attinenza evidente ad una parte dei sintomi della malattia naturale — ma, quale
relazione! In realtà una contraria, che a meno di non voler ingannare un malato
cronico e infischiarsene di lui, si dovrebbe proprio evitare.
§ 57.
Nel trattamento antipatico un medico comune, per vincere il sintomo più molesto
di un caso, tra i molti e molti altri da lui non osservati nella malattia, somministra
una medicina che notoriamente determina proprio il contrario del sintomo
morboso da debellare; in questo modo egli si aspetta di produrre il più rapido
sollievo palliativo. Secondo la legge « contraria contrariis », dettata
dalla vecchia scuola medica da oltre quindici secoli, forti dosi di oppio sono
prescritte contro i dolori di ogni specie, perché questa medicina annebbia
rapidamente il sensorio. Questo rimedio è pure somministrato contro la diarrea,
perché rapidamente arresta i movimenti peristaltici nell’intestino e lo rende
insensibile.
L’oppio viene dato anche contro l’insonnia, perché porta rapidamente una specie
di sonno soporoso e pesante. Si danno purganti quando un malato soffre abitualmente
di stitichezza e costipazione. Si fa immergere nell’acqua fredda una mano ustionata,
perché pare che il freddo debba togliere quasi magicamente il dolore della
scottatura. Il malato che si lagna di essere freddoloso e povero di calore
vitale viene messo in un bagno caldo, che lo riscalda solo momentaneamente. Per
rianimare un malato indebolito gli si fa bere vino, che lo ristora solo
momentaneamente. Oltre a questo vengono prescritte alcune altre misure
antagonistiche, che però sono di numero limitato, perché la scuola medica
comune conosce alcuni effetti peculiari (azioni primarie) soltanto di pochi
rimedi.
§ 58.
Per voler giudicare questo modo di applicazione di medicine pur prescindendo
dalla circostanza che è molto errato procedere solo sintomaticamente ossia unilateralmente
contro un singolo sintomo ossia curare solo una piccola parte di un tutto, per
cui evidentemente non è da aspettarsi giovamento per la malattia nella sua
totalità come desidera il malato — devesi pure interrogare l’esperienza, al fine
di poter sapere se nell’applicazione di un tale metodo di cura antipatica,
contro disturbi di lunga durata e resistenti, al miglioramento passeggero non
segua un peggioramento dei disturbi, dapprima palliativamente migliorati, o
invece anche un peggioramento; peggioramento che il medico comunemente spiega
diversamente al malato e suole attribuire o ad una malignità solo ora
manifestatasi nel male primitivo o all’insorgere di una nuova malattia.
§ 59.
Ancora mai al mondo sintomi importanti di malattie persistenti si sono
curati con tali palliativi contrari senza il loro ritorno dopo poche ore non
solo, ma anzi con un’evidente peggioramento del male. Contro la tendenza
pertinace alla sonnolenza di giorno si ordina il caffè, che nella sua prima
azione sveglia, ma quando esso ha finito di agire, la sonnolenza aumenta.
Contro lo svegliarsi di frequente di notte, si dà, senza badare agli altri
sintomi della malattia, di sera, oppio, che per la sua prima azione porta per
quella notte un sonno che stordisce e intontisce, ma che rende le notti
seguenti ancora più insonni. A diarroici cronici si somministra, senza tener
conto degli altri segni di malattia, ugualmente oppio, che nella sua azione
primiera agisce da antidiarroico, ma poco dopo la diarrea compare ancora più
forte; dolori violenti, spesso recidivanti, di ogni sorta si possono sopprimere
con l’oppio, che ottunde la sensibilità, ma per poco tempo, perché ritornano
sempre maggiori e spesso aumentati in modo insopportabile e compaiono altri
mali a volte molto peggiori.
Contro tosse notturna di vecchia data il medico comune non sa ordinare di
meglio se non l’oppio, che la sopprime con la sua prima azione, ma la tosse,
che per la prima notte forse tace, ritorna nelle notti seguenti ancor più
accanita e, se essa viene curata poi con insistenza con dosi crescenti di tale
palliativo, sopraggiunge anche febbre e sudore notturno; una vescica indebolita
ed una conseguente ritenzione di urina si cerca di vincere con il rimedio
contrario antipatico, che stimola le vie urinarie, la tintura di cantaridi, con
cui in realtà dapprincipio si costringe la vescica a vuotarsi, ma poi la
vescica diventa ancor più ineccitabile e impossibilitata a farlo, sicché la sua
paralisi è alle porte; — con le medicine purgative e lassative, usate in grandi
dosi per stimolare l’intestino a scariche più frequenti, si vuole togliere la
tendenza alla stitichezza; — debolezza persistente si vuol togliere con il bere
vino, che nella sua prima azione rinforza, ma poi toglie maggiormente le forze;
con cose amare e spezie riscaldanti il medico comune vuole rinforzare e
riscaldare stomaci persistentemente deboli e freddi, ma lo stomaco, passata la
prima azione palliativa di tali sostanze, ritorna ancora più inattivo; — la
mancanza persistente di calore vitale e di freddolosità dovrebbe cedere con
bagni caldi, ma dopo questi i malati diventano più fiacchi, più freddi e più
freddolosi; — parti fortemente scottate risentono dall’applicazione dell’acqua
fredda bensì sollievo momentaneo, ma il dolore cresce poi incredibilmente;
l’infiammazione incalza e cresce a un grado maggiore; — con sostanze da fiuto, che
eccitano il catarro, si vuole cacciare il vecchio raffreddore intasante, ma non
si nota che questo con i rimedi contrari (nella azione che segue) non fa che
peggiorare ed il naso si intasa ancora più; — con l’elettricità e il
galvanismo, che potentemente eccitano con la loro azione primiera i movimenti
muscolari, si pongono presto in più attivo movimento membra cronicamente deboli
e quasi paralizzate; la conseguenza (azione tardiva) è abolizione completa di
ogni eccitabilità muscolare e completa paralisi; — con salassi si vuole
togliere congestione persistente sia al capo che in altre parti, per es. nel
cardiopalmo, ma ne consegue sempre maggior afflusso di sangue in questi organi,
cardiopalmo più forte e più frequente ecc.; — la inerzia paralitica degli organi
del corpo e dello spirito, unita alla mancanza di conoscenza, che si riscontra
in molte forme di tifo, viene curata con nulla di meglio se non forti dosi di
valeriana, poiché questa sarebbe uno dei più forti medicamenti eccitanti e
stimolanti; però all’ignorante l’arte medica non era noto che questa azione era
solo la prima azione e che l’organismo dopo essa ogni volta per la azione
seconda cadeva in uno stato stuporoso ed inerzia maggiore ossia con certezza
verso la paralisi degli organi dello spirito e del corpo (e per fino la morte);
non si vedeva che appunto quei malati che venivano rimpinzati di valeriana,
medicamento opposto e antipatico, sicuramente morivano.
Il medico della vecchia scuola gioisce quando costringe il polso piccolo e
frequente di cachettico, già con la prima dose di digitale (nella prima azione
rallenta il polso), a rallentare per più ore; ma dopo esso ritorna con doppia
frequenza. Dosi ripetute e rinforzate di digitale agiscono sempre meno e
finalmente non danno più diminuzione di frequenza ma invece, nell’ulteriore
azione, polso incontabile; sonno, appetito e forza spariscono ed una morte
improvvisa è inevitabile, se non insorge delirio.
Dunque la falsa teoria non vede quanto spesso con tali mezzi opposti
(antipatici) si rinforza la malattia per l’azione secondaria, se non spesso si
determinano dei guai peggiori e l’esperienza lo dimostra con terrore.
§ 60.
Quando si manifestano queste funeste conseguenze, naturalmente da aspettarsi
con l’uso di medicine antipatiche, il medico comune crede di cavarsi di
imbarazzo dando, ad ogni peggioramento, una dose maggiore di medicamento, ma
non ottiene che sollievo fuggevole. E la necessità di dare dosi sempre più
grandi del palliativo fa seguire un altro male più grande se non spesso l’inguaribilità,
il pericolo di vita e di morte, ma mai la guarigione di un male
esistente già da qualche tempo od inveterato.
§ 61.
Se i medici avessero meditato sui risultati dolorosi dell’applicazione di
medicamenti opposti, avrebbero già da lungo tempo trovato la grande verità che «
proprio nel contrario di tale cura antipatica dei sintomi morbosi si deve
cercare il modo di guarire realmente e durevolmente ». Essi avrebbero
intuito, che come un’azione medicamentosa opposta ai sintomi morbosi (medicina
antipatica) determina solo sollievo di breve durata e di sempre poi
peggioramento, necessariamente il procedimento opposto ossia l’uso di
medicamenti omeopatici deve portare, per la somiglianza dei sintomi, una
guarigione duratura e completa, purché al posto di grandi dosi si somministrino
dosi minime.
Nonostante l’esperienza di molti secoli, i medici non riuscirono a conoscere
questa grande verità salutare. Sembra che essi abbiano ignorato del tutto i
risultati del trattamento terapeutico sopraccitato ed anche il fatto che nessun
medico mai ottenne la guarigione permanente di un male inveterato, a meno che
non includesse nella sua prescrizione qualche medicamento agente omeopaticamente.
Sembra pure che essi non abbiano compreso che tutte le guarigioni rapide e
perfette, compiute dalla natura senza l’aiuto dell’uomo, avvengono sempre per
il sopraggiungere di una malattia nuova simile.
§ 62.
I paragrafi, che seguiranno, vogliono spiegare l’origine dei danni recati dalla
terapia antipatica come pure l’efficacia del contrario ossia del metodo
omeopatico. Gli esempi, scelti a tale scopo, son tolti dalle numerose
osservazioni, sfuggite interamente a tutti prima che io ne richiamassi
l’attenzione, sebbene esse fossero alla portata di chiunque, chiare e
importantissime per l’arte medica.
§ 63.
Qualunque medicamento, come qualunque forza agente sulla vitalità, altera più o
meno l’equilibrio della forza vitale e produce un certo cambiamento
dello stato di salute del corpo, di maggiore o di minore durata.
Questa azione si chiama « effetto primario » od « azione primaria ».
Sebbene sia il prodotto del medicamento e della forza vitale, essa è
dovuta, probabilmente, in prevalenza alla potenza del medicamento. La
nostra forza vitale con la sua energia cerca di opporsi a tale
azione. L’azione che ne deriva ha carattere conservativo per la vita, è
un’attività automatica della forza vitale ed è chiamata azione
secondaria o reazione.
§ 64.
Di fronte all’azione primaria delle potenze morbigene artificiali (medicine)
sul nostro corpo sano la nostra forza vitale sembra comportarsi (come
appare dagli esempi, che seguono) solo recettivamente (in egual modo sofferente)
e come costretta ad assumere in sé le impressioni della potenza
artificiale agente dall’esterno ed a modificare il suo stato. Di poi essa
sembra riprendersi e
a) o creare, di fronte a questa azione primaria assunta in sé, uno stato del tutto contrario (azione contraria), che sta in rapporto con l’energia della forza vitale e con l’intensità dell’impressione primaria (azione primaria) fatta dalla potenza morbigena artificiale (medicina);
b) oppure, quando la natura non può determinare uno stato esattamente contrario all’azione primaria, la forza vitale sembra sforzarsi per prevalere, annullando le alterazioni prodotte in lei dall’esterno (dalla medicina), ristabilendo al loro posto lo stato normale (azione secondaria o azione di guarigione).
§65.
Esempi riferiti ad a) sono familiari a tutti. Una mano tuffata in acqua
calda è sì dapprima più calda dell’altra non tuffata, ma estratta dall’acqua
calda e ben asciugata, dopo un po’ di tempo, diventa fredda e presto più fredda
dell’altra (azione secondaria). Persona, che si riscaldi con esercizi muscolari
violenti (azione primaria), viene poi presa da freddo e brividi (azione
secondaria). A persona riscaldata da liberazione di troppo vino (azione primaria)
ogni soffio d’aria diventa il giorno seguente troppo freddo (effetto contrario
dell’organismo, azione secondaria). Un braccio immerso un po’ a lungo in acqua
freddissima è dapprima molto più pallido e freddo dell’altro, ma, ritirato
dall’acqua ed asciugato, esso non solo diventa di poi più caldo dell’altro, tua
perfino caldissimo, arrossato ed infiammato (azione posteriore o azione
secondaria, azione contraria della forza vitale).
L’azione primaria di caffè forte è eccesso di svegliatezza, a cui segue poi,
per lungo tempo, lentezza e sonnolenza (effetto contrario, azione secondaria),
a meno che tale sonnolenza non venga rimossa temporaneamente sempre di nuovo
con l’uso di caffè (palliativo di breve durata). Il sonno pesante, profondo
prodotto dall’oppio (azione primaria) sarà seguito nella notte seguente da
maggior insonnia (effetto contrario, azione secondaria). A costipazione
prodotta dall’oppio (azione primaria) segue diarrea (azione posteriore) e dopo l’uso
di purganti (azione primaria) medicamentosi, che stimolano l’intestino, si
osserva per alcuni giorni costipazione e stitichezza (azione secondaria). E
così sempre all’azione primaria di una potenza, in grande dose,
alterante fortemente lo stato dell’organismo sano viene costantemente opposto
dalla nostra forza vitale proprio il contrario (sempre che sia
possibile), quale azione secondaria.
§ 66.
Un’azione secondaria evidente, opposta non è, per ragioni chiare, percettibile
dopo l’azione di piccole dosi omeopatiche di potenze alteranti lo stato
dell’organismo sano.
Benché, all’osservazione attenta, si percepisca l’azione primaria, l’organismo
vivente reagisce (azione secondaria) solo quel tanto, che basta per ristabilire
lo stato normale.
§ 67.
Queste verità inconfutabili, offerte spontaneamente dalla natura e
dall’esperienza, ci spiegano il processo salutare delle guarigioni omeopatiche
e d’altra parte spiegano l’assurdità delle cure palliative delle malattie a
mezzo delle medicine ad azione contraria.
§ 68.
Nelle guarigioni omeopatiche l’esperienza dimostra che, dopo la somministrazione
di dosi estremamente piccole di medicine, necessarie per la guarigione,
ma pure sufficienti per vincere con la somiglianza dei sintomi la
malattia naturale e per cacciarli dalla sfera delle sensazioni del principio
vitale, dapprincipio, dopo spenti detti sintomi, può permanere ancora nell’
organismo solamente qualche po’ di malattia dovuta al medicamento. Questa però,
per la tenuità enorme della dose, è di tanto breve durata e debole, tanto
evanescente, che la forza vitale non trova necessario di fare, contro
questa piccola alterazione artificiale del suo stato, alcuna reazione tranne l’elevamento
del suo stato attuale al livello sano (necessario al ristabilimento completo).
Per giungere a tale stato, dopo la scomparsa dell’alterazione morbosa, ben
piccolo sforzo è richiesto.
§ 69.
Nelle cure antipatiche (palliative) succede precisamente l’opposto. Il sintomo
medicamentoso opposto al sintomo morboso (per es. l’insensibilità e il torpore
prodotti dall’oppio nella sua prima azione contro il dolore) non gli è
estraneo, non è del tutto allopatico; è evidente una relazione tra il sintomo
medicamentoso e quello morboso, ma è una relazione opposta.
La distruzione del sintomo morboso dovrebbe qui avvenire per mezzo di un
sintomo medicamentoso opposto, cosa che è impossibile. La medicina antipatica
scelta agisce pure sullo stesso punto malato dell’organismo, altrettanto della
medicina omeopatica agente in modo simile; la prima però nasconde, quale
contrario, il sintomo morboso contrario solo lievemente e lo rende impercettibile
per breve tempo al nostro principio vitale, di mode che, nel primo tempo
dell’azione del palliativo opposto, la forza vitale non sente nulla di
sgradevole da parte di tutte due (sia da parte del sintomo morboso sia da parte
del sintomo medicamentoso), poiché sembrano reciprocamente l’un l’altro sospesi
nella sensazione del principio vitale e neutralizzati dinamicamente (per
es. l’azione dell’oppio annebbiante il dolore). La forza vitale nei
primi minuti si sente sana e non percepisce né l’annebbiamento dell’oppio né il
dolore del male. Ma poiché il sintomo medicamentoso opposto al male non può
prendere (come nel sistema di cura omeopatica) il posto dell’alterazione
presente nella malattia quale malattia artificiale, simile, più forte ossia non
può attaccare, come una medicina omeopatica, il principio vitale con una
malattia artificiale molto simile e sostituirsi al posto dell’alterazione della
malattia naturale, così la medicina palliativa deve lasciare la malattia
inestirpata, essendo cosa completamente contraria all’alterazione della
malattia. Esso rende, come già detto, con una parvenza di neutralizzazione
dinamica, dapprincipio insensibile la forza vitale; si estingue però
presto, come ogni malattia da medicamento, da sé e lascia non solo la malattia
come era prima, ma costringe anche (poiché, come tutti i palliativi, deve
essere dato a grande dose, per ottenere la calma apparente) la forza vitale
a contrapporre a questa medicina palliativa uno stato opposto, l’opposto
dell’azione del medicamento, dunque quello simile all’alterazione morbosa
presente, inestinta, naturale, che con questa aggiunta (controazione del
palliativo), portata dalla forza vitale, necessariamente si ingrandisce
e rinforza.
Il sintomo morboso (questa parte singola della malattia) diventa
dunque peggiore dopo la scomparsa dell’azione del palliativo e tanto peggiore,
quanto maggiore dose è stata somministrata. Ossia, rimanendo allo stesso
esempio, quanto maggiore quantità di oppio viene somministrata contro il
dolore, tanto maggiore diventa il dolore nella sua acutezza originaria, non
appena scompare l’azione dell’oppio.
§ 70.
Per quanto fino a qui esposto dobbiamo ammettere:
1) che tutto quello che il medico può trovare di veramente malato e da guarire
nelle malattie consiste solo nello stato e nei disturbi del malato e nelle
alterazioni del suo stato percepibili con i sensi, in altre parole consiste
solo nella totalità di quei sintomi, con i quali la malattia esprime la
richiesta del rimedio appropriato. Mentre d’altra parte, ogni causa interna e
condizione inventata od oscura, oppure altra causa morbosa immaginaria materiale
non è che un sogno vano;
2) che questa alterazione della sensibilità generale, che chiamiamo malattia,
può essere riportata allo stato di salute solo con altra alterazione
della sensibilità generale della forza vitale col mezzo di medicine, la
cui unica forza curativa può di conseguenza solamente consistere
nell’alterazione dello stato fisiologico generale ossia nella produzione
specifica di sintomi morbosi. Tali fatti si riconoscono nel modo più chiaro e
più evidente negli esperimenti, con medicamenti, nell’organismo sano;
3) che, per tutte le esperienze fatte, con medicine, che sono capaci di
produrre nell’uomo sano uno stato di malattia diverso, estraneo alla malattia
da curare, non si può mai ottenere la guarigione di malattie naturali a loro
dissimili (ossia con la cura allopatica) e che nel regno della natura stessa
non avviene la guarigione, la soppressione, la distruzione della malattia, se
sopraggiunge una seconda malattia dissimile alla prima, per quanto essa sia
forte;
4) che, pure per tutte le esperienze fatte, con medicine, che hanno tendenza a
produrre nell’uomo sano sintomi morbosi artificiali contrari a qualche sintomo
della malattia da curare, si può avere soltanto un sollievo molto passeggero,
mai guarigione di disturbi più vecchi, sebbene piuttosto sempre conseguente
peggioramento. In altre parole il trattamento allopatico puramente palliativo
in mali importanti, di vecchia data, è senz’altro contrario allo scopo;
5) che infine il terzo ed ancora possibile sistema di cura (l’omeopatico),
fatto con medicine capaci di produrre nell’uomo sano sintomi similissimi da
contrapporre alla totalità dei sintomi di una malattia naturale, purché
somministrate in dose opportuna, è il solo sistema di cura giovevole. In esso
le malattie, quali stimoli dinamici producenti alterazioni, vengono sopraffatte
e distrutte, nella sensibilità del principio vitale, dagli stimoli più
forti, simili delle medicine omeopatiche, e devono cessare di esistere, senza
aggiunta di sofferenze, completamente e stabilmente. Anche la natura ci mostra
questo con l’esempio di cure accidentali, quando una malattia vecchia viene
distrutta e guarita in breve tempo e per sempre col sopraggiungere di una nuova
simile.
§71.
Ora, poiché non resta alcun dubbio che le malattie umane consistono
semplicemente di gruppi di certi sintomi e che questi possono essere estinti e
l’organismo ricondotto allo stato di salute solo col mezzo di sostanze
medicinali aventi il potere di produrre sintomi morbosi artificiali simili
alla malattia (su questo è basato il processo di ciascuna vera guarigione),
la questione della guarigione dipenderà dalla soluzione dei seguenti problemi:
I - Come acquista il medico la conoscenza delle malattie, necessaria allo scopo
di guarirle?
II - Come ottiene egli la conoscenza del potere patogeno dei medicamenti
considerati quali mezzi adatti per la guarigione delle malattie naturali?
III - Come applica egli queste potenze artificiali patogene ( = medicine) nel
modo più efficace per la guarigione delle malattie?
§ 72.
Quanto segue può servire per illustrare in modo generico il primo punto. Le
malattie del genere umano sono di due classi : la prima comprende processi
morbosi della forza vitale indisposta ad andamento rapido. Tali malattie
decorrono in breve tempo, con durata variabile e sono chiamate
malattie « acute ». La seconda classe abbraccia malattie, che spesso appaiono
trascurabili e impercettibili al loro principio, ma che, in modo a loro
peculiare agiscono deleteriamente sull’organismo vivente, alterandolo dinamicamente
e minacciando subdolamente lo stato di salute a tal grado che l’energia
automatica della forza vitale, designata alla conservazione della vita,
può farvi solo resistenza imperfetta ed inefficace sia al loro inizio sia
durante il loro sviluppo. La forza vitale, incapace di estinguerle con
le proprie forze, impotente ad impedire il loro sviluppo, deve lasciarsi da
loro indisporre sempre più fino alla distruzione completa dell’organismo.
Queste sono le malattie « croniche » e sono originate da infezioni con miasma
cronico.
§ 73.
Anche le malattie acute si dividono in parecchie classi. Un primo gruppo
contiene quelle malattie, che attaccano singoli individui. Esse sono occasionate
da influenze nocive, a cui il malato è stato esposto. Eccessi
sessuali o privazioni sessuali, impressioni fisiche, violenti raffreddamenti o
surriscaldamenti, strapazzi da lavoro manuale, eccitamenti fisici o mentali,
ecc., possono produrre malattie acute febbrili. Esse in realtà non sono altro
che aggravamenti passeggeri di psora latente, che ritorna spontaneamente in
latenza, purché la malattia acuta non sia stata troppo violenta o non sia stata
guarita rapidamente.
Un secondo gruppo comprende quelle malattie sporadiche, che colpiscono
parecchie persone simultaneamente in luoghi isolati. Esse sono generate da
agenti meteorici o tellurici, alla cui influenza patogena solamente poche
persone per volta sono soggette. Poi viene la classe delle malattie epidemiche,
che colpiscono molte persone nello stesso tempo. Esse hanno una causa comune ed
i singoli casi si assomigliano tra loro. Queste malattie generalmente divengono
contagiose, quando infestano regioni, affollate, dove creano febbri di specie
distinta. E siccome i casi di malattia sono di origine simile, simili sono pure
le loro manifestazioni. Ma abbandonate a se stesse finiscono in un periodo
limitato o con la guarigione o con la morte, a seconda dei casi. Guerre
carestie, inondazioni spesso fanno nascere e diffondere tali malattie. Esse
spesso appaiono in forma di distinte malattie acute, che invariabilmente si
presentano nella stessa forma (per cui sono conosciute sotto un nome
tradizionale). Alcune di esse malattie colpiscono la stessa persona una volta
sola durante la vita, come il vaiolo, il morbillo, la pertosse, la ben
conosciuta scarlattina di Sydenham liscia e rosea, la parotite ecc.. Altre possono
colpire, ripetutamente, la stessa persona come la peste levantina, che si
ripete presso che nella stessa forma; la febbre gialla, che infetta paesi
costieri, il colera asiatico ecc..
§ 74.
E’ doloroso dovere annoverare tra le malattie croniche affezioni assai comuni,
che vanno considerate quale conseguenza di cure allopatiche e dovute ad uso continuativo
di medicine violente, eroiche a dose abbondante e crescente. Ne sono esempio:
l’abuso di calomelano, di sublimato corrosivo, di unguenti mercuriali, di
nitrato di argento, di iodio e sue pomate, di oppio, di valeriana, di balsamo
peruviano e china, digitale, acido prussico, zolfo e acido solforico, l’uso di
purganti continuato per anni, salassi, sanguisugi, fontanelle, setoni ecc..
Tali cure cervellotiche indeboliscono l’organismo, e, se non l’esauriscono del
tutto, lo scombussolano gradualmente ed abnormemente in accordo con i caratteri
individuali di ogni medicina.
Durante queste cure esaurienti e deleterie la forza vitale è obbligata
ad alterare l’intero organismo a difesa della vita. Di conseguenza essa
diminuisce od accresce l’irritabilità e le sensibilità delle varie parti e
produce ipertrofia od atrofia, rammollimento od indurimento, in certi organi
con esito anche in distruzione oppure, alla fine, con esito in lesioni
organiche (deformità) di parti esterne od interne. Queste sono alcune delle
conseguenze degli sforzi della natura, per proteggere l’organismo dalla
distruzione completa, alla quale è esposto dal continuo uso di cure aggressive
con sostanze perniciose.
§ 75.
Esempi di salute rovinata da cure allopatiche sono assai comuni nei tempi
moderni. Essi costituiscono le infermità croniche più pietose e più
incurabili e che probabilmente non troveranno mai rimedi per essere guarite,
quando abbiano raggiunto un certo grado di gravità.
§ 76.
La Provvidenza ci ha concesso di guarire mediante l’omeopatia solo le
malattie naturali. Ma le malattie prodotte da indebolimento per cure
cervellotiche, eseguite magari per degli anni (abuso di salassi, emaciazione da
setoni e fontanelle), come pure gli storpiamenti e deformità sia esterne che
interne, determinate da medicamenti perniciosi e disadatti, dovrebbero venire eliminate
dalla forza vitale stessa (con l’aiuto appropriato contro un qualche
miasma cronico ancora forse esistente nell’organismo), purché essa non si trovi
troppo indebolita da tali pratiche dannose e sempre che abbia potuto per degli
anni sopportare impunemente questo enorme gioco. Non vi è, né può esservi arte
umana per guarire le anormalità innumerevoli così frequentemente prodotte
dall’arte malefica dell’allopatia.
§ 77.
Il nome di malattie croniche non va dato a quelle prodotte da esposizione
continuata ad agenti nocivi evitabili, da eccessi abituali nel mangiare, nel
bere e di altra specie, alteranti la salute; né a quelle malattie risultanti
per mancanza del necessario per vivere, dall’abitare in località malsane e
eminentemente paludose; né a quelle peculiari agli abitatori di prigioni, di
officine umide o di altri luoghi confinanti, sofferenti per la mancanza di aria
libera e di movimento; né a quelle che sono la risultante di troppo lavoro
manuale o intellettuale o di continue mortificazioni e patemi d’animo ecc..
Purché non esista un miasma cronico nell’organismo, tali stati morbosi, così
acquisiti, spariscono da sé con un regime appropriato di vita e non
possono essere denominati malattie croniche.
§ 78.
Malattie croniche, vere, naturali sono quelle, dovute ad un miasma
cronico. Esse crescono costantemente e, nonostante il regime di vita
igienico sia del corpo che della mente, non cessano di tormentare la loro
vittima, con sofferenze costantemente nuove, fino alla fine della vita, se
vengono lasciate a sé senza l’aiuto di rimedi specifici. Esse sono le malattie
più numerose e costituiscono la sorgente di gravi sofferenze per il genere
umano. Le costituzioni più robuste, le abitudini migliori, l’energia della forza
vitale, per quanto grande sia, non aiutata, sono incapaci di resistere a
tali malattie.
§ 79.
Finora solo la sifilide era conosciuta come una di tali malattie croniche
infettive, che, se lasciata senza cura, si estingue solo con l’esistenza
stessa. La sicosi (escrescenze a cavolfiore) lasciata a se stessa, senza cure,
è pure inestinguibile da parte della forza vitale e finora non è stata
riconosciuta come malattia interna, cronica, infettiva di natura peculiare,
come è senza dubbio. Senza la conoscenza delle malattie perpetuate con
l’ereditarietà di essa, la distruzione delle sole neoformazioni cutanee era
considerata come la cura per l’intera malattia.
§ 80.
Enormemente più diffuso, e di conseguenza molto più importante dei precedenti,
è il miasma cronico detto psora. Mentre i due primi manifestano il male
specifico interno, l’uno con l’ulcera venerea, l’altro con escrescenze a
cavolfiore, la psora si manifesta, dopo di aver anch’essa infettato
completamente l’interno dell’intero organismo, con un’eruzione caratteristica,
a volte consistente in un’eruzione della pelle, limitata ad alcuni punti, con
prurito voluttuoso, insopportabile e di odore caratteristico. La psora è la
causa fondamentale vera determinante di quasi tutte le altre forme morbose
frequenti ed innumerevoli, che figurano in patologia come entità
proprie, chiuse, che vanno sotto il nome di nevrastenia, isterismo, ipocondria,
mania, melanconia, idiozia, pazzia, epilessia, convulsioni di ogni specie,
rammollimento osseo (rachitismo), scrofola, scoliosi e cifosi, carie ossea,
cancro, varici, formazione di tessuti di granulazione, gotta, emorroidi,
itterizia, cianosi, idropisia, amenorrea; emorragia gastrica, nasale,
polmonare, vescicale, uterina; asma, suppurazione polmonare, impotenza,
sterilità, emicrania, sordità, cateratta ed amaurosi, calcolosi renale,
paralisi, deficienze negli organi dei sensi e dolori di mille qualità ecc..
§ 81.
Il passaggio di questo agente patogeno assai antico attraverso molti milioni di
uomini, nel corso di centinaia di generazioni, e lo sviluppo incredibile così
raggiunto, spiegano abbastanza bene come questa malattia possa manifestarsi
sotto forma di sindromi così differenti e numerose nel genere umano; lo
dimostrano all’evidenza, se si considera quale quantità di circostanze concorre
ordinariamente all’insorgenza di questa gran diversità di affezioni croniche
(sintomi secondari della psora), senza tener conto delle varietà innumerevoli
di costituzione individuale, che già tra loro diversificano all’infinito. Non
fa dunque meraviglia, se organismi così differenti, compenetrati dal miasma
psorico e sottoposti a tante cause nocive, interne ed esterne, che talvolta
agiscono in modo permanente, offrono un numero incalcolabile di stati di
deficit, di affezioni, di alterazioni, di mali, che dalla vecchia patologia,
fino ad oggi, son stati a torto classificati con una quantità di nomi, definiti
come quadri morbosi indipendenti.
§ 82.
Sebbene l’arte medica, con la scoperta di quella grande sorgente delle malattie
croniche, anche con riguardo alla scoperta dei rimedi specifici omeopatici,
specie per la cura della psora, si sia avvicinata un bel po’ alla natura della
maggior parte delle malattie da guarire, pur tuttavia permane il dovere al
medico omeopatico, per stabilire l’indicazione in ogni malattia cronica
(psorica) da guarire, di raccogliere i sintomi apprezzabili ancor più
accuratamente di prima della scoperta. Di fatti nessuna vera guarigione
di questa o di altre malattie può avvenire, senza cura severamente
individualizzata di ogni caso.
Solo che in questa ricerca devesi osservare, se il male è insorto acuto e
rapido oppure se è cronico. Nell’acuto i sintomi principali insorgono e più
presto « diventano » percepibili ai nostri sensi e quindi è richiesto minor
tempo per tracciare il quadro di malattia ed anche un interrogatorio più breve
del malato, (in quanto che la maggior parte dei sintomi si mette in evidenza da
sé); mentre in una malattia cronica, progredita lentamente durante parecchi
anni, i sintomi sono ben più difficili ad essere rilevati.
§ 83.
Questo esame individualizzato di ogni caso di malattia e di cui io qui
do sola direttive generali, — alle quali l’osservatore si atterrà con
discernimento in ogni singolo caso —, richiede dal medico assenza di
preconcetti, sensi sani, osservazione attenta e fedeltà di riproduzione del
quadro morboso.
§84.
Il malato riferisce lo sviluppo dei suoi disturbi; i parenti raccontano le sue
pene, il suo comportamento e quanto notato in lui. Il medico vede, sente e
rileva, coi suoi sensi, che cosa vi è di alterato e di insolito. Egli scrive
tutto con le stesse espressioni usate dal malato e dai parenti. Se possibile,
egli lascia che essi dicano tutto senza interromperli, a meno che non facciano
divagazioni inutili. Soltanto, fin da principio, il medico raccomandi di
parlare adagio, onde poter scrivere quello che ritiene necessario di annotare
fra quanto dicono.
§ 85.
Ogni deposizione, sia del malato che dei parenti, va scritta distinta su una
linea, di modo che i sintomi risultino scritti separatamente, gli uni sotto gli
altri. Così a fianco di quelli troppo indeterminati si potrà aggiungere quanto
in seguito risulterà atto a chiarirli
§ 86.
Quando il malato e chi l’assiste hanno finito di esporre quanto hanno voluto
spontaneamente dire, il medico annota vicino ad ogni singolo sintomo le più
precise informazioni, richiedendole nel modo che segue. Scorrendo i singoli
sintomi riferitigli, domanda ad es.: quando è avvenuto questo fatto? prima
dell’uso della medicina somministrata fino allora? durante la somministrazione?
oppure solo alcuni giorni dopo smesso di prenderla? Che dolore, quale
sensazione — descriverla esattamente — ha avuto in quella data regione?
precisare in che punto era. Il dolore era intermittente oppure tenace,
continuo? di che durata? A che ora del giorno, o della notte era massimo oppure
cessava? La circostanza, il fatto riferito come era? descriverlo esattamente e
in modo chiaro.
§ 87.
Così il medico si fa dare le spiegazioni più dettagliate relative ad ogni
singolo sintomo, senza però dare al malato, già con la domanda, l’imbeccata per
la risposta, o in modo che il malato abbia solo da rispondere sì o no.
Altrimenti il malato viene facilitato a dire cose false o non vere o a negare
cose veramente esistenti per comodità o per piacere a chi interroga, con la
conseguenza di un quadro sbagliato della malattia e logicamente di una cura non
corrispondente.
§ 88.
Se in questi referti spontanei non è stato fatto cenno nei riguardi di più
parti o funzioni del corpo, né delle condizioni morali, il medico chiederà
notizie di tali parti, di tali funzioni come pure della disposizione morale,
dello spirito del paziente, ma con espressioni generiche al fine di costringere
il malato a riferire da sé i dettagli relativi.
§ 89.
Quando il malato — a cui nei riguardi delle sue sensazioni (tranne che nelle
malattie simulate) devesi prestare la massima fede — con il suo referto
spontaneo o soltanto determinato, ha dato le necessarie delucidazioni e
completato abbastanza il quadro della sua malattia, il medico può, se crede
necessario (quando crede di non essere stato sufficientemente edotto),
rivolgere altre domande più dettagliate.
§ 90.
Quando il medico ha finito di scrivere queste risposte, annota quanto egli
stesso osserva nell’ammalato e cerca di sapere se quanto rileva esisteva o no
durante il periodo di salute.
§ 91.
I sintomi accidentali e lo stato del malato, durante l’uso di un qualche
medicamento, non danno il quadro puro di una malattia. Al contrario, i sintomi
presentati prima dell’uso della medicina o dopo parecchi giorni che non è
stata più presa danno il vero concetto della forma originaria della
malattia. Appunto questa deve annotare il medico. Quando l’affezione è cronica
e il malato abbia usato fino al momento dell’esame qualche medicamento, il
medico può lasciare il paziente per alcuni giorni senza medicine oppure dare
egli qualche cosa non contenente medicine e differire l’esame rigoroso dei
sintomi morbosi, per poter rilevare quelli permanenti inalterati, e così
ottenere un quadro fedele, non mistificato della malattia.
§ 92.
Ma se si tratta di malattia ad andamento acuto e grave da non permetter nessun
indugio, il medico deve accontentarsi anche dei sintomi sia pure alterati da
medicine, quando non abbia potuto apprendere i sintomi presenti prima dell’uso
della medicina. E questo per poter almeno comporre le manifestazioni attuali
del male in un unico quadro (ossia comporre il quadro della malattia originaria
imita a quella da medicamento, che di solito è più grave e pericolosa della
prima, per causa di medicamenti spesso contrari, e che richiede, sovente di
urgenza, una giusta cura) e poter istituire la cura omeopatica adatta, per
impedire che il malato abbia a morire per le medicine dannose prese.
§ 93.
Se la malattia è insorta da poco tempo, oppure se cronica, a causa di un
qualche avvenimento notevole di parecchio tempo prima, il malato stesso
— o almeno i parenti interrogati di nascosto — lo riferirà di propria
iniziativa oppure in seguito a discrete interrogazioni.
§ 94.
Nell’esame dello stato di malattie croniche, le condizioni particolari del
malato nei riguardi delle sue abituali occupazioni, del suo metodo di vita
e regime dietetico, delle sue condizioni familiari ecc.. devono essere ben
vagliate ed esaminate, per stabilire se in esse vi sia qualche cosa, che possa
determinare o sostenere la malattia, e per poter eliminare tale causa, onde
favorire la guarigione.
§ 95.
La ricerca dei sintomi, citati prima e di tutti gli altri deve quindi, nei casi
di malattie croniche, esser fatta più accuratamente ed estesamente che sia
possibile e spingersi fino ai più piccoli dettagli. Difatti in dette malattie i
sintomi sono assai strani e non somigliano affatto a quelli delle malattie
acute, e per la cura, affinché possa avere successo, mai abbastanza sono presi
in considerazione. Inoltre i malati sono talmente abituati ai loro mali di vecchia
data che non presentano, o ben poco, attenzione ai piccoli segni, spesso assai
caratteristici e decisivi per la scelta del rimedio, ritenendoli essi come
legati al loro stato normale, quasi come di salute, avendone dimenticato la
vera sensazione in quindici o vent’anni di durata del male. I malati poi
neanche sognano che questi sintomi secondari, queste più o meno grandi
deviazioni dallo stato di salute possano aver relazione con la malattia
fondamentale.
§ 96.
Per di più i malati stessi possono essere di umore molto diverso. Certuni,
specialmente i così detti ipocondriaci e altri assai sensibili ed impazienti,
dipingono le loro sofferenze a tinte troppo vive e descrivono i loro disturbi
con espressioni esagerate, per stimolare il medico a soccorrerli prontamente.
§ 97.
Altri, al contrario, sia per pigrizia sia per pudore malinteso, sia per una
specie di dolcezza o timidezza, passan sopra ad una quantità di disturbi, li
descrivono con termini non chiari o li indicano come cosa di poca importanza.
§ 98.
Sebbene si debba prestare fede al malato, che espone i suoi disturbi e le sue
sensazioni, e si debbano tenere in gran conto le sue proprie espressioni — che,
di solito, in bocca dei familiari e infermieri vengono alterate e falsificate
—, con le quali egli intende far capire i suoi mali, pur tuttavia la ricerca
del vero quadro morboso completo con tutti i dettagli per ogni malattia, ma
specialmente nei mali cronici, richiede, nell’indagine, circospezione massima,
delicatezza, esperienza, prudenza e molta pazienza.
§ 99.
In complesso l’indagine riesce al medico più facile nelle malattie acute o
altrimenti insorte da poco tempo, perché tutti gli accidenti e deviazioni della
salute perduta da poco sono rimasti ancora freschi, nuovi e impressionanti
nella memoria del malato e dei familiari. Il medico anche qui deve saper tutto,
però ha molto meno da indagare, poiché quasi tutto gli viene riferito
spontaneamente.
§ 100.
Per la ricerca dei sintomi, nei riguardi di malattie epidemiche e sporadiche, è
del tutto indifferente che già prima al mondo si sia manifestato qualche caso
simile sotto questo o quel nome. La novità o la particolarità di un’epidemia
non determina alcuna differenza sia nell’esame sia nella guarigione, perché il
medico deve premettere come nuovo e sconosciuto il quadro puro di ogni
malattia dominante al momento e ricercarselo interamente, se vuole essere
un vero e serio terapeuta, che mai sostituisce supposizioni ad osservazioni,
mai accetta come conosciuto, sia in toto che parzialmente, un caso di malattia,
affidatogli per cura, senza averlo accuratamente sviscerato in tutte le sue
manifestazioni. E questo maggiormente, considerando che ogni epidemia, per
molti riguardi, ha un’espressione particolare e che ad accurato esame si
riscontra ben differente da tutte le epidemie pregresse ed a torto segnate con
certe denominazioni, — fatta eccezione di quelle epidemie dovute a causa
contagiante fissa come il vaiolo, il morbillo ecc..
§ 101.
Può darsi benissimo che il medico dal primo caso, che si verifica di una
malattia epidemica, non abbia la percezione del quadro completo, poiché
qualunque malattia collettiva, solo all’osservazione diligente di più casi,
mette in evidenza l’insieme dei suoi sintomi e segni. Frattanto però il medico,
che indaga con cura, si avvicina spesso alla realtà, in modo da poter scoprire
un quadro caratteristico — e quindi trovare anche un rimedio adatto ed omeopaticamente
conforme.
§ 102.
Nella trascrizione dei sintomi di parecchi casi di questa specie il quadro
morboso abbozzato diventa sempre più completo, non ingrandito per aggiunta di
frasi, ma più caratteristico e contenente le peculiarità di questa malattia
collettiva. I segni generali (per es. mancanza d’appetito, insonnia ecc.)
acquistano la loro propria ed esatta qualificazione e d’altra parte risaltano i
sintomi più salienti, particolari, per lo meno più rari in questa combinazione
e altrimenti propri a poche malattie, per costituire la caratteristica
dell’epidemia. Tutti i malati di un’epidemia dominante hanno sì una malattia
proveniente da una stessa causa e perciò una malattia uguale; ma tutto il
complesso di una malattia epidemica e la totalità dei suoi sintomi (la cui
conoscenza è necessaria per la visione del quadro morboso completo, e per poter
scegliere il medicamento omeopatico più adatto per la totalità dei sintomi) non
possono venir osservati su un solo malato, ma devono venire ricavati e rilevati
in modo totalitario dalle sofferenze di più malati, di costituzione fisica
diversa.
§ 103.
Con lo stesso metodo, ora descritto per le malattie epidemiche, che sono per lo
più acute, dovettero da me essere studiate, nella gamma dei loro sintomi, e più
diligentemente di quanto finora fatto, anche le malattie miasmatiche croniche,
nella loro essenza invariabili, soprattutto poi e principalmente la psora.
Anche in questo tipo di malattia un malato porta una parte di sintomi, un
secondo, un terzo malato ecc. a loro volta presentano alcuni altri segni, che
costituiscono pure un frammento della totalità sintomatologica, che forma il complesso
dei segni di una e stessa malattia. Solo dallo studio di moltissimi casi si è
potuto stabilire la totalità di tutti i sintomi appartenenti a una data
malattia miasmatica cronica e specie della psora. Senza la visione totalitaria
di tutti i sintomi e del quadro completo della malattia, non potevano essere
ricercate le medicine, che omeopaticamente guarivano tutta la malattia,
(medicine antipsoriche), medicine che nello stesso tempo costituiscono i veri
rimedi individuali dei malati sofferenti di uguali malanni cronici.
§ 104.
Quando si è diligentemente raccolta in iscritto la totalità dei sintomi
preminenti e caratteristici di un caso di malattia o in altre parole si è
esattamente designato il quadro di una malattia di qualsiasi specie essa possa
essere, s’è fatto la parte più difficile del lavoro. Il medico, quindi, nella cura,
specialmente delle malattie croniche, ha davanti a sé sempre il materiale da
studiare in tutte le sue parti e può rilevare i segni caratteristici e può
opporre a questi, ossia alla malattia stessa, una potenza morbigena
artificiale, simile, scelta tra le medicine omeopatiche sulla guida dei sintomi
dei medicamenti conosciuti nelle loro azioni patogenetiche pure. E, durante la
cura, a seconda dell’effetto favorevole del medicamento e del nuovo stato del
malato, egli tralascia di curarsi, nel nuovo reperto di malattia, di quel
gruppo di sintomi, già annotato prima, che è migliorato, e tiene conto invece
di quei sintomi ancora presenti oppure di quanto sintomatologicamente nuovo si è
aggiunto.
§ 105.
Il secondo dovere di un vero medico riguarda la scelta di quanto necessario
per guarire la malattia naturale, la ricerca della forza patogenetica delle
medicine, per potere, per la cura sceglierne una tra esse, che, col suo
complesso sintomatologico, possa costituire una malattia artificiale più simile
che sia possibile alla totalità dei sintomi preminenti della malattia naturale
da guarire.
§ 106.
E’ necessario sia conosciuta ogni azione patogenetica delle singole medicine.
Ossia devono essere stati prima osservati tutti i sintomi morbosi e i
cambiamenti dello stato di salute, che ogni medicamento è capace di
produrre specialmente nell’uomo sano, prima che si possa sperare di trovare e
scegliere, fra le medicine così studiate, quelle omeopaticamente corrispondenti
alla maggior parte delle malattie naturali.
§ 107.
Se a scopo di ricerca, si somministrano medicamenti salo a persona malata, sia
pure in modo semplice e uno per volta, non si vede nulla o poco di preciso nei
riguardi della loro azione pura, perché le alterazioni da aspettarsi, specie
dello stato di salute, sono combinate con i sintomi della malattia
naturale presente. Solo di rado possono essere osservati, in modo evidente, gli
effetti puri dei medicamenti.
§ 108.
Non vi è nessun altro modo per esperimentare con certezza le azioni proprie dei
medicamenti sullo stato di salute dell’uomo, non vi è nessun altro mezzo
e più naturale, per raggiungere tale scopo, di quello di dare a uomini sani,
a scopo di esperimento, in dose modica, i singoli medicamenti per osservare
le alterazioni, i sintomi, i segni della azione portata da loro, soprattutto
nello stato fisico e psichico, ossia per conoscere gli elementi di malattia,
che essi medicamenti sono in grado e possono determinare, perché, come già
detto, ogni azione curativa dei medicamenti è posta unicamente nella loro
capacità di modificare lo stato di salute dell’uomo e tale azione
risalta dall’osservazione di queste modificazioni.
§ 109.
Per primo battei questa via, con tenacia senza pari, che mi proveniva soltanto
dalla assoluta convinzione della grande verità a beneficio dell’umanità, che
unicamente con l’uso delle medicine omeopatiche è possibile la guarigione
sicura delle malattie umane.
§ 110.
Inoltre notai che le azioni di agenti morbigeni, che precedenti studiosi di
sostanze medicamentose avevano osservato in casi di grandi dosi, che per
errore, per uccidere sé o altri o per altre circostanze, erano giunte nello
stomaco di persone sane, coincidevano molto con le mie osservazioni fatte negli
esperimenti con le stesse sostanze su me stesso e in altre persone. Detti
autori citano questi casi come storie di avvelenamenti e a dimostrazione del
pericolo di tali sostanze violente, per lo più per mettere in guardia di
fronte ad esse, ma anche per vantare la loro arte, se in questi casi
pericolosi, un po’ alla volta, con i mezzi da loro usati, hanno ottenuto la
guarigione, o finalmente per giustificare la morte di persone, da loro curate,
con la pericolosità di queste sostanze, che essi hanno poi denominato veleni.
Ma nessuno di questi autori ha sospettato, che i sintomi, citati da loro solo
come prova della tossicità e perniciosità, di tali sostanze fossero sicura
indicazione della potenza di tali droghe e potessero togliere, guarendo,
disturbi simili presenti in malattie naturali, che questi loro stimoli di
malattia fossero indicazione della loro azione guaritrice omeopatica, che solo
nell’osservazione di tali alterazioni dello stato di salute, che
determinano i medicamenti nei corpi sani, stesse l’unica ricerca possibile
delle loro forze medicamentose, mentre né a priori con sofisticheria cavillosa,
né dall’odore, dal sapore o dall’aspetto delle medicine, né dalla loro
lavorazione chimica, né dal loro uso, sia di singolo medicamento che di più
medicamenti in miscuglio (ricetta), è possibile conoscere le energie curative,
proprie dei medicamenti. Non si è avuto sentore che le storie di malattie da
medicine avrebbero un’altra volta costituito i primi fondamenti della vera
materia medica pura, materia medica, che fino ad ora era basata solo su false
supposizioni e invenzioni ossia da considerare come non esistente.
§ 111.
La coincidenza delle mie osservazioni, riguardanti le azioni pure di
medicamenti con quelle di autori precedenti, — sebbene citate indipendentemente
da scopi terapeutici —, e la coincidenza stessa di questi reperti con altri di
questa specie di autori diversi ci convince facilmente che i medicamenti, nelle
loro azioni morbigene sul corpo umano sano, agiscono secondo leggi naturali
determinate, eterne, ed ogni medicamento, per virtù di questi sintomi di
malattia determinati e sicuri, che è capace di sviluppare, ne produce di
particolari a seconda della sua specificità.
§ 112.
Da descrizioni precedenti di effetti così spesso pericolosi per la vita,
svolti da medicamenti presi in dose eccessiva, si apprendono stati insorti non
sul principio, ma verso la fine di casi così tragici e che sul principio erano
di natura completamente opposta. Questi sintomi opposti a quelli dell’effetto primario,
ossia contrari all’azione svolta dai medicamenti sulla forza vitale,
sono espressione della reazione del principio vitale dell’organismo e
costituiscono l’effetto secondario. Tuttavia questi sintomi negli
esperimenti, con somministrazione di dosi modiche, in corpi sani solo raramente
o quasi mai sono percepibili; a dosi piccole mai. Contro di essi l’organismo
vivente, nelle cure omeopatiche, sviluppa solo tanta reazione, quanto basta per
riportare lo stato di salute alla norma.
§ 113.
Solo i narcotici sembrano fare eccezione, perché essi nell’effetto primario
tolgono sia la eccitabilità che la sensibilità. Sicché con essi più spesso,
anche a dosi modiche, su corpi sani, si nota una maggiore sensibilità (e una
maggiore eccitabilità) durante l’effetto secondario.
§ 114.
Ad eccezione dei narcotici, con gli esperimenti, in corpi sani, a dosi modiche
di medicamenti, si mettono in evidenza solo gli effetti primari ossia quei
sintomi, con i quali il medicamento altera lo stato di salute dell’uomo
e porta nell’organismo uno stato morboso che dura un tempo più o meno lungo.
§ 115.
Fra questi sintomi, per alcuni medicamenti, ve ne sono non pochi che mutano;
per es. sintomi comparsi sono completamente opposti a sintomi che seguiranno
oppure hanno modalità opposte. Pur tuttavia questi sintomi non sono da
considerare veramente come effetto secondario o solo come reazione della
forza vitale, ma solo come stato variante di diversi parossismi
dell’effetto primario; si chiamano effetti varianti o fluttuanti.
§ 116.
Alcuni sintomi da medicamenti insorgono in molti individui più di spesso; altri
più di raro oppure solo in pochi individui, altri soltanto in pochissime
persone sane.
§ 117.
A quest’ultimo gruppo appartengono le così dette idiosincrasie, sotto il qual
nome si intendono alcune costituzioni che, sebbene di solito sane, pur tuttavia
hanno la tendenza di pervenire, per effetto di certi agenti, (che in molti
altri uomini non sembrano avere alcun influsso né determinare alcuna
alterazione) in uno stato più o meno morboso. Però questa mancanza di azione su
alcune persone è solo apparente. Difatti per determinare le idiosincrasie, come
pure per determinare tutte le altre alterazioni morbose nell’uomo è necessaria
la presenza di una forza nella sostanza, che agisce, e della disposizione del principio
vitale, che vivifica dinamicamente l’organismo, di essere stimolato da
questa forza. Di conseguenza, malattie importanti, che si hanno in casi di idiosincrasia,
non possono essere attribuite soltanto a queste speciali costituzioni, ma vanno
considerate anche come effetto di medicamenti, che hanno il potere di agire su
ogni organismo umano; solo che poche costituzioni sane hanno disposizione a
lasciarsi trasportare in uno stato morboso così imponente. Che queste potenze
agiscano realmente su ogni organismo è dimostrato dal fatto che esse giovano,
quali medicamenti omeopatici, in tutte le persone malate di sintomi morbosi
simili a quelli che esse stesse fanno insorgere (sebbene apparentemente solo in
persone, che presentano idiosincrasie).
§ 118.
Ogni medicamento determina nell’uomo effetti particolari, che nessuna altra
sostanza medicamentosa, di specie diversa, può dare in modo così esatto.
§ 119.
Come certamente ogni specie di pianta è diversa da ogni altra per aspetto
esterno, per modo di vita ed accrescimento, per sapore ed odore, come
sicuramente ogni minerale, ogni sale è diverso dagli altri per le sue qualità
(che, già da sole, avrebbero dovuto evitare ogni confusione) esterne, interne,
fisiche e chimiche, così certamente tutte queste sostanze, vegetali e minerali,
hanno effetti patogenetici — e quindi anche curativi — diversi e tra loro
differenti. Ognuna di queste sostanze agisce in modo proprio, diverso, ma ben
determinato, che elimina qualunque confusione, e determina alterazioni dello stato
di salute e della cenestesi dell’uomo.
§ 120.
Dunque scrupolosamente, assai scrupolosamente le medicine, dalle quali dipende
la vita e la morte, la malattia e la salute degli uomini, devono venire
differenziate fra loro ed esaminate su corpi sani con accurate ed esatte
ricerche, nei riguardi della loro potenza e dei loro veri effetti. Questo
per poterle conoscere esattamente e per evitare, nel loro uso nelle malattie,
ogni errore, poiché solo una scelta giusta del medicamento può ridare in breve
tempo e durevolmente il maggiore dei beni terrestri, il benessere del corpo e
dello spirito.
§ 121.
Nell’esame dei medicamenti, nei riguardi del loro effetto sull’organismo sano,
si deve considerare che le sostanze forti, così dette eroiche, già in dose
piccola, sogliono produrre alterazioni dello stato di salute perfino in
persone robuste. Per lo stesso esame, medicamenti di potenza minore
devono venire somministrati a dose più elevata; ma quelli più deboli devono,
per essere apprezzato il loro effetto, venire sperimentati in persone sane, ma
delicate, sensibili, eccitabili.
§ 122.
Per questi esperimenti — dai quali dipende, la sicurezza di tutta la terapia e
il bene di tutte le generazioni umane future — non si devono usare se non
medicamenti, che siano esattamente conosciuti e diano pieno affidamento per la
loro purezza, genuinità ed efficacia.
§ 123.
Ognuna di queste medicine deve venir presa in forma assai semplice e non
artefatta; le piante nostrali sotto forma di succo, spremuto di fresco,
mescolato con un po’ di alcool, per impedirne la putrefazione; i vegetali
esotici come polveri oppure sotto forma di tinture alcooliche, preparate di
recente, ma poi diluite con alcune parti di acqua; le sostanze saline gommose
sciolte in acqua subito prima dell’ingestione. Se si può avere la pianta, per
sua natura debole di energia, solo in forma solida, per esperimento va usato
l’infuso, nel quale si estraggono le sostanze attive versando acqua bollente
sulla pianta sminuzzata. L’infuso va bevuto subito, ancora caldo, perché tutti
gli infusi acquosi di vegetali, senza aggiunta di alcool, fermentano rapidamente
e putrefanno e allora perdono la loro azione medicinale.
§ 124.
Ogni medicina deve essere usata per esperimento unicamente sola, purissima,
senza aggiunta di qualsiasi altra sostanza, e senza che alcun altro medicamento
venga preso nello stesso giorno e nei giorni seguenti, fino a quando si
vogliono osservare gli effetti della medicina.
§ 125.
Durante il periodo di tempo che dura l’esperimento, deve essere osservato un
conveniente regime dietetico, nutriente e semplice, possibilmente senza droghe,
evitando contorni verdi, radici, ogni insalata ed erbaggi, che tutti sempre
(comunque siano preparati) contengono sostanze alteranti l’effetto dei
medicamenti. Le bevande siano le usuali di ogni giorno, però il meno possibile
eccitanti.
§ 126.
La persona scelta per l’esperimento deve anzitutto essere nota per
credibilità e coscienziosità. Durante l’esperimento deve evitare
qualunque assidua applicazione dello spirito e del corpo, ogni intemperanza ed
eccesso sessuale; affari urgenti non devono distoglierla dalla necessaria
osservazione. La persona sperimentata deve rivolgere, con buona volontà,
accurata attenzione su se stessa e nel medesimo tempo rimanere indisturbata; e,
sana di corpo, deve pure possedere tanta intelligenza da poter definire e descrivere
con espressioni chiare le sue sensazioni.
§ 127.
I medicamenti devono venire esperimentati in persona sia di sesso maschile che
femminile, per mettere in evidenza le differenze di effetto nei riguardi del
sesso.
§ 128.
Le esperienze più recenti hanno insegnato che le sostanze medicamentose, allo
stato greggio, prese da persone in esperimento, per l’esame dei loro effetti
specifici, non manifestano la completa pienezza delle forze insite come quando
invece esse, vengano ingerite potentizzate in alte diluizioni con
conveniente triturazione e succussione. Con questo semplice trattamento
le forze nascoste allo stato greggio e quasi dormienti vengono sviluppate in
modo incredibile e risvegliate ad attività. Così ora serve ottimamente per gli
esperimenti, anche con sostanze contenenti forze medicamentose deboli, la
somministrazione giornaliera di piccolissimi granuli, da quattro a sei al
giorno, della trentesima potenza; i granuli si prendono a
digiuno, per parecchi giorni, imbevuti con un po’ d’acqua o meglio sciolti,
agitando bene, in una quantità più o meno grande di acqua.
§ 129.
Quando con una tale somministrazione si manifestano soltanto effetti deboli, si
possono prendere alcuni globuli in più ogni giorno, fino a che gli
effetti si rendono più chiari e più forti, fino a quando le alterazioni dello stato
di salute sono divenute più sensibili. Difatti poche persone vengono subito
attaccate fortemente da un medicamento. A questo riguardo esistono grandi
differenze:
una medicina ritenuta assai forte, a dosi modiche a volte non produce alcun
effetto in una persona apparentemente debole, mentre parecchie altre medicine,
molto più deboli, determinano effetti abbastanza forti. E vi sono pure persone
assai forti che risentono sintomi di malattia ben importanti da medicine in
apparenza ad azione mite e sintomi assai miti da medicine più forti ecc..
Siccome questo a priori non si conosce, è molto consigliabile in ogni caso
cominciare con dosi piccole, aumentare gradualmente di giorno in giorno la dose.
§ 130.
Se si dà fin da bel principio per la prima volta una dose ben forte di
medicamento, si ha il vantaggio che la persona sperimentata percepisce il
susseguirsi dei sintomi e può indicare esattamente il momento d’insorgenza di
ognuno, cosa molto importante per conoscere il carattere della medicina, poiché
l’ordine degli effetti primari come pure quello degli effetti fluttuanti
avviene in modo inconfondibile. Anche una dose molto modica basta spesso per
una prova, quando la persona dell’esperimento abbia fine sensibilità e sia il
più possibile attenta al suo stato di salute. La durata dell’azione di
un medicamento diventa nota solo dal confronto di parecchi esperimenti.
§ 131.
Se si deve, allo scopo di ottenere solo qualche conoscenza, somministrare per
alcuni giorni di seguito la stessa medicina in dose sempre crescente, si
conosceranno bensì i vari stati morbosi, che questo medicamento generalmente
determina, ma non il modo di succedersi. Di fatti una dose successiva spesso
toglie questo o quello dei sintomi dovuti ad una dose precedente o portando la
guarigione o facendo insorgere uno stato contrario. Tali sintomi devono venire
annotati fra parentesi come dubbi, fin quando esperimenti successivi avranno
dimostrato trattarsi o di reazione e azione secondaria dell’organismo o di
azione variante del medicamento.
§ 132.
Quando invece si vogliano ricercare soltanto sintomi per se stesi, di mi medicamento,
specialmente se di azione debole, indipendentemente dall’ordine di loro
successione e dalla durata di azione di quella sostanza medicamentosa, è
preferibile la somministrazione di tale medicamento per alcuni giorni di
seguito ed ogni giorno a dose più elevata. Così facendo si metterà in evidenza
l’azione anche di sostanze debolissime e sconosciute, soprattutto se si
esperimenta in soggetti sensibili.
§ 133.
Accusando qualche disturbo, per causa del medicamento, per poter stabilire con
esattezza quale sintomo esso rappresenti, è utile anzi necessario mettersi in
diverse posizioni ed osservare se il fenomeno apparso aumenta, diminuisce o
scompare con il movimento della parte sofferente, con il camminare per la
stanza o all’aperto, col porsi in posizione eretta o giacendo, se ritorna con
la posizione di prima; se il sintomo subisce cambiamenti mangiando, bevendo o
con qualche movimento, oppure quando si parla, si sternuta, si tossisce o per
una qualunque funzione del corpo. Si deve pure stabilire in quale ora del
giorno o della notte si manifesta a preferenza. Da tutte queste modalità
risulteranno evidenti le caratteristiche specifiche di ogni sintomo.
§ 134.
Tutti gli agenti esterni, ed in principale modo i medicamenti, hanno la
proprietà di determinare, nelle condizioni normali dell’organismo vivente, dei
cambiamenti particolari a ciascuno di loro per determinate modalità. Ma i
sintomi propri di una medicina non si sviluppano tutti e nemmeno tutti
contemporaneamente, né nel corso di uno stesso esperimento; ma, in un
individuo, una volta ne compaiono alcuni, mentre n un secondo e terzo
esperimento ne compaiono altri; in altra persona si presentano a preferenza questi
o quei sintomi. Così può darsi che nella quarta, ottava, decima persona, su cui
si fa l’esperimento, si manifestino alcuni o parecchi dei fenomeni, che si sono
notati nella seconda, sesta o nona persona e così via. Inoltre i fenomeni non
appaiano ogni volta alla stessa ora.
§ 135.
La totalità di tutti gli elementi morbosi che un farmaco può sviluppare, sarà
ottenuta quasi completamente solo attraverso molteplici osservazioni di esperimenti
eseguiti su molti organismi adatti e diversi, in persone di ambo i sessi. Si
può avere la certezza di avere esaminato a fondo un medicamento, nei riguardi
dello stato morboso, che può determinare, o meglio delle sue facoltà di
modificare lo stato di salute dell’uomo, soltanto quando, in ripetuti e
successivi esperimenti, si notano solo poche cose nuove, rispetto a quelle già
osservate, e vengono percepiti quasi sempre gli stessi sintomi, osservati anche
da altre persone.
§ 136.
Come già detto, un farmaco, somministrato in stato di salute, può
determinare la comparsa di tutte le alterazioni, di cui è capace, non in una
sola persona, ma soltanto attraverso esperimenti in molte persone, diverse fra
loro per costituzione e qualità fisiche.
Pur tuttavia, ogni farmaco ha la tendenza di produrre tutti i sintomi in ogni
uomo, secondo una legge di natura eterna ed immutabile. In virtù di
questa legge, il farmaco sviluppa tutti i suoi effetti (anche quelli che
raramente determina in individui sani) in ogni uomo, che sia in stato di malattia
con sintomi simili a quelli, che il farmaco può produrre. In tal caso,
esso medicamento, anche somministrato in dose minima, se scelto omeopaticamente,
genera silenziosamente uno stato artificiale, simile alla malattia naturale,
che libera e guarisce il malato dal silo male primitivo, in modo rapido e
duraturo (omeopatico).
§ 137.
Quanto più tenui sono le dosi del medicamento, che si vuoi sperimentare senza
eccedere certi limiti, tanto più evidenti saranno gli effetti primari, che sono
i più importanti a conoscersi, e soltanto questi si manifesteranno, mentre non
si avranno effetti secondari o reattivi da parte del principio vitale.
Avverrà così, se la persona, su cui si sperimenta, sarà amante della verità,
moderata in tutto, con sensibilità fine e capace della massima attenzione, allo
scopo di facilitare le osservazioni.
Al contrario, usando dosi eccessive, non solo si avranno effetti secondari tra
i sintomi, ma gli effetti primari si manifesteranno così precipitosi, violenti
e confusi, da rendere impossibile una osservazione esatta; senza calcolare il
pericolo di danno, che può sorgere per tale esperimento e che non può essere indifferente
a chi rispetti l’umanità e consideri come fratello anche il più umile tra il
popolo.
§ 138.
Se si sono osservate le premesse necessarie per un esperimento:
buono e puro, tutti i disturbi, gli accidenti e le alterazioni dello stato
di salute della persona sperimentata, durante la durata di azione del
medicamento, derivano solo da esso farmaco e come sintomi devono quindi
considerarsi ad esso propriamente appartenenti e come tali essere annotati,
anche se il soggetto avesse, molto tempo prima, avvertito su sé fenomeni
simili. La ricomparsa degli stessi, in seguito all’esperimento, dimostra
soltanto che questo individuo, in virtù della sua propria costituzione, è terreno
eccellente per il loro sviluppò. Nel caso nostro sono effetto del medicamento, perché
essi non possono essere comparsi da sé, mentre un farmaco potente domina
l’organismo.
§ 139.
Quando il medico non abbia preso egli stesso il medicamento a scopo di
esperimentarlo, ma l’abbia somministrato ad altra persona, questa dovrà
annotare chiaramente le sensazioni provate, i disturbi, i fenomeni e le
alterazioni dello stato normale di salute, al momento stesso che le percepisce.
Indicherà pure il tempo trascorso tra l’ingestione del farmaco e l’insorgenza
di ogni sintomo, e, se questo permane a lungo, il tempo di durata.
Il medico leggerà la esposizione, in presenza della persona sperimentata,
subito alla fine dell’esperimento, oppure, se la prova durerà più giorni, ogni
giorno, con lo scopo di poter fare delle interrogazioni nei riguardi delle
qualità dei singoli sintomi, mentre la memoria della persona è ancora fresca.
Egli aggiungerà i dati così ottenuti e, se necessario, vi porterà le eventuali
correzioni.
§ 140.
Se il soggetto non sa scrivere, dovrà il medico interrogare giornalmente come
sono andate la cose. Egli dovrà soprattutto badare che l’individuo esperimentato
faccia un’esposizione spontanea di quanto ha percepito, senza invenzioni né
congetture; e interrogherà quanto meno è possibile. E tutto farà con le
avvertenze già esposte trattando del rilievo del reperto e del quadro delle
malattie naturali.
§ 141.
Ma di tutte le esperienze, relative agli effetti puri, che medicamenti semplici
producono sull’uomo normale, e agli stati morbosi artificiali e ai sintomi
generati nei soggetti sani, le migliori saranno sempre quelle, che un medico
sano e perspicace, senza preconcetti e cosciente, istituirà su se stesso con
tutte le precauzioni ed avvertenze già indicate. Egli sa con la massima
certezza quanto ha percepito nell’esperimento su se stesso.
§ 142.
Ma come si possa, sia pure in malattie, come le croniche, che per lo più sono
costanti nei sintomi, differenziare i disturbi della malattia fondamentale da
alcuni sintomi propri del farmaco semplice usato per cura, è oggetto di critica
fine e superiore, da rimettere solo a chi sia maestro nell’arte di osservare.
§ 143.
Quando, in questo modo, si avrà esperimentato nell’uomo sano un numero
ragguardevole di farmaci semplici e si saranno annotati con cura e fedeltà
tutti gli elementi di malattia ed i sintomi, che essi medicamenti, quali
potenze di malattie artificiali, sono capaci di produrre, allora soltanto si
avrà una vera Materia Medica; ossia una raccolta degli effetti genuini,
puri, infallibili delle sostanze medicamentose semplici; un codice naturale,
nel quale sono contenuti una quantità notevole di cambiamenti dello stato di
salute e di sintomi, come sono apparsi all’attenzione dell’osservatore.
Qui si troveranno gli elementi (omeopatici) di malattie artificiali, che un
giorno dovranno guarire malattie naturali simili, in altre parole vi si
troveranno stati morbosi artificiali, che costituiranno per le malattie
naturali simili gli unici veri rimedi, omeopatici e quindi specifici per
effettuare una guarigione sicura e stabile.
§ 144.
Da questa Materia Medica sia assolutamente escluso tutto quanto possa essere
supposizione, asserzione gratuita od invenzione. In essa vi sia soltanto il
linguaggio puro della natura interrogata con diligenza ed onestà.
§ 145.
Certamente una raccolta assai notevole di medicamenti, conosciuti nella loro
azione pura, che svolgono sullo stato di salute del corpo umano, può
fornire per ognuno degli infiniti stati di malattia naturale, per ogni
infermità, un rimedio omeopatico, un simile, che vi corrisponde, di
potenza patogena artificiale curativa.
Frattanto anche oggi — grazie alla veridicità dei sintomi e alla ricchezza di
elementi di malattia, che ciascun medicamento potente ha lasciato finora
osservare negli esperimenti su organismi sani — rimangono solo pochi casi di
malattia, per i quali non si trovi, un rimedio abbastanza omeopatico fra quanti
fin qui esaminati nella loro azione pura, rimedio, che porti nuovamente lo stato
di salute senza speciali disturbi, in modo dolce, sicuro e durevole;
comunque in modo più certo e più sicuro di quanto possa fare l’arte terapeutica
allopatica con i suoi metodi generali e speciali, con le sue miscele ignote,
che solo alterano e peggiorano le malattie croniche, ma non possono guarire,
che piuttosto che accelerare ritardano la guarigione di quelle acute e spesso
anche portano pericolo di vita.
§ 146.
Il terzo punto nella missione di un vero terapeuta riguarda il modo
più esatto di usare i medicamenti, studiati nella loro azione pura
sull’uomo sano, allo scopo di raggiungere la guarigione omeopatica delle
malattie naturali.
§ 147.
Fra le medicine, studiate nella loro azione di alterare lo stato di salute
dell’uomo, quella, che, nei suoi sintomi conosciuti, sarà più simile
alla totalità dei sintomi di una data malattia naturale, sarà per essa il
rimedio omeopatico più adatto e più giusto. In essa si sarà trovato lo
specifico di quella data malattia.
§ 148.
La malattia naturale non si deve mai considerare come una qualche materia
dannosa, avente sede nell’interno dell’organismo o esternamente ad esso, ma
come l’effetto di una potenza immateriale, nemica, che disturba, come
con una specie di contagio, il principio vitale, dominante misterioso in
tutto l’organismo, nelle sue funzioni istintive, e che, quale spirito maligno,
tormenta e costringe a generare, nel corso della vita, certi mali e disordini,
che si chiamano (sintomi) malattie. Ma se al principio vitale viene
tolta la sensazione dell’azione dell’agente nemico, che cercava di portare e
sostenere una alterazione, in altre parole se il medico fa agire sul malato una
potenza artificiale (medicina omeopatica), capace di portare
modificazioni patogene simillime sul principio vitale, che superi
sempre, anche in dose minima, la forza della malattia naturale simile, la
sensazione dell’agente patogeno primitivo viene a cessare per il principio
vitale, per l’azione di questa malattia artificiale simile più
forte. Da questo momento il male non esiste più per il principio vitale,
è distrutto. Se, come si è detto, la medicina omeopatica è stata bene scelta,
la malattia naturale acuta, se insorta da poco, scompare, inosservata, non
raramente in poche ore; una malattia naturale più vecchia (per l’azione di
alcune dosi della stessa medicina a potenza più alta oppure di altra
medicina omeopatica scelta più simile) impiega invece a scomparire maggior
tempo e con segni di malessere. Spesso il passaggio allo stato di salute,
di guarigione avviene inosservato e rapido. Il principio vitale si sente
di nuovo libero e capace di continuare la vita dell’organismo, come una
volta, in stato di salute, e le forze ritornano.
§ 149.
Le infermità dì vecchia data (specialmente se complicate) richiedono, per
guarire, molto maggior tempo. Soprattutto le malattie croniche insorte per
causa di medicamenti, somministrati per l’imperizia allopatica, e sovrapposte
alle malattie naturali rimaste non guarite, richiedono, per la guarigione,
molto più tempo; esse spesso sono anche incurabili a causa della temeraria
sottrazione di forze e di umori al malato (Con sottrazioni sanguigne, purganti
ecc.), a causa della somministrazione molto prolungata di alte dosi di sostanze
violente, date nella falsa e vuota presunzione di giovare, a causa di bagni
minerali prescritti poco opportunamente ecc.. Tutte queste cause costituiscono le
ordinarie prodezze dell’allopatia con le sue cure.
§ 150.
Se qualcuno lamenta uno o due disturbi, insorti di recente, il medico non deve
considerarli come una malattia vera e propria, da richiedere una cura
medicamentosa seria. Basterà una correzione del regime dietetico e del tenore
di vita per far scomparire questa indisposizione.
§ 151.
Se il paziente lamenta alcuni disturbi violenti, il medico indagatore scoprirà
che anche altri, molti altri segni di malattia, sebbene piccoli, vi sono e che
si potrà fare un quadro completo d malattia.
§ 152.
Quanto più grave è una malattia acuta, essa presenta sintomi tanto più numerosi
e più evidenti; tanto più sicura è la scelta del medicamento adatto, quanto più
grande è il numero dei medicamenti conosciuti nelle loro azioni positive.
Fra le serie dei sintomi di molti medicamenti se ne troverà senza difficoltà
una con i cui singoli elementi di malattia si potrà comporre un quadro morboso
artificiale simile alla totalità dei sintomi della malattia naturale.
Tale medicamento sarà il rimedio desiderato.
§ 153.
Nella ricerca del rimedio omeopatico, specifico, ossia in questo confronto tra
la totalità dei segni della malattia naturale e le serie dei sintomi dei
medicamenti a nostra disposizione, allo scopo di trovare la giusta potenza
morbosa artificiale, per guarire il male secondo la legge dei simili,
devonsi tenere presenti in modo particolare e quasi esclusivo, i sintomi più
salienti, quelli particolari, quelli non comuni, quelli caratteristici della malattia.
Infatti il rimedio cercato, per essere il più adeguato alla guarigione, deve
appunto avere, nella serie dei suoi sintomi, sintomi che siano assai simili
a quelli caratteristici della malattia che si cura.
I sintomi generali e indeterminati, come inappetenza, mal di capo, debolezza,
sonno inquieto, malessere ecc., per avere carattere generale e non essere
meglio specificati, meritano minor attenzione, poiché essi i riscontrano quasi
in ogni malattia e in ogni medicamento.
§ 154.
Quando il quadro di malattia, formato dalla serie dei sintomi del medicamento
più adatto, contiene il maggior numero dei sintomi corrispondenti a quelli
della malattia da guarire, di quelli particolari, non comuni, caratteristici ed
aventi la massima similitudine, il medicamento scelto è il rimedio più
adatto, per detto caso di malattia è il rimedio omeopatico, specifico. Una
malattia, che sia recente, di solito, già con la prima dose di medicamento
verrà tolta e guarita senza notevoli disturbi.
§ 155.
Io dico: senza notevoli sofferenze. Infatti somministrando questo
medicamento omeopatico, assai adatto, sono in azione solo i suoi sintomi
corrispondenti a quelli della malattia; essi si sostituiscono nell’organismo,
ossia nelle sensazioni del principio vitale, ai sintomi più deboli della
malattia naturale, e, superandoli, li distruggono. Invece i sintomi rimanenti,
spesso assai numerosi della medicina omeopatica, che nel caso della malattia in
esame non hanno applicazione, tacciono in modo assoluto. Di loro non si nota
nulla nello stato del malato, che va di ora in ora migliorando. Questo perché
la dose omeopatica, necessaria, usata è troppo debole per produrre gli altri
suoi effetti non omeopatici nelle parti del corpo libere dalla malattia. Essa,
invece, produce soltanto i sintomi omeopatici nelle regioni del corpo già
irritate e sconvolte dai sintomi simili della malattia. In tal modo vien
fatta sentire al principio vitale malato solo l’azione simile, ma
più forte del medicamento, con la quale la malattia originaria viene spenta.
§ 156.
Tuttavia è ben difficile che un medicamento omeopatico, anche evidentemente ben
scelto, in special modo se somministrato in dose non troppo piccola, non dia
qualche disturbo sia pure di poca entità, qualche nuovo piccolo sintomo durante
la sua azione in soggetti molto eccitabili e sensibili. Infatti è quasi
impossibile che medicamento e malattia nei loro sintomi si coprano così
esattamente come fossero due triangoli di uguali lati ed uguali angoli. Ma
questa perturbazione insignificante (nei casi buoni) viene facilmente
neutralizzata dall’energia propria (autocrazia) dell’organismo vivente, e da
ammalati non eccessivamente delicati neppure viene sentita. Ciò nonostante si
stabilisce la guarigione, se essa non viene ostacolata nel malato da azioni di
medicamenti estranei, da errori nel regime di vita o da passioni.
§ 157.
Sebbene sia certo che un medicamento omeopatico, ben scelto, per la sua dosatura
appropriata e piccola, faccia scomparire tranquillamente e distrugga la
malattia acuta simile, senza che insorgano altri sintomi non omeopatici,
ossia senza determinare nuove e notevoli sofferenze, pur tuttavia esso
suole (sebbene solo a dose non convenientemente piccola), subito dopo
l’ingestione — nella prima o nelle prime ore —, determinare un piccolo aggravamento
(che dura anche parecchie ore, se la dose è piuttosto elevata), che assomiglia
alla malattia tanto che il malato lo ritiene come un aggravamento del proprio
male. In realtà si tratta unicamente di una malattia da medicamento, estremamente
simile alla malattia naturale, ma di intensità maggiore.
§ 158.
Questo piccolo aggravamento omeopatico non è raro nelle
prime ore, e dà l’ottimo pronostico che la malattia acuta verrà troncata già
dalla prima dose —, perché la malattia sviluppata dal medicamento deve essere
logicamente un po’ più forte della malattia naturale, che si vuol curare, per
poterla vincere e distruggere. Nella stessa guisa che una malattia naturale può
distruggere e superare un’altra simile, solo se è più intensa e più
forte.
§ 159.
Questo apparente aggravamento di malattia, nelle prime ore, è tanto minore per
intensità e durata, quanto più piccola è la dose del rimedio omeopatico.
§ 160.
Ma poiché ben difficilmente si può preparare il rimedio omeopatico a dose così
piccola da poter migliorare, vincere, anzi guarire totalmente una malattia
naturale, simile, piuttosto recente e inalterata, è chiaro il perché una
dose di medicamento omeopatico, che non sia la minima possibile, determini, già
nella prima ora dopo l’ingestione, un evidente aggravamento omeopatico
di questa specie.
§ 161.
Nelle malattie acute, insorte di recente, il così detto aggravamento omeopatico,
o piuttosto l’azione primaria del medicamento omeopatico, che sembra esalti i
sintomi della malattia naturale, avviene nella prima o nelle prime ore dopo la
somministrazione. Quando, invece, medicamenti, con azione a lunga durata, hanno
da combattere un male vecchio o di assai vecchia data, non devono
insorgere, durante la cura, esaltazioni di questa specie, e in realtà non
insorgono, se la medicina ben scelta, viene somministrata in dosi convenientemente
piccole ed aumentate un po’ per volta con dinamizzazione. Esacerbazioni
simili dei sintomi originali della malattia cronica possono rendersi manifeste
solo alla fine di tali cure, quando la guarigione è quasi del tutto
ultimata.
§ 162.
Essendo ancora limitato il numero dei medicamenti conosciuti bene nella loro
azione vera e pura, accade talvolta, che solo una parte dei sintomi della
malattia da curare è coperta dai sintomi del farmaco più simile trovato e che
per conseguenza si deve usare tale rimedio incompleto in mancanza di uno
migliore.
§ 163.
Naturalmente, in questo caso, da tale medicina non devesi aspettare una
guarigione completa e senza disturbi. Infatti, con la sua somministrazione,
insorgono accidenti, che prima nella malattia non si erano notati e che sono
sintomi accessori dovuti al medicamento non del tutto simile. Essi tuttavia non
impediscono che una parte notevole del male (i sintomi della malattia simili
a quelli del farmaco) venga distrutta dal medicamento e che quindi si instauri
un certo inizio di guarigione, non privo di disturbi secondari. Questi però,
con medicina a dose sufficientemente piccola, sono esigui.
§ 164.
Il numero ristretto dei sintomi equivalenti ed omeopatici della medicina scelta
bene non porta alcun pregiudizio per la guarigione, se questi pochi sintomi
del farmaco sono per la massima parte singolari e caratteristici
rispetto a quelli della malattia. In tal caso la guarigione avviene
egualmente senza notevoli disturbi.
§ 165.
Ma quando tra i sintomi caratteristici e peculiari della malattia e quelli del
medicamento scelto non vi è perfetta somiglianza, ma solo corrispondenza nei
caratteri generali, senza modalità definite (come malessere, stanchezza, mal di
capo ecc.) e tra i medicamenti conosciuti non se ne trova alcuno omeopaticamente
adatto, il medico non deve ripromettersi alcun successo immediato dall’uso di
tale farmaco non omeopatico.
§ 166.
Però con l’aumentato numero dei farmaci conosciuti, negli ultimi tempi, nelle
loro azioni pure, questo caso è divenuto assai raro, e gli
inconvenienti, se pur ve ne sono, diminuiscono non appena si può adottare un
altro medicamento più simile.
§ 167.
Se insorgono disturbi di una certa entità, secondari alla somministrazione di
questa medicina imperfettamente omeopatica, non si deve lasciare, nei casi di
malattie acute, che questa prima dose esplichi tutta la sua azione, ed
abbandonare il malato alla completa azione del farmaco, ma devesi esaminare il
nuovo stato presente del malato e connettere quanto è rimasto dei sintomi
primieri con i nuovi insorti e tratteggiare un nuovo quadro di malattia.
§ 168.
in questo modo si troverà con maggior facilità un rimedio simile, che
basterà somministrare una sola volta, se non per distruggere totalmente la
malattia, almeno per avvicinarsi di molto alla guarigione. E se anche questo
nuovo farmaco dovesse non essere in grado di portare la guarigione, si ripeterà
l’esame del malato e si sceglierà, per il nuovo quadro morboso rilevato,
un’altra medicina omeopatica, più simile che sia possibile. Si
continuerà con mesto metodo fino a raggiungere la guarigione completa del malato.
§ 169.
Se al primo esame di un malato e alla prima scelta del farmaco dovesse accadere
che la totalità dei sintomi della malattia non vengono coperti bene dai sintomi
di un unico medicamento, (a causa del numero insufficiente di medicamenti
conosciuti), ma che invece due medicine si contrastano la preferenza di scelta,
poiché una è più simile ad una parte dei sintomi del malato e l’altra più simile
al resto di essi, non ci si lasci indurre ad usare senz’altro le due medicine
una dopo l’altra e tanto meno tutte due insieme. Infatti la seconda medicina,
ritenuta assai adatta, non sarà più simile al quadro nuovo di malattia presente
dopo la somministrazione del primo medicamento; e in questo caso, quindi, si
dovrà scegliere un nuovo farmaco omeopaticamente più adatto al complesso dei
nuovi sintomi, che si rileveranno.
§ 170.
Anche qui, come sempre quando avviene qualche cambiamento dello stato di
malattia, si devono rilevare di nuovo tutti i sintomi presenti e (senza
riguardo alla seconda medicina ritenuta ben adatta nella prima scelta del
medicamento) scegliere una nuova medicina omeopatica, più simile al
nuovo stato di malattia. Se accadesse, cosa che non spesso avviene, che la
seconda medicina, giudicata adatta fin da principio, fosse corrispondente anche
al nuovo quadro morboso, con maggior fiducia e preferenza essa sarà somministrata.
§ 171.
Nelle malattie croniche, non veneree, che sono le più comuni e dovute alla
psora, sono di frequente necessari per la guarigione, parecchi rimedi, rimedi
antipsorici, da usare un dopo l’altro, in modo che ognuno sia scelto omeopaticamente
in seguito all’esame del gruppo di sintomi rimasti ad azione esplicata del
farmaco precedente.
§ 172.
Una difficoltà analoga insorge quando la malattia da curare presenta un
numero troppo esiguo di sintomi. Tale circostanza merita la nostra
diligente osservazione, poiché potendola togliere, quasi tutte le difficoltà
per la guarigione, a mezzo del più perfetto fra tutti i sistemi curativi (anche
prescindendo dal numero ancora incompleto dei medicamenti noti), vengono eliminate.
§ 173.
Sembrano avere pochi sintomi, e quindi sono più difficili a guarire, solo
quelle malattie, che si potrebbero chiamare monosintomatiche, poiché
presentano soltanto uno o due sintomi principali, che quasi nascondono tutti
gli altri. Codeste malattie sono per lo più croniche.
§ 174.
Il loro sintomo fondamentale può essere o un male interno, (come ad es. una
cefalea, che data da più anni, una diarrea di antica data, una vecchia
cardialgia ecc.) oppure un male esterno. Mali di quest’ultimo tipo sono
denominati volentieri con nome di malattie locali.
§ 175.
Nelle malattie monosintomatiche della prima categoria, la mancanza di
attenzione, da parte del medico, è spesso la sola causa, per la quale non
vengono rilevati i sintomi, che servono a stabilire il quadro completo della
malattia.
§ 176.
Pur tuttavia vi sono alcuni, sia pure pochi, casi di questo genere, che anche
esaminati accuratamente fin da principio, non presentano che uno o due sintomi
evidenti, intensi e tutti gli altri in modo poco chiaro.
§ 177.
E per curare con successo anche questi casi rarissimi, si scelga, sulla
guida dei pochi sintomi, la medicina omeopaticamente più adatta.
§ 178.
Potrà anche talvolta darsi che la medicina, scelta osservando scrupolosamente
la legge dei simili, sviluppi una malattia artificiale sufficientemente simile
per poter annientare la malattia, che si cura. Questo è tanto più possibile,
quanto più i pochi sintomi presenti sono ben chiari, precisi e caratteristici.
§ 179.
Sarà però più frequente il caso, in cui il farmaco non si contrapporrà che in
parte alla malattia naturale, perché scelto con un numero insufficiente di
sintomi.
§ 180.
Ma allora la medicina ben scelta, se pure omeopaticamente, per quanto detto in
precedenza, insufficiente, perché nella sua azione contro la malattia è solo
parzialmente simile, determina — come nel caso in cui il numero scarso di
medicamenti rende incerta la scelta del farmaco — disturbi secondari e
l’insorgenza, nello stato del malato, di molteplici accidenti, ad essa propri, che
costituiscono, sebbene fino allora non percepiti o sentiti soltanto di raro,
sintomi della malattia stessa. Insorgeranno o si manifesteranno in modo più
distinto sintomi, che prima il malato non aveva avuto o non aveva chiaramente
avvertito.
§ 181.
Non si obietti che i disturbi secondari e i nuovi sintomi insorti sono dovuti
al farmaco somministrato. Essi insorgono per esso, ma sono sempre soltanto
sintomi, che la malattia stessa di per sé ed in quel dato individuo può
produrre e che vengono resi manifesti dal medicamento, per la sua proprietà di
determinare sintomi simili. In altre parole si rende evidente la
totalità dei sintomi, che costituiscono la malattia ed il vero stato presente,
che deve servire di base per la cura.
§ 182.
Così la scelta del farmaco, che inevitabilmente doveva risultare imperfetta, a
causa del numero troppo esiguo di sintomi, rende il servigio di completare la
sintomatologia della malattia e quindi facilita la scelta di un altro rimedio
omeopatico, più conveniente.
§ 183.
Allora quando la dose della prima medicina non ha portato alcun giovamento
(sempre che i nuovi disturbi per la loro violenza, non richiedano un intervento
più pronto, cosa che quasi mai accade per le piccole dosi omeopatiche e nelle
malattie croniche), si deve rilevare il nuovo stato presente della
malattia, quale esso è, e, basandosi sullo stesso, scegliere un altro
medicamento omeopatico. Questo potrà essere scelto tanto più simile al
nuovo stato presente della malattia, in quanto la sintomatologia della stessa è
più ricca e più completa.
§ 184.
Ed in seguito, ogni volta, quando l’azione di una medicina è finita e non è più
capace di giovare, devesi rilevare lo stato presente della malattia, tenendo
conto di tutti i sintomi e scegliere, per il nuovo quadro sintomatologico, una
medicina omeopatica più simile che sia possibile. Così si farà fino a
quando si sarà raggiunta la guarigione.
§ 185.
Fra le malattie monosintomatiche occupano un posto importante quelle che si
chiamano malattie locali. Esse comprendono le alterazioni ed i disturbi
delle parti esterne del corpo. Fino ai nostri giorni si insegnò che si tratta
di malattie delle parti esterne del corpo, senza partecipazione del resto
dell’organismo; — questa concezione teorica assurda ha portato ad applicazioni
terapeutiche assai dannose.
§ 186.
Quei mali locali, che sono recenti e dovuti unicamente ad un agente
esterno, sembrano essere i soli a meritare tale denominazione. Ma la lesione
dovrebbe essere molto lieve e quindi insignificante; poiché, quando mali di una
certa importanza attaccano il nostro corpo dall’esterno, tutto l’organismo ne
viene a soffrire; insorge febbre ecc.. E’ compito della chirurgia rimediare a
queste infermità, con diritto, in quanto si tratta di portare quei soccorsi
meccanici, che unicamente servono a portare la guarigione, asportando ostacoli
meccanici, come per es. la riduzione di lussazioni, la sutura di ferite, le
fasciature, l’arresto di emorragie con legatura di vasi; l’asportazione di
corpi estranei, operazioni in cavità per allontanare corpi dannosi
all’organismo, svuotamenti di raccolte liquide, riduzione e contenzione di
fratture ecc.. Ma deve intervenire il medico dinamico con l’arte omeopatica,
quando, in tali infermità, tutto l’organismo vivente, come sempre, richiede un aiuto
attivo, dinamico per essere messo in grado di portare a compimento l’opera
di guarigione — come per esempio quando si tratta di combattere la febbre violenta,
insorta per gravi contusioni, per lacerazioni di parti molli o di vasi, o di
lenire il dolore da scottature.
§ 187.
Invece ben altra origine hanno quei mali, quelle alterazioni, quei disturbi,
che si riscontrano sulle parti esteriori dell’organismo e che non sono dovuti
all’azione di agenti esterni oppure che sono conseguenza di piccole lesioni
esterne. Essi hanno la loro origine in un male interno. Considerarli solo come
mali esterni e curarli, solo o quasi esclusivamente, con applicazioni
terapeutiche locali o trattarli chirurgicamente con mezzi simili, come ha fatto
fin qui da secoli la medicina, è cosa tanto assurda, quanto dannose le
conseguenze che ne derivano.
§ 188.
Si ritenevano questi mali come locali, come malattie unicamente
localizzate all’esterno, alle quali l’organismo non partecipava affatto o ben
poco; come affezioni di singole parti visibili, che ne erano colpite
all’insaputa del resto dell’organismo vivente.
§ 189.
Eppure basta la più piccola riflessione per capire che nessun male esterno (non
dovuto a lesione traumatica esterna) può insorgere o permanere o peggiorare
senza causa interna, senza partecipazione di tutto l’organismo (di conseguenza
malato).
Non potrebbe nemmeno insorgere senza la partecipazione di tutto l’organismo
vivente (ossia senza la partecipazione del principio vitale, che domina
tutte le parti sensibili ed eccitabili del corpo). Non si può concepire il suo
insorgere se non legato ad un cambiamento di tutto lo stato vitale, tanto
sono unite tutte le parti dell’organismo fra loro in un tutto inscindibile di
vita e di funzione. Non esiste un’eruzione alle labbra, non una
suppurazione ungueale, senza che, prima ed in pari tempo, non vi sia una perturbazione
interna dell’organismo.
§ 190.
Il trattamento veramente razionale di un male esterno, non dovuto a cause
traumatiche, deve agire su tutto l’organismo, deve tendere alla
guarigione con la distruzione del male generale, con rimedi interni. Soltanto
tale cura sarà utile, sicura, giovevole e radicale.
§ 191.
Questo asserto è confermato dall’esperimento. Ogni medicamento energico, subito
dopo esser stato somministrato per uso interno, determina notevoli alterazioni
sia nello stato generale sia in parti esterne dell’organismo (che la medicina
volgare considera isolate), dando origine a qualche male cosidetto locale, con
sede anche alle estremità del corpo. In altre parole il medicamento determina
le alterazioni salutari, la guarigione di tutto l’organismo, facendo scomparire
il male esterno (senza bisogno di alcun soccorso esterno), se il farmaco, che
agisce sull’organismo in toto, è stato scelto secondo la legge dei simili.
§ 192.
Il modo migliore di raggiungere tale scopo consiste, quando si esamina un caso
di malattia, nel considerare diligentemente non solo i caratteri del male
locale, ma anche tutte le perturbazioni dello stato generale, tutti i disturbi
e sintomi, anche in rapporto ad eventuali medicine prese, e nel fare un quadro
completo di malattia, prima di passare alla scelta del rimedio omeopatico, che,
nella sua azione patogenetica, corrisponda alla totalità dei sintomi rilevati.
§ 193.
Con questo medicamento, usato soltanto per uso interno (e già alla prima dose
se il male è insorto da poco) guarisce lo stato generale malato dell’organismo
ed anche il male locale, contemporaneamente, dimostrando così che il male
locale dipende unicamente da una affezione del resto dell’organismo e che
devesi considerare come una parte inscindibile del tutto, come uno dei sintomi
maggiori e più evidenti della malattia in toto.
§ 194.
Nelle malattie locali acute, insorgenti rapidamente, come pure in quelle
instauratesi già da lungo tempo, non devesi applicare, sulla parte esterna
malata, alcun medicamento, fosse anche quello salutare, omeopatico, usato per
uso interno; tanto meno se questo fosse contemporaneamente somministrato
per bocca. Infatti i mali locali (per es. flogosi di parti, eresipela ecc.),
che hanno origine non da agenti traumatici, violenti, esterni, ma da cause
dinamiche interne, scompaiono di solito sicuramente con rimedi scelti tra
quelli noti, purché corrispondano omeopaticamente allo stato presente del
malato. Se non scompaiono del tutto, se, nonostante un ordinato regime
di vita, permane nella parte malata e nel resto dell’organismo traccia di
malattia, che la forza vitale non è capace di eliminare, vuol dire (e
non è raro il caso) che il male locale acuto è una manifestazione dello stato
psorico fino allora latente e capace adesso di sviluppare una malattia cronica.
§ 195.
In questi casi, che non sono rari, devesi, dopo aver vinto lo stato acuto,
istituire una cura contro i disturbi residuati e contro quelli che il malato
soffriva di solito in precedenza; tale cura, basata sempre sulla legge dei simili,
sarà antipsorica, per poter portare alla guarigione radicale. Nei mali locali
cronici, di origine non venerea, la cura interna antipsorica è senz’altro
necessaria.
§ 196.
Si potrebbe credere che la guarigione di questi mali dovesse avvenire più
rapidamente, usando il medicamento, riconosciuto
omeopaticamente adatto alla totalità dei sintomi, anche in applicazioni locali
oltre che per uso interno, pensando che l’azione di un farmaco, messo proprio
su un male locale, dovesse essere più pronta.
§ 197.
Tale sistema curativo è da rigettare non solo per combattere i sintomi
locali della psora, ma anche quelli della sifilide e quelli della sicosi, poiché
il trattamento topico, contemporaneo alla cura interna, in malattie, che
hanno costante un male locale come sintomo fondamentale, presenta lo
svantaggio, che, con queste applicazioni terapeutiche locali, il sintomo
fondamentale di solito sparisce prima che la malattia interna sia distrutta,
dandoci la parvenza di guarigione completa o almeno rendendoci difficile ed in
alcuni casi impossibile giudicare se tutta la malattia è stata annientata dal
medicamento somministrato contemporaneamente per via interna.
§ 198.
Per la stessa ragione devesi rigettare la sola cura esterna del male locale con
il medicamento adatto per uso interno. Poiché quando viene soppresso il male
locale delle malattie croniche, la cura interna, necessaria per la completa
guarigione, diventa difficile. Quando il sintomo fondamentale (il male locale)
è scomparso, rimangono solo altri sintomi incerti, labili e meno costanti e
troppo poco caratteristici per permettere di formare ancora un quadro chiaro e
completo della malattia.
§ 199.
Se infine il medicamento omeopatico, adatto per la malattia, non è stato ancora
scelto quando il sintomo principale locale è
stato soppresso con qualche medicamento caustico o simile o con cura
chirurgica, la scelta del farmaco appropriato diventa molto più difficile per i
sintomi non caratteristici ed incostanti che rimangono. Venendo a mancare il
sintomo principale esterno, viene anche a mancare il segno più importante, che
ci serve di guida nella cura fino alla scomparsa completa della malattia.
§ 200.
11 male locale, se esiste quando si fa la cara interna, aiuta la ricerca del
medicamento omiol3atico per la malattia nella sua totalità. Somministrato poi
il medicamento, così scelto, per via interna, se il male locale non scompare, vuol
dire che la guarigione non è stata raggiunta. Ma se esso, con la cura interna,
senza alcuna cura locale, scompare, dimostra che tutta la malattia è stata
distrutta fin dalle radici e si è ottenuta la guarigione completa. Questo è un
vantaggio inestimabile ed insostituibile.
§ 201.
Evidentemente la forza vitale dell’uomo (istintivamente), quando è
colpita da una malattia cronica, che non può vincere con le proprie energie, si
decide a determinare la formazione di un male locale, in una parte esterna del
corpo, soltanto al fine di far tacere la malattia interna, che minaccia di
distruggere organi vitali e la vita stessa, facendo ammalare e mantenendo
malata una parte dell’organismo non indispensabile alla vita. Ossia si
tratta, per così dire, di trasportare il male interno in un male esterno locale
e in certa qual maniera di farne la sostituzione. La presenza del male locale
porta momentaneamente al silenzio la malattia interna, senza però guarirla o
diminuirla. Tuttavia il male locale rimane sempre come un sintomo della
malattia generale, come una parte della stessa, però ingrandita dalla forza
vitale e trasportata in parte del corpo non pericolosa (esterna), collo
scopo di acchetare il male interno. Ma, come già detto, con questo sintomo
localizzato la forza vitale guadagna così poco, nei confronti della
malattia in toto, che un po’ alla volta è costretta ad accrescere il male
interno e ad ingrandire e peggiorare sempre più il male esterno, affinché esso
basti a silenziare il primo. Vecchie ulcerazioni alle gambe peggiorano a psora
interna non guarita, l’ulcera sifilitica s’ingrandisce, se la sifilide interna
non viene guarita; i condilomi si moltiplicano e crescono, finché la sicosi non
è guarita. Il male locale diventa sempre più difficile a guarire, man mano
che con il tempo la malattia generale cresce.
§ 202.
Se ora il medico dell’altra scuola crede di guarire la malattia nella sua
totalità con il distruggere, con mezzi esterni, il sintomo locale erra, perché
la natura ricorre in tal caso al risveglio del male interno, dei sintomi già
esistenti e di quelli latenti, ossia esaltando la malattia interna. In questo
caso si suole dire, ma a torto, che il male locale è stato, con i
medicamenti esterni, ricacciato nel corpo o nei nervi.
§ 203.
Ogni medicazione esterna, diretta a togliere dalla superficie del corpo tali
sintomi locali, senza guarire la malattia miasmatica interna, come ad esempio
la cura con pomate applicate sulla pelle contro l’eruzione scabbiforme, le causticazione
di un’ulcera, l’asportazione di condilomi con metodi chirurgici o con legature
o con il fuoco, costituisce un metodo di cura esterno tanto generalizzato
quanto pernicioso, che è la causa principale di innumerevoli mali cronici, per
i quali l’intera umanità soffre. Tale metodo è uno dei più delittuosi, che
possano essere attribuiti alla scienza medica; ciò nonostante, è diffusissimo e
viene insegnato, come unico, nelle scuole mediche.
§ 204.
Se noi facciamo astrazione dai mali cronici, dai disturbi provenienti da un
sistema antigienico di vita e dagli innumerevoli stati morbosi dovuti a
medicamenti, che vengono somministrati in cure cervellotiche, costanti e
dannose, anche in malattie di piccola entità, la maggior parte delle malattie
croniche è dovuta a tre miasmi cronici: alla sifilide interna, alla sicosi
interna, ma, su scala molto maggiore, alla usura interna.
Ciascuno di questi miasmi è diffuso in tutto l’organismo già prima di
determinare la comparsa dell’effetto primario, del sintomo locale ossia
dell’ulcera nella sifilide, dell’eruzione scabbiforme nella psora e dei
condilomi nella sicosi.
Se ora, a queste malattie si asportano, con cure esterne, i sintomi locali,
ritenuti vicarianti e silenziatori della malattia generale, inevitabilmente
presto o tardi dovranno svilupparsi e manifestarsi le malattie, per legge di
natura, proprie a ciascuno e caratteristiche, e in questo modo si propagherà
l’immensa miseria e l’incredibile quantità di malattie croniche, che da secoli
tormentano il genere umano.
Nessuna di tali malattie sarebbe insorta con simile frequenza, se i medici
avessero combattuto questi tre miasmi, invece che con cure esterne dirette
contro i sintomi locali, con medicamenti interni, omeopatici e si fossero
prodigati ad estirpare dall’organismo, radicalmente, ogni male con le relative
medicine confacenti.
§ 205.
Il medico omeopatico non cura mai alcuno di questi sintomi primari delle
malattie miasmatiche croniche, né alcuno di quelli di mali insorti
secondariamente, con mezzi terapeutici locali (né con mezzi agenti
dinamicamente né con mezzi meccanici), ma cura soltanto il miasma fondamentale.
Questo guarisce (ad eccezione di alcuni casi inveterati di sicosi) e guarendo
porta la scomparsa dei sintomi sia primari che secondari. Ma il medico omeopatico,
che non sa quanto sia accaduto prima della sua chiamata e purtroppo trova i
sintomi primari per lo più fatti scomparire dai medici curanti precedenti con
mezzi esterni, si trova ad avere da fare con i sintomi secondari ossia con mali
provenienti dallo sviluppo e dall’evoluzione della malattia miasmatica
fondamentale ed ancora più di tutto si trova di fronte a malattie croniche
provenienti dalla psora interna. Io stesso ho trattato l’argomento, come può
fare un medico isolato, dopo uno studio, un’osservazione e un’esperienza di
molti anni, nel mio libro sulle « Malattie croniche » e ad esso rimando il
lettore.
§ 206.
Prima di cominciare la cura di una malattia cronica, è necessario indagare con
diligenza, se il malato ha avuto malattie veneree; Poiché, in tal caso, la cura
va diretta contro di esse, se soltanto sintomi di tal genere sono presenti; ai
giorni nostri è però difficile trovare tali sintomi soli.
Quando un caso di psora ha segni non chiari, devesi pensare ad una complicanza
con una pregressa infezione venerea. Di fatti sempre o quasi sempre il medico,
quando trova una antica malattia venerea, ha da curare una psora complicata. La
psora costituisce di gran lunga la causa più frequente delle malattie croniche.
Talvolta questi due miasmi, in malati cronici, sono complicati dalla
sicosi, come si può rilevare anche dall’anamnesi. Però, molto più spesso, si
riscontra la psora come sola causa fondamentale di malattie croniche (qualunque
nome esse possano avere), che spesso si presentano esaltate in grado assai
grave ed alterato per le cure allopatiche.
§ 207.
Quindi il medico omeopatico deve ricercare anche quali cure allopatiche ha
fatto il malato, quali medicamenti ha usato e in qual modo, se ha fatto bagni
con acque minerali e con quale esito. Queste informazioni sono necessarie per
stabilire in certo qual modo la degenerazione della malattia primitiva e, se
possibile, per togliere in parte, se non del tutto, i danni recati dalle cure
ed evitare i medicamenti così male usati.
§ 208.
Inoltre devesi prendere in considerazione l’età del malato, il suo regime di
vita e dietetico, le sue occupazioni, la sua posizione familiare e sociale, in
quanto questi fattori possono contribuire ad aggravare il suo male od in quanto
possono favorire o impedire la cura. Così pure non bisogna trascurare di tener
conto della disposizione d’animo e del modo di pensare del paziente, affinché
tali stati psichici non abbiano ad ostacolare la guarigione e possano venire
modificati, se occorre.
§ 209.
Solo ora il medico comporrà il quadro della malattia nel modo più completo
possibile, secondo il metodo già esposto, cercando di mettere in evidenza i
sintomi più evidenti e più distinti (i sintomi caratteristici), per i quali
sceglierà il primo medicamento (antipsorico od altro), secondo la legge dei simili,
ed inizierà la cura.
§ 210.
Appartengono alla psora quasi tutte le malattie chiamate monosintomatiche, che
sembrano essere più difficili a guarire appunto per questa proprietà
(monosintomatologia). Ad esse fanno capo anche le malattie dello spirito e
della mente.
Esse però non costituiscono una classe ben distinta dalle altre malattie, poiché
in ognuna delle malattie dell’organismo, chiamate fisiche, vi è sempre un’alterazione
dello spirito e della mente. In ogni stato di malattia lo stato dell’animo
costituisce uno dei sintomi più importanti, che va sempre rilevato per poter
fare il quadro fedele del male e conseguentemente poterlo guarire con la cura omeopatica.
§ 211.
Tal cosa è tanto importante nella scelta del medicamento, che spesso lo stato
d’animo del paziente è decisivo, perché rappresenta un sintomo preciso e
caratteristico e che meno di qualsiasi altro può sfuggire all’osservazione del
medico attento.
§ 212.
Il Creatore delle potenze salutari ha tenuto in singolarissima considerazione
questo elemento fondamentale delle malattie, i cambiamenti dello stato
d’animo e di mente, poiché non esiste al mondo alcun medicamento, di una
certa potenza, che non alteri in modo chiaro lo stato d’animo e
di mente dell’uomo sano, che ne faccia esperimento; ed ogni medicamento dà
un’alterazione diversa.
§ 213.
Di conseguenza non si curerà mai secondo natura, ossia omeopaticamente, se in
ogni caso di malattia, anche acuto, non si terrà conto dei sintomi relativi ai
cambiamenti dello stato di mente e di animo e, tra i medicamenti, non si sceglierà
quello che abbia gli altri sintomi simili a quelli della malattia e sia
anche capace di sviluppare uno stato di animo e di mente simile.
§ 214.
Nei riguardi delle malattie mentali ben poco mi resta da insegnare, poiché esse
si curano nella stessa maniera e non altrimenti che tutte le altre malattie. In
altre parole, esse si curano con medicamenti, che, nella loro patogenesi
nell’uomo sano, determinano l’insorgere di sintomi fisici e psichici più simili
che sia possibile a quelli della malattia.
§ 215.
Quasi tutte le malattie mentali non sono altro che malattie dell’organismo,
nelle quali il sintomo particolare dell’alterazione dello spirito e dello stato
d’animo si esalta (ora in modo lento, ora in modo rapido), mentre i sintomi
fisici si attutiscono tanto da giungere, alla fine, ad una sintomatologia
evidentissima, quasi si trattasse di un male locale insediantesi negli organi
delicatissimi cerebrali.
§ 216.
Non sono rari i casi, in cui una malattia del corpo, che porta pericolo di
vita, (come per esempio una suppurazione polmonare o la alterazione grave di
qualche altro organo nobile o qualche malattia febbrile acuta, una febbre
puerperale ecc.), per la rapida esaltazione dei sintomi psichici, degenera in
delirio, in uno stato melanconico o in pazzia, e con questo fa scomparire ogni
pericolo mortale dovuto ai sintomi fisici. Questi intanto migliorano fin quasi
a guarire o diminuiscono a tal punto, che la loro presenza viene constatata
solo da un medico molto attento e perspicace; in questo modo essi degenerano in
una malattia monosintomatica (come si trattasse di un male locale), nella quale
il sintomo dell’alterazione mentale diventa sintomo fondamentale, che soverchia
la maggior parte dei sintomi fisici, e ne silenzia la loro violenza in maniera
palliativa.
In una parola il processo patologico degli organi fisici viene in certo qual
modo trasferito nelle sedi dello spirito, mai raggiunte e mai
raggiungibili da bisturi anatomico.
§ 217.
In tali casi la ricerca della totalità dei sintomi va fatta accuratamente, in
relazione sia ai sintomi fisici che al sintomo fondamentale, che riguarda
l’alterazione della mente e dello stato d’animo. Devonsi ricercare le
precise caratteristiche di questo sintomo, al fine di poter trovare, tra i
medicamenti conosciuti nelle loro azioni pure, quello che, nella sua
patogenesia, presenta non solo i sintomi fisici, ma anche, ed in modo distinto
e assai simile, quelli psichici e morali della malattia, che si vuole
curare.
§ 218.
Per giungere alla conoscenza del quadro sintomatologico completo è necessaria
anzitutto un’esatta descrizione di tutti i fenomeni fisici presenti prima
dell’esacerbazione del sintomo mentale, prima della degenerazione in malattia
psichica. Questi dati si avranno dalla relazione dei parenti.
§ 219.
La comparazione dei sintomi fisici esistenti dapprincipio con quelli presenti
ora, sebbene quasi impercettibili, (e che possono a volte tornare evidenti in
qualche intervallo di lucidità di mente o in qualche remittenza passeggera
della malattia mentale) servirà appunto a dimostrare che essi esistono ancora,
sia pure in modo velato.
§ 220.
Inoltre lo stato mentale e morale, osservato attentamente dai parenti e
rilevato dal medico stesso, servirà a metter assieme il quadro completo della
malattia, per la quale potrà poi venir scelto il medicamento omeopatico, capace
di dare sintomi simili e soprattutto sintomi mentali assai simili
a quelli presenti nel malato. Se la malattia data da qualche tempo, la scelta
del medicamento potrà esser fatta tra quelli antipsorici.
§ 221.
Quando in un malato ordinario, quieto insorge improvvisamente delirio o pazzia
(in occasione di uno spavento, di un dispiacere, di abuso di bevande alcooliche
ecc.) come malattia acuta, non si può istituire subito, sin da principio, una
cura con medicamenti antipsorici, nonostante si tratti, quasi senza eccezioni,
di malattia dovuta a psora. Ma il primo trattamento si deve fare con altri
medicamenti omeopatici, somministrati a potenze alte e a dosi tenue, al fine di
modificare lo stato mentale e morale e far ritornare la psora al suo stato
primiero, latente, nel quale il malato appare come guarito.
§ 222.
Tuttavia un malato così liberato da una malattia acuta, con medicamenti
apsorici, non va mai considerato come guarito. Al contrario devesi, senza
perder tempo, sottoporlo a cura continuata antipsorica, e forse anche antisifilitica,
per liberarlo completamente dalla malattia fondamentale, cronica che è divenuta
latente, ma che potrebbe recidivare nella malattia mentale o morale, per guarirlo
radicalmente dalle manifestazioni psoriche, alle quali è d’ora innanzi assai
predisposto. Soltanto così facendo, non sarà più da temere un attacco simile in
avvenire, purché il malato si attenga fedelmente al regime di vita
prescrittogli.
§ 223.
Ma se si tralascia di fare la cura antipsorica (o antisifilitica), anche per
una occasione di minor entità di quella, che ha scatenato la prima
manifestazione mentale, si potrà aspettarsi, quasi con certezza, presto, un
nuovo attacco, più intenso e più persistente, durante il quale la psora suole
svilupparsi completamente e degenerare in una alienazione mentale o periodica o
continua, la cui cura antipsorica sarà ben più difficile.
§ 224.
Se, a malattia mentale non completamente sviluppata, si dubitasse della causa
d’insorgenza, per differenziare se essa è insorta per un male fisico del corpo
oppure per educazione errata o trascurata, per cattive abitudini, per costumi
corrotti, per superstizioni od ignoranza, il medico ricorrerà ad esortazioni
comprensibili e buone, ad argomenti di consolazione, ad osservazioni serie ed
assennate. Con questi mezzi, se la malattia mentale è basata su un male fisico
del corpo, anziché cedere e migliorare, si aggraverà presto; il melanconico
diventerà più depresso, più inconsolabile, più chiuso in sé, il maniaco più
irritato, il demente ancora più irragionevole.
§ 225.
Vi sono delle malattie dello spirito, tuttavia ben poche, che non sono
l’espressione di degenerazione di malattie fisiche del corpo, ma hanno origine e
si sviluppano in modo opposto, ossia hanno il loro punto di partenza dallo spirito,
a causa di dispiaceri protratti, di umiliazioni, di contrarietà, di
offese, ma più spesso a causa di paura e spavento. Queste malattie dello spirito
spesso, col tempo, alterano ed anche in grado notevole lo stato di salute
del corpo.
§ 226.
Soltanto queste malattie mentali, che partono dallo spirito, si possono
guarire, se sono recenti e non hanno troppo sconvolto la salute
dell’organismo. Con mezzi psichici, con la confidenza, con la buona
persuasione, con discorsi sensati, a volte anche con inganno ben mascherato, si
possono presto trasformare in uno stato di benessere dell’animo (e con un
regime di vita adatto anche in uno stato di benessere del corpo).
§ 227.
Anche in queste malattie vi è un miasma psorico, che soltanto non ha raggiunto
il suo completo sviluppo. Ed è certo che, una volta che il malato sia risanato,
affinché non abbia a ricadere in altra malattia mentale simile, come facilmente
accade, deve essere sottoposto ad una cura antipsorica (e se occorre anche
antisifilitica) radicale.
§ 228.
Nelle malattie mentali, originate da male fisico del corpo, che sono da curare
unicamente con medicamento omeopatico diretto a combattere l’agente interno
della malattia, devesi anche istituire un regime spirituale; i parenti
dell’ammalato e il medico devono tenere di fronte al paziente un’adatta
condotta psichica. Al furioso devesi opporre tranquillità, sangue freddo e
ferma volontà — al timido e al piagnucoloso, che si lagna penosamente, un muto
compatimento espresso sia col viso che con i gesti — alle ciarle dell’insensato
un silenzio non del tutto privo di attenzione ad un contegno schifoso e
raccapricciante assoluta noncuranza. Se un malato danneggia, distrugge oggetti,
non lo si rimproveri; si cerchi d prevenire queste azioni e si eviti
qualsiasi castigo e punizione corporea. L’unico caso, in cui la violenza
potrebbe essere giustificata, sarebbe la somministrazione forzata di medicine.
Ma facendo la cura omeopatica non v’è bisogno di ricorrere alla violenza, per
far prendere i medicamenti, poiché questi non hanno nessun sapore e possono
venire somministrati al malato con le vivande, a sua insaputa.
§ 229.
D’altra parte contraddire simili malati, usare con loro accondiscendenza troppo
spinta, rimproveri violenti, bestemmie, mostrare debolezza e timore sono tutte
cose fuori posto e costituiscono mezzi curativi dannosi.
Però più di tutto determinano peggioramento della malattia lo scherno, la
derisione, l’inganno, quando siano avvertiti dai malati. I medici e gli
infermieri devono sempre fingere di credere che i malati abbiano la ragione. Si
cerchi di allontanare qualsiasi cosa, che possa turbare i loro sensi e il loro
spirito. Per la loro mente annebbiata non vi è alcun divertimento, nessuna
distrazione benefica; nessun sollievo dalle buone parole, dalla lettura o da
altro. Nessun ristoro vi è per quell’anima eccitata spasimante nelle catene del
corpo malato, all’infuori della guarigione. Soltanto il corpo guarito
irradierà la pace e il benessere su quello spirito.
§ 230.
Se il medicamento scelto (e la scelta, che va fatta con diligenza e senza
stancarsi, è molto più facile, quando vi è sufficiente numero di medicamenti omeopatici
conosciuti nelle loro azioni pure, perché lo stato mentale di questi malati
offre un sintomo fondamentale chiaro, inconfondibile) per un dato caso di
malattia mentale è perfettamente omeopatico al quadro esatto della malattia,
esso è capace di portare spesso in breve tempo, a dose piccolissima, un
miglioramento sorprendente, mentre nulla si era prima ottenuto con le dosi
enormi di tutte le altre medicine non adatte e somministrate fino a dare quasi
la morte.
Posso attestare, in base a grande esperienza, che l’eccellenza della omeoterapia
sopra tutte le altre terapie in nessun altro campo trionfa quanto in quello
delle malattie croniche della mente, che derivano originariamente da mali
fisici del corpo o che si svilupparono contemporaneamente ad essi.
§ 231.
Meritano un esame a parte le malattie intermittenti; non solamente
quelle, che ritornano ad epoche fisse, come le numerose febbri intermittenti e
le affezioni in apparenza non febbrili, che hanno lo stesso carattere, ma anche
quelle malattie, che a periodi indeterminati, si alternano con stati morbosi
diversi.
§ 232.
Queste ultime malattie, dette alternanti, sono molteplici, appartengono
al gran numero delle malattie croniche, sono per lo più conseguenza di una
psora sviluppata e, sebbene di raro, qualche volta vi è la complicità del miasma
della sifilide. Nel primo caso la cura va fatta con medicamenti antipsorici;
nel secondo caso anche con antisifilitici, come è insegnato nel mio libro sulle
malattie croniche.
§ 233.
Le malattie intermittenti tipiche sono quelle, nelle quali, dopo un
lasso abbastanza determinato di tempo, trascorso in apparente benessere,
riappare uno stato morboso, uguale a quello prima esistente, che scompare pure
in determinato tempo. Questo stato si riscontra, tanto negli stati morbosi in
apparenza febbrili, ma tipici (ossia che compaiono e se ne vanno ad epoche
fisse), come pure in quelli febbrili (che comprendono le molteplici febbri
intermittenti).
§ 234.
Gli stati morbosi, recidivanti ad epoche fisse, tipici, in apparenza febbrili,
che di solito non hanno carattere sporadico o epidemico, appartengono alle
malattie croniche di provenienza psorica; e come tali vanno curati. Solo
raramente sono complicati da sifilide. A volte è necessario somministrare una
piccolissima dose di soluzione potentizzata di corteccia di china, per
troncare completamente il carattere dell’intermittenza.
§ 235.
Nelle febbri intermittenti, a carattere sporadico od epidemico,
(non in quelle che regnano endemiche in luoghi paludosi) si riscontrano spesso
accessi composti ti due stati alternantisi in modo opposto (freddo, calore -
calore, freddo), ed a volte di tre (freddo, calore, sudore).
Per questa particolarità anche il medicamento, scelto di solito tra i
medicamenti antipsorici, deve essere capace di determinare nell’uomo sano due o
tre stati alternanti simili, o per lo meno deve corrispondere omeopaticamente,
secondo la legge dei simili, allo stato intermittente più forte e più
distinto (sia esso lo stato del brivido con i suoi sintomi secondari o lo stato
del calore con gli altri suoi sintomi, od anche quello del sudore con i
relativi sintomi secondari). Ma specialmente i sintomi relativi allo stato del
malato, nei periodi senza febbre, devono guidare nella scelta del medicamento omeopatico
più simile.
§ 236.
In questi casi, è meglio e più utile somministrare la medicina, subito o poco
dopo la fine dell’accesso, non appena l’ammalato si è riavuto, in certo qual
modo dallo stesso. Data in questo momento, essa ha il tempo di
determinare nell’organismo tutti gli effetti che le son propri per portare la
guarigione senza scosse, e senza violenti reazioni. Ma se viene somministrata
subito prima dell’accesso, per quanto essa sia adatta al caso, incontrandosi
con la recidiva della malattia naturale, determina nell’organismo una reazione
così violenta, da diminuire di molto la resistenza del malato, da mettere
perfino in pericolo di vita. Invece somministrata subito dopo finito l’accesso
ossia quando è subentrato il periodo apirettico, prima, anche molto prima che
si prepari il nuovo attacco, la medicina trova la forza vitale
dell’organismo nelle migliori condizioni per poterla quietamente modificare e
porre in stato di salute.
§ 237.
Se il periodo apirettico è molto breve, come in alcune febbri molto maligne,
oppure se esso è turbato da disturbi dovuti all’attacco precedente, la medicina
omeopatica va somministrata al momento quando il sudore e gli altri fenomeni
indicano che l’accesso sta per finire.
§ 238.
Non di rado un’unica dose di medicina adatta tronca gli attacchi e ridà la
salute; però nel maggior numero dei casi è necessario somministrare una nuova
dose dopo ogni accesso.
Ogni modo, quando permangono gli stessi sintomi, si ripete la medesima
medicina, cosa che avviene senza inconvenienti, potentizzando ogni dose
successiva, dando dieci, dodici scosse alla boccetta contenente il rimedio
liquido. Ciò nonostante, talvolta, sebbene raramente, la febbre intermittente
riappare dopo parecchi giorni di benessere. Questo ritorno di una stessa
febbre, dopo un intervallo di benessere, è però soltanto possibile, quando
l’agente patogeno, che ha determinato la febbre intermittente, agisce ancor
sempre sull’individuo guarito, come avviene in regioni paludose; in tal caso la
guarigione è possibile soltanto con l’allontanamento della causa del male e,
nel caso specifico, con il cambiamento di domicilio (trasferimento dalla
regione paludosa in una montana).
§ 239.
Quasi ogni medicamento nella sua patogenesia presenta una febbre speciale,
particolare e perfino una specie di febbre intermittente, con stati
alternantisi, che è differente da tutte le altre febbri, prodotte da altri
medicamenti. Per questo nel grande regno dei medicinali si trova il rimedio omeopatico
adatto per ognuna delle febbri intermittenti naturali e per molte di esse si
trova il rimedio già nel numero ristretto dei medicamenti conosciuti ed
esperimentati nell’uomo sano.
§ 240.
Quando il medicamento omeopatico, specifico per una febbre intermittente,
epidemica in una data epoca, non porta, in qualche malato, la guarigione
completa, vuol dire che v’è la complicità (a meno che la guarigione non sia
impedita dall’abitare in regione paludosa) del miasmo psorico. In tal caso
dovranno essere usati medicamenti antipsorici fino alla guarigione.
§ 241.
Epidemie di febbri intermittenti, dove non sono endemiche, hanno la natura di
malattie croniche, composte da singoli attacchi acuti.
Ogni singola epidemia ha una propria caratteristica uguale e comune a tutti gli
individui, che indica, se trovata nella totalità dei sintomi comuni a tutti i
malati, il medicamento omeopatico adatto alla generalità dei casi.
Tale medicamento giova sempre anche in malati, che prima dell’epidemia godevano
uno stato discreto di salute, ossia che non erano cronici di psora in atto.
§ 242.
Se non si sono curati i primi accessi di una febbre intermittente
epidemica, oppure se i malati sono stati indeboliti da cure allopatiche, si
sviluppa la psora, che purtroppo si trova in moltissimi individui allo stato
latente; essa assume il tipo di febbre intermittente e in apparenza continua il
gioco della febbre intermittente epidemica.
In questo caso il medicamento, che si è mostrato utile contro i primi attacchi,
non serve più e non è più adatto. Ora ci si trova di fronte soltanto una febbre
intermittente psorica, che sarà vinta, di solito, da piccolissime dosi di zolfo
o di fegato di zolfo ad alta potenza.
§ 243.
Nei casi di febbri intermittenti, spesso molto maligni, che colpiscono molte
persone, abitanti in zone non paludose, devonsi usare dapprima, per
alcuni giorni, come sempre nelle malattie acute, medicamenti omeopatici simili,
scelti tra quelli conosciuti ed esperimentati (non antipsorici). Se con questi
la guarigione ritarda, si pensi alla psora e si tenga presente che soltanto
medicamenti antipsorici potranno portare un giovamento efficace.
§ 244.
Le febbri intermittenti, endemiche in luoghi paludosi e in luoghi soggetti
spesso ad inondazioni, hanno dato molto da tare alla classe medica. Eppure
anche in questi luoghi, un uomo sano, abituandovisi fin da giovane, può
rimanere in buona salute, purché conduca un regime di vita senza errori e non
venga depresso dalla miseria, da strapazzi o da violenti passioni.
Le febbri intermittenti lo potranno colpire nei primi tempi, ma una o due
piccolissime dosi di soluzione di corteccia di china ad alta potenza lo
libereranno dal male, se egli terrà un regime di vita ordinato. Ma se
individui, che osservano un buon regime dietetico e psichico e mantengono il corpo
in sufficiente movimento, non vengono guariti da una o due di tali dosi di
china, vuoi dire sempre che in essi vi è una psora, che tende a svilupparsi e
la loro febbre intermittente non può essere guarita, nella regione paludosa,
senza una cura antipsorica
A volte in questi malati, anche senza che abbiano a trasferirsi in zone
asciutte, montane, avviene un’apparente guarigione, la febbre se ne va, se non
sono fortemente intaccati dal male ossia se la psora in essi non si è ancora
completamente sviluppata ed è stata in grado di poter ritornare allo stato
latente; ma veramente guarire, non sarà per loro più possibile senza una cura
antipsorica.
§ 245.
Ora che abbiamo visto quali rapporti intercorrono tra la cura omeopatica e le
modalità fondamentali e particolari delle malattie, passiamo a trattare dei
medicamenti, del modo di usarli e del regime di vita da tenere durante la cura.
§ 246.
Ogni miglioramento, decisamente e continuamente progressivo durante la cura,
costituisce uno stato, che per tutta la sua durata, esclude, in via generale,
la ripetizione di qualsiasi medicinale, poiché il medicamento preso dal malato
continua a svolgere l’azione benefica, di cui è capace, fino alla fine. Questo
è il caso non raro nelle malattie acute; mentre nelle malattie
abbastanza croniche una dose di medicamento omeopatico, bene scelto, sviluppa
tutta l’azione benefica di cui è capace, secondo le sue qualità, con un
miglioramento continuo, ma lento, in periodo di tempo, che va da quaranta a
cento giorni. Ma al medico ed al malato interessa molto, se possibile, ridurre
questo periodo di tempo alla metà, ad un quarto ed anche più e di ottenere una
guarigione molto più rapida. E questa metà si può raggiungere benissimo, come
mi hanno insegnato recentissime e ripetute esperienze; ma alle seguenti
condizioni:
1°) quale medicamento omeopatico deve essere scelto, con ogni attenzione, quello più simile possibile;
2°) se
il medicamento è ad alta potenza, deve venire somministrato sciolto in
acqua e a dose piccolissima ed a intervalli, che l’esperienza ha insegnato
essere i più atti ad accelerare al massimo la guarigione.
Devesi poi avere l’avvertenza, che la potenza di ogni dose sia un po’
diversa da quella della dose precedente o successiva. Questo
accorgimento ha lo scopo di evitare che il principio vitale sia offeso
ed eccitato a reazioni contrarie, come sempre accade quando si usano ripetere
dosi uguali e molto ravvicinate tra loro.
§ 247.
La ripetizione di dosi identiche costanti di un medicamento, anche unica,
peggio se fatta più volte di seguito (a brevi intervalli, se si vuole che la
cura non venga ritardata) è una cosa assurda. Il principio vitale non
accetta queste dosi uguali senza ripugnanza, ossia senza tralasciare di mettere
in evidenza altri sintomi della malattia da medicamento oltre quelli simili ai
sintomi della malattia naturale. Siccome la dose precedente ha già determinato
nel principio vitale le modificazioni a lei proprie, una nuova dose di
uguale potenza, non può più fare la stessa cosa. Con una tale dose identica
il malato non può altro che ammalarsi di altro male, ossia diventare più
malato di prima, poiché ora rimangono ad agire solo quei sintomi della stessa
medicina, che non sono più omeopatici per la malattia naturale; quindi nessun
progresso nei riguardi della guarigione, ma soltanto un vero aggravamento del
malato.
Ma se invece ogni dose successiva è di potenza diversa, ossia
è di dinamizzazione un po’ più alta, il principio vitale si lascia
influenzare senza difficoltà (diminuisce ancor più la sensibilità di
fronte alla malattia naturale) e portare più vicino alla guarigione.
§ 248.
Per questo scopo la soluzione del medicamento viene potentizzata
(agitando con otto, dieci, dodici scosse la boccetta) ogni volta prima della
somministrazione. La soluzione viene data in ragione di uno o più
(crescendo progressivamente) cucchiaini da caffè o da tè; nelle malattie
croniche giornalmente od ogni secondo giorno; nelle malattie acute ogni sei,
quattro, tre, due ore; nei casi urgenti ogni ora ed anche più spesso. Così
nelle malattie croniche, una medicina omeopatica bene scelta, sebbene abbia
azione di lunga durata, può essere ripetuta, con crescente successo, anche
giornalmente per dei mesi.
Quando la soluzione (in sette, o quattordici o quindici giorni) è consumata,
alla nuova soluzione — se il suo uso è ancora indicato — si aggiunge uno o più
granuli di una potenza più elevata. Così si procede fino a che il malato
continua ad averne sempre maggior beneficio, senza risentire disturbi di sorta.
Se questo accade, ossia il resto della malattia appare con una sintomatologia
cambiata, si deve scegliere una nuova medicina corrispondente meglio, omeopaticamente,
al caso e somministrarla con le stesse modalità. Ossia va somministrata
sempre con lo scuotere con forza la soluzione, prima di ogni dose, al fine di
cambiare il grado di potenza e per elevarla. Se, ripetendo
giornalmente una medicina, omeopaticamente ben scelta, alla fine della cura di
una malattia cronica, compare il così detto aggravamento omeopatico,
di modo che i rimanenti sintomi della malattia sembrano esacerbarsi, le dosi
devono venire ancor più diminuite e ripetute ad intervalli più distanziati,
oppure sospese per parecchi giorni.
La sospensione del medicamento ha lo scopo di far vedere, se la guarigione
necessita ancora o no di aiuto medico, dato che questa sintomatologia, in
apparenza dovuta ad eccesso di medicina omeopatica, può scomparire da sé e
lasciare il malato guarito. Se per la cura si usa soltanto una boccetta
(contenente circa un dramma di alcool diluito, nel quale si scioglie un granulo
di medicina, agitando con forti scosse), che il malato fiuta giornalmente,
oppure ogni due, tre, quattro giorni, anch’essa deve venire agitata, con otto,
dieci forti scosse, ogni volta prima di essere fiutata.
§ 249.
Ogni medicina, prescritta per un dato caso di malattia, che nel corso della
stessa provoca la comparsa di nuovi sintomi, non propri alla malattia da curare
e molesti, non è capace di dare vero miglioramento e non si può ritenere come omeopatica.
Se l’aggravamento da essa determinato è stato notevole, devesi quanto prima
possibile toglierlo, almeno in parte, con un antidoto, prima di somministrare
un nuovo medicamento, scelto con più precisione secondo la legge dei simili;
se l’aggravamento non è stato violento né importante, il nuovo medicamento può
essere usato subito, per sostituirlo a quello scelto male.
§ 250.
Così in casi urgenti, se il medico perspicace, che segue attentamente il suo
malato, si accorge, già dopo sei, otto, dodici ore che la medicina
somministrata è stata scelta male, perché lo stato del malato, per nuovi
sintomi e disturbi insorti, si aggrava, sia pure
poco, di ora in ora, non solo può, anzi deve rimediarvi con la scelta e la
somministrazione di una medicina omeopatica più adatta allo stato presente del
malato.
§ 251.
Alcuni medicamenti (per es. ignatia, bryonia, rhus e parzialmente anche belladonna)
esercitano modificazioni dello stato di salute dell’uomo con
manifestazioni in massima parte alternanti ossia con sintomi primitivi opposti
fra loro. Se somministrando alcuni di questi medicamenti, dopo un’esatta scelta
omeopatica, il medico (in malattie acute già dopo poche ore) non vede alcun
miglioramento, con una seconda dose dello stesso medicamento, nella maggior
parte dei casi, raggiungerà presto il suo scopo.
§ 252.
La constatazione, nella somministrazione di altri medicamenti, che la medicina omeopatica
ben scelta e nella dose minima, non dà miglioramento, è un segno certo che
la causa della malattia persiste ancora e che nel sistema di vita del malato o
nel suo ambiente vi è qualche irregolarità, che deve essere allontanata perché
possa stabilirsi sicura guarigione.
§ 253.
Fra i segni, che indicano, in tutte le malattie, ma specialmente in quelle
acute, un inizio anche piccolo, non visibile a chiunque, di miglioramento o di
peggioramento, lo stato dell’animo e il comportamento del malato sono i più
sicuri ed i più evidenti. In caso di miglioramento, anche lieve, il malato si
sente più a suo agio, presenta una maggior calma, ha lo spirito più sereno, ha
più coraggio e i suoi modi diventano più naturali. In caso di peggioramento,
anche piccolo, avviene il contrario. Il malato è preoccupato, depresso; cerca
di destare la compassione su sé; nelle sue azioni, nei suoi gesti, in tutti i
suoi atteggiamenti vi è qualche cosa di insolito, che un osservatore attento
rileva, ma che non potrébbe descrivere a parole.
§ 254.
I sintomi nuovi ed estranei alla malattia che si cura, o all’opposto,
l’attenuarsi dei sintomi esistenti, senza comparsa di altri, non lasciano alcun
dubbio nel medico osservatore ed indagatore nei riguardi del peggioramento o
del miglioramento, sebbene esistono malati incapaci di avvertire spontaneamente
e di comunicare sia un miglioramento che un peggioramento.
§ 255.
Ma anche in tali casi si può venirne a capo, se si esamina ogni sintomo
registrato della malattia e nessun altro sintomo nuovo viene rilevato.
Quando nel malato si è già constatato un miglioramento morale, la medicina ha
già portato un attenuazione notevole della malattia, o, se il tempo di azione è
stato troppo breve, la porterà. Se il miglioramento, nel caso che la medicina
sia adatta, ritarda a manifestarsi, vuol dire che vi è qualche ostacolo nel
regime di vita del malato o in altre circostanze.
§ 256.
D’altra parte, se il malato accusa nuovi accidenti o sintomi d’importanza
(indizio di medicina omeopatica non scelta bene), anche se egli assicura di
essere migliorato, non gli si deve prestar fede, ma considerare il suo caso
come peggiorato, come ben presto i fatti dimostreranno.
§ 257.
Il vero omeopatico eviterà di avere predilezioni per certi rimedi, dai quali
può avere avuto, per caso, ottimi successi in più occasioni. Tale predilezione
gli farebbe trascurare, non di rado, medicamenti più omeopatici e quindi più
giovevoli.
§ 258.
Così pure il vero medico eviterà di avere preconcetti verso medicamenti, che in
altre occasioni gli hanno dato insuccesso, perché non scelti bene e quindi non
esattamente omeopatici (ossia per propria colpa), e terrà presente la verità,
che tra i medicamenti meritano considerazione e preferenza solo quelli che
meglio corrispondono, secondo la legge dei simili, alla totalità
dei sintomi caratteristici della malattia da curare, e che in questa
scelta, che è una cosa difficile, non deve immischiarsi nessuna passione.
§ 259.
Dato che nelle cure omeopatiche sono necessarie dosi piccolissime, è ben
comprensibile che, in esse, sia escluso, dal regime dietetico e dal regime
di vita, ogni cosa, che in qualsiasi modo possa agire da medicamento, al
fine che la dose minima non venga sopraffatta, diminuita od anche solo
ostacolata, nella sua azione, da uno stimolo medicamentoso estraneo.
§ 260.
Per malati cronici la ricerca accurata di tali ostacoli alla guarigione è
ancora più necessaria, poiché la loro malattia di solito è stata aggravata da
errori, spesso sconosciuti, del regime di vita.
§ 261.
Il regime di vita più conveniente, durante la cura, nelle malattie croniche,
consiste nel rimuovere gli ostacoli alla guarigione, prima citati, e di
procurare, quando occorra, condizioni opposte, come ad es.: divertimenti
innocenti, moto attivo all’aria aperta, con qualsiasi tempo,
(passeggiate giornaliere, piccoli lavori manuali); alimentazione nutriente
senza elementi medicamentosi ecc..
§ 262.
Invece nelle malattie acute — tranne che quando vi è confusione mentale —
decide la voce infallibile del senso istintivo della conservazione della vita,
che qui parla tanto chiaro e deciso. Il medico, i parenti e chi assiste il
malato non hanno altro da fare che non ostacolare la natura, sia
proibendo ciò che il malato urgentemente chiede, sia cercando di persuaderlo a
prendere cose che gli nuocerebbero.
§ 263.
Generalmente il malato acuto chiede cibi e bevande, che costituiscono un
palliativo e portano un sollievo momentaneo; essi di solito non hanno qualità
medicinali e rispondono ad un bisogno del momento. I piccoli ostacoli alla
guarigione, che potrebbero derivare dal soddisfare in misura moderata questi
desideri del paziente, sono compensati, anche ad usura, dalla forza della
medicina omeopatica adatta e del principio vitale da essa liberato, come
anche dal sollievo del malato, dovuto alla soddisfazione del suo ardente
desiderio. Così pure nelle malattie acute per la temperatura della stanza e per
il maggior o minor numero di coperte del letto devesi tener conto del desiderio
del malato. Ogni fatica mentale ed anche ogni emozione deve essere da lui
tenuta lontana.
§ 264.
Il vero medico deve avere le medicine più pure e più potenti che sia
possibile, per poter essere sicuro della loro azione terapeutica; quindi
deve saperne giudicare la purezza.
§ 265.
E’ questione di coscienza, per lui, il poter essere convinto in modo assoluto,
che il malato prenda sempre la medicina giusta.
Per questo egli stesso, con le sue proprie mani, deve dare al malato la
medicina scelta; come pure egli deve prepararsi le medicine.
§ 266.
Le sostanze provenienti dal regno animale e vegetale possiedono la migliore
azione medicamentosa, quando sono allo stato greggio.
§ 267.
Il modo migliore e più sicuro per ricavare i principi attivi dalle piante
indigene e che si possono avere fresche consiste nel mescolare immediatamente
e bene tutto il succo fresco, ottenuto con la spremitura, con alcole
assoluto in parti uguali. Il miscuglio, in recipiente di vetro tappato, si
lascia a riposo per ventiquattro ore e poi si travasa la parte chiara, che
viene conservata per uso medicinale, lasciando il sedimento formato da fibre e
sostanze organiche.
L’alcool impedisce ogni fermentazione presente e futura del succo delle piante.
Il succo delle piante, che, così trattato, contiene tutti i principi attivi al
completo ed inalterati si può conservare indefinitamente, in boccette di vetro
ben tappate e chiuse ermeticamente con cera fusa, per evitare ogni
evaporazione, e tenute preservate dalla luce solare.
§ 268.
Per quanto riguarda le piante esotiche, le loro cortecce, semi e radici, che
non si possono avere allo stato fresco, il medico prudente non ne accetterà mai
alcuna, sotto forma di polvere, sulla parola e sulla fede altrui, ma cercherà
di averle allo stato greggio e non preparate, per convincersi della loro
purezza, prima di farne un qualsiasi uso terapeutico.
§ 269.
L’omeopatia sviluppa, per il raggiungimento dei propri fini, le energie
terapeutiche, interne e quasi spirituali delle sostanze grezze, mediante un
trattamento speciale, finora non usato; e le sviluppa ad un grado altissimo, di
modo che esse diventano assai attive, giovevoli e di azione assai profonda. Diventano
tali perfino quelle, che allo stato greggio non manifestano sul corpo
umano alcuna azione. Questa meravigliosa trasformazione delle qualità di
sostanze naturali, mediante un’azione meccanica, che agisce sulle loro
particelle più piccole a mezzo della triturazione e succussione, (mentre
esse con l’interposizione di una sostanza indifferente, sia allo stato solido
che liquido, rimangono separate tra loro) sviluppa energie prima non
palesi, latenti, dinamiche, che agiscono soprattutto sul principio
vitale e sullo stato di salute della vita animale. Questo
procedimento si denomina dinamizzare, potentizzare ed
i suoi prodotti dinamizzazioni o potenze nei vari gradi.
§ 270.
Per attuare nel modo migliore questo sviluppo di energia, si prende una piccola
porzione della sostanza da potentizzare, circa un grano, lo si tritura
per tre ore con trecento grani di lattosio, nella maniera esposta in nota.
Per le ragioni, che verranno in seguito indicate, si prende quindi un grano di
questa polvere e lo si scioglie in una miscela fatta con una parte di alcool
assoluto e quattro parti di acqua distillata. Una sola goccia di questa
soluzione viene messa in una boccetta, nella quale si versano cento gocce di
alcool assoluto (la boccetta abbia grandezza tale, che, con questo contenuto,
sia riempila per due terzi). Tappata bene, la boccetta riceverà cento scosse
forti, eseguite con la mano contro un corpo duro, ma elastico (per es. un libro
rilegato in pelle). Questo è il primo grado di dinamizzazione della
medicina, la prima potenza; con essa si bagnano leggermente granuli di
zucchero, che si asciugano distendendoli su carta assorbente, e si conservano
in boccetta chiusa con tappo, con la scritta « prima potenza, 1a
». Di questa, per l’ulteriore dinamizzazione, si prende un sol granulo,
lo si mette in un’altra boccetta nuova (con una goccia d’acqua per scioglierlo)
e versatevi cento gocce di alcool assoluto, si potentizza con cento
forti scosse. Con questo liquido potentizzato si imbevono lievemente
granuli di zucchero, che poi si asciugano, distendendoli rapidamente su carta
asciugante, e si conservano in boccetta ben tappata, riparata dal calore e
dalla luce, e con l’indicazione « 2a potenza ».
Con questo procedimento si preparano anche le altre diluizioni. La trentesima
si preparerà con un sol granulo della XXIX e cento gocce di alcool; potentizzando
tale soluzione con cento forti scosse e trattando poi con essa granuli di
zucchero nel modo prima indicato. Le sostanze medicinali gregge, sottoposte a
tale trattamento, danno preparazioni capaci di venire a contatto con le parti
sofferenti dell’organismo malato e di liberare il principio vitale dal
senso della malattia naturale mediante un processo morboso artificiale simile.
Con queste manipolazioni meccaniche, che vengono eseguite, con scrupolo, con le
modalità prima esposte, si ottiene che un dato corpo, che allo stato greggio a
volte non rappresenta neanche una sostanza medicinale, viene alla fine tutto
trasformato, mediante diluizioni sempre più alte, in energia dinamica,
che come tale non cade più sotto i nostri sensi. I granuli di zucchero, già
allo stato secco, ma ancora più se sciolti in acqua, costituiscono il
veicolo di tale energia. L’azione terapeutica è esplicata nell’organismo
malato da questa forza invisibile trasportata dai granuli.
§ 271.
Se il medico prepara da sé le medicine omeopatiche, come dovrebbe sempre fare
per salvare l’umanità dalle malattie, può, giacché ben poca sostanza allo stato
greggio è necessaria, adoperare (se non ha bisogno del succo spremuto) la
stessa pianta fresca; ne mette un paio di grani in un mortaio per triturarla
con tre terzi di cento grani di lattosio ecc.. Tale procedimento devesi seguire
anche con le medicine allo stato solido e di natura oleosa.
§ 272.
Un granulo, preso a secco sulla lingua, costituisce una delle dosi minime per
un caso di malattia acuta, di media intensità, in tal caso solo pochi nervi
vengono a contatto con la medicina. Ma uno stesso granulo triturato con un po’
di lattosio, sciolto in molta acqua, quando si agiti bene la soluzione ogni
volta prima di somministrarla, dà una medicina molto più potente e sufficiente
per l’uso di molti giorni. E, così trattata e somministrata, questa dose, pure
così piccola, viene a contatto con molti nervi.
§ 273.
In nessun caso di malattia è necessario, e per questo soltanto non è lecito,
somministrare al malato, in una volta, più di un’unica medicina semplice,
ben nota nella sua azione, oppure un miscuglio di più medicine diverse tra
loro. Nell’unica terapia vera e semplice, nella terapia veramente naturale
qual’é la omeopatia, non è permesso dare al malato due diverse medicine in
una volta.
§ 274.
Poiché il vero terapeuta trova ciò che, può desiderare già nelle medicine del
tutto semplici, non mescolate ad altre e date una per volta (costituenti
potenze di malattie artificiali, capaci di superare in modo completo, con la
loro energia omeopatica, le malattie naturali, di cancellarle dalla coscienza
del principio vitale e di portare guarigione duratura), non gli salterà
mai in mente, anche in omaggio al detto proverbiale di non andare in cerca
delle cose difficili e complicate, quando una meta si può raggiungere con cose
semplici, di usare più di una medicina semplice per volta. Difatti, anche se si
conoscono le azioni pure e caratteristiche delle singole medicine semplici
sull’organismo sano, è impossibile prevedere quali azioni esse possono avere
nel malato, quando agiscono contemporaneamente in più di una. Inoltre, se un
medicamento semplice, conosciuto esattamente in tutti i suoi sintomi, è scelto omeopaticamente
per un dato caso di malattia, esso giova, già da solo, in tutto; se, nel
peggiore dei casi, non presenta una completa somiglianza con i sintomi della
malattia, e quindi non giova, ha però il vantaggio di aiutare la scelta del
nuovo medicamento più simile, poiché risveglia nuovi disturbi, che
confermano quei sintomi, che il medicamento è capace di determinare nell’esperimento
sull’uomo sano; questo vantaggio non si ha nell’uso di medicine composte.
§ 275.
La convenienza di un medicamento, per un dato caso di malattia non sta soltanto
nella giusta scelta omeopatica di esso, ma anche nella giusta grandezza o
meglio piccolezza della sua dose necessaria. Se si somministra una dose
troppo forte di una medicina, anche scelta in tutto conforme alla legge dei
simili, essa, fatta astrazione delle sue proprietà benefiche, dovrà
essere dannosa, perché, per la sua dose, esplicherà un’azione eccessiva, non
necessaria, sui principio vitale, ed a mezzo di questo, per la sua omeopaticità,
sulle parti dell’organismo più sensibili e già molto colpite dalla malattia
naturale.
§ 276.
Una medicina, anche se conveniente per la sua omeopaticità ad una dato caso di
malattia, somministrata in dose eccessiva, nuoce e nuoce tanto più, quanto più
essa è omeopatica e quanto più alta è la sua potenza e molto più di
qualsiasi altra medicina, di ugual dose, non omeopatica, senza alcuna
somiglianza con il caso di malattia. Dosi eccessive di una medicina omeopatica
bene scelta e soprattutto una frequente ripetizione di essa portano, di solito,
grande danno. Esse mettono non raramente il malato in pericolo di vita o
rendono la sua malattia quasi incurabile. Esse distruggono nel principio
vitale il senso della malattia naturale; il malato non soffre più della
malattia originaria dal momento in cui agisce su lui questa dose eccessiva di
medicina, ma poi è più malato per la malattia del tutto simile, ma più intensa
scatenata dal medicamento, che è anche difficilissima a guarire.
§ 277.
Per gli stessi motivi e perché una medicina ben potentizzata ed a dose
piccola diventa più efficace e giovevole, quasi fino al miracolo, quanto
maggiore è la sua omeopaticità, una medicina, la cui scelta sia omeopatica,
deve essere tanto più efficace, quanto più la sua dose si avvicina alla tenuità
necessaria più adatta per il suo effetto benefico in forma mite.
§ 278.
Ora sorge la domanda: quale è il grado di tenuità della dose più
conveniente per portare un aiuto dolce? ossia in quale dose si deve
somministrare la medicina omeopatica scelta per un dato caso di malattia? La
risposta a queste domande ossia lo stabilire per ogni medicina la dose più
adatta a portare la guarigione nel modo più dolce e più rapido non è, come si
capisce facilmente, oggetto di supposizioni teoriche; giudizi cervellotici,
sofisticherie cavillose risolvono così poco il problema, come la pretesa
di voler registrare tutti i casi possibili in una tabella. Unicamente
l’esperimento, la diligente osservazione dell’eccitabilità di ciascun malato e
l’esperienza possono servire di guida, volta per volta, nello stabilire
la dose. Sarebbe assurdo il voler contrapporre a quello che insegna
l’esperienza nei riguardi della grandezza della dose di medicine omeopatiche,
necessaria a dare la guarigione, le grandi dosi di medicina della vecchia
pratica medica (allopatia), che nomi vengono ad agire sulle parti malate
dell’organismo, ma aggrediscono parti non attaccate dalla malattia.
§ 279.
L’esperienza pura dimostra, in modo assoluto, che, quando la
malattia non è sostenuta da evidenti gravi processi patologici di un
organo interno importante, (anche se essa è fra le malattie croniche e
complicate), anche se durante la cura sono state tenute lontane tutte le
possibili interferenze di medicamenti estranei, la dose del medicamento
scelto, omeopaticanente e potentizzato ad alto grado, al principio della
cura di una malattia importante (specie se cronica), di regola, non può mai
essere preparata così piccola da essere più debole della malattia naturale da
non superare almeno in parte questa, da non cancellare, sia pure in parte, nel
principio vitale il senso della malattia e da non determinare già un principio
di guarigione.
§ 280.
La dose della medicina, che dà continuo miglioramento e non fa insorgere nuovi
sintomi molesti, viene gradualmente aumentata
e continuata fino a quando il malato, che si sente migliorato nello
stato generale, comincia ad avvertire leggermente di nuovo, uno
o più disturbi vecchi, iniziali.
Questo fatto, che si osserva quando si somministra una medicina, a dose
piccolissima, aumentandola gradatamente e potentizzandola ogni volta con
la succussione, indica che la guarigione è vicina, poiché ora il principio
vitale non ha più bisogno di venire attaccato dalla malattia simile del
medicamento per perdere il senso della malattia naturale; ed indica che ora il principio
vitale, liberato di più dalla malattia naturale, comincia a soffrire
soltanto poco per la malattia artificiale, prodotta dal medicamento, che
costituisce il così detto aggravamento omeopatico.
§ 281.
Per persuadersi di quanto ora esposto, basta lasciare il malato senza medicina
per otto, dieci, quindici giorni, dandogli in questo frattempo qualche cartina
di solo lattosio.
Così facendo, se i pochi ed ultimi disturbi sono dovuti al medicamento, che
imita i sintomi vecchi, iniziali della malattia naturale, essi spariscono in
pochi giorni o in poche ore, se il malato mantiene un regime di vita corretto;
se poi, nel tempo in cui il malato non prende più medicine, nessun altro segno
della malattia originaria compare, vuol dire che molto probabilmente s’è
raggiunta la guarigione. Ma se negli ultimi giorni si presentano ancora sintomi
della malattia, essi sono residui non ancora spenti della malattia originaria,
che devono venire di nuovo trattati con potenze più alte di medicina, nel modo
già indicato. Le dosi iniziali piccolissime, devono, naturalmente, venire
aumentate gradatamente, in malati molto eccitabili in misura più ridotta e in
modo più lento che in malati insensibili; in questi si può salire presto a dosi
più alte. Vi sono malati, che, rispetto agi insensibili, hanno una eccitabilità
nel rapporto di mille ad uno.
§ 282.
Il fatto, che durante la cura, specialmente di malattie croniche, già le dosi
iniziali, sebbene modificate (potentizzate ad un grado più alto) ad ogni
ripetizione, abbiano portato un così detto aggravamento omeopatico,
ossia una notevole esacerbazione dei sintomi prima rilevati nella malattia
originaria, costituisce un segno sicuro che le dosi erano troppo grandi.
§ 283.
Per agire in tutto secondo natura, il vero medico prescriverà la medicina omeopatica,
sotto ogni riguardo ben scelta, in dose minima anche per il fatto, che
se, per errore umano possibile, la medicina non fosse adatta, il danno da essa
proveniente sia piccolo e possa venir vinto dalla forza vitale stessa e
da una pronta somministrazione di un medicamento più conveniente (pure in dose
piccolissima).
§ 284.
Oltre la lingua, la bocca e lo stomaco, sono suscettibili di ricevere le azioni
dei medicamenti liquidi il naso e gli organi respiratori, con il fiuto e la
inspirazione attraverso la bocca. Però anche tutta la superficie del corpo, rivestita
da pelle, è adatta a ricevere le azioni della soluzione liquida dei
medicamenti, specialmente se la frizione con gli stessi è legata all’uso
contemporaneo interno della medicina.
§ 285.
Quindi la guarigione di malattie molto vecchie può venir favorita dall’uso,
contemporaneo a quello interno, di frizioni sulla pelle (al tronco, alle braccia,
alle gambe, alle cosce) con la stessa medicina, che viene data per bocca. In
tale caso si devono evitare le parti che soffrono di dolori, di crampi o di
eruzione cutanee.
§ 286.
Non meno omeopaticamente delle vere medicine, che vengono somministrate per
bocca o per frizioni sulla pelle o per fiuto, e non meno energicamente, agisce
la forza dinamica magnetica, elettrica e galvanica sul nostro principio
vitale; e con questi mezzi possono venire guariti casi di malattia con
sensibilità ed irritabilità anormali, malattie psichiche con abnorme sentimento
e movimenti muscolari involontari. Però il modo di usare i due ultimi mezzi
come pure l’uso della macchina elettromagnetica sono pratiche non molto chiare,
per applicarle in omeopatia. Per lo meno finora l’elettricità e il galvanismo
si sono usati come mezzi palliativi, con grande danno dei malati. Le azioni
positive e pure di questi due mezzi finora sono state ancora poco esperimentate
sul corpo umano sano.
§ 287.
La forza magnetica può essere sicuramente usata in terapia, essendo note le
azioni positive del polo nord e del polo sud di una potente sbarra magnetica.
Ambedue i poli hanno uguale forza, che però esplicano in modo diverso. Le dosi si
regolano con applicazioni più o meno lunghe di uno o dell’altro polo, a seconda
che siano più indicati i sintomi del polo sud o del polo nord. Quale antidoto
di una azione troppo violenta serve l’applicazione di una lastra lucida di
zinco.
§ 288.
A questo punto trovasi necessario accennare al così detto magnetismo animale,
denominato meglio Mesmerismo (in onore a Mesmer, suo scopritore). Esso si
differenzia da tutte le altre medicine esistenti in natura. Questa forza curativa,
per tutto un secolo, insensatamente negata o derisa, questo meraviglioso e
inestimabile dono fatto da Dio all’uomo, che una potente volontà di un uomo
ben intenzionato, con contatto o no, perfino ad una certa distanza, fa affluire
in un malato (come uno dei poli di una potente calamita in una sbarra di
acciaio greggio) agisce in diversi modi. Essa sostituisce la forza vitale
mancante in qualche parte dell’organismo del malato; deriva altrove l’accumulo
eccessivo di forza vitale, che si è formato in qualche parte
dell’organismo e che è causa di infiniti mali nervosi; cancella soprattutto la
perturbazione morbosa del principio vitale nei malati e vi sostituisce una
sensazione normale di salute; per es. in piaghe di vecchia data, nell’amaurosi,
in paralisi di qualche arto ecc..
A questo genere di cure appartengono quelle fatte in tutti i tempi, con esiti
miracolosi, da persone dotate di grande forza magnetica. Ma l’esempio più
brillante della trasmissione di forza umana su tutto l’organismo è il
richiamo in vita di persona giacente da qualche tempo in morte
apparente, per opera della volontà fortissima e ben intenzionata di un uomo,
pieno di forza vitale; una specie di risurrezione, confermata
dalla storia con parecchi casi incontestabili. Se la persona, che usa il
mesmerismo, sia essa di sesso maschile o femminile, è anche capace di
entusiasmo buono (sia pure bigottismo, fanatismo, misticismo o estasi) viene a
trovarsi in condizioni migliori per l’applicazione di questa azione filantropica,
che richiede sacrificio; essa può meglio non solo dirigere la forza della sua
bontà dominante esclusivamente sull’oggetto bisognoso di aiuto, ma anche
concentrarvela e così a volte operare prodigi.
§ 289.
Tutti questi metodi di applicazione del mesmerismo consistono nell’infondere
dinamicamente più o meno forza vitale del malato e costituiscono il
mesmerismo positivo. Un modo di applicazione, che si esplica in maniera
contraria, costituisce invece il mesmerismo negativo. Ad esso appartengono i passaggi,
usati per il risveglio dallo stato di sonnambulismo, e tutte le pratiche
manuali comprese nelle denominazioni « calmare » e «ventilare ». Il modo più
semplice e più sicuro di scaricare, con il mesmerismo negativo, la forza
vitale, accumulata in eccesso in qualche parte dell’organismo di persona
non indebolita, consiste nel fare movimenti molto rapidi con la mano destra
distesa, tenuta circa un pollice di distanza dal corpo ed in senso parallelo,
dalla testa fino alla punta dei piedi. Quanto più rapidamente si
eseguisce questo passaggio, tanto maggiore è la scarica. Per esempio, in caso
di morte apparente di una donna prima sana, nella quale per un violento
trauma morale venne soppressa d’improvviso la mestruazione, prossima a
comparire, la forza vitale, probabilmente accumulatasi nella regione
precordiale, può venire scaricata con questo passaggio rapido di mesmerismo
negativo e distribuita nel suo equilibrio in tutto l’organismo, per cui di
solito ne segue subito il ritorno alla vita.
Così pure a volte un passaggio lieve, non rapido, calma, in persone molto
eccitabili, una grande inquietudine ed un’insonnia ansiosa derivanti da un
passaggio positivo troppo forte.
§ 290.
A queste pratiche appartiene in parte anche il così detto massaggio, eseguito
da una persona robusta, ben intenzionata. Essa eseguisce delle manovre sui
muscoli degli arti, del torace, della schiena di una persona convalescente, che
presenta ancora dimagramento, debolezza digestiva ed insonnia. Tali manovre
consistono nell’afferrare i singoli muscoli, nell’eseguirvi una pressione
moderata e un movimento di impastare; con esse il principio vitale viene
stimolato a reagire ed a ristabilire il tono dei muscoli e dei vasi sanguigni e
linfatici. La base di queste pratiche, che non devono essere esagerate in
persone ancora irritabili, è naturalmente il mesmerismo.
§ 291.
I bagni di acqua pura sono mezzi di cura sussidiari, in parte con azione
palliativa, in parte omeopatica, che aiutano a ristabilire la salute di malati
acuti come pure di convalescenti guariti da malattie croniche, quando si prenda
nella dovuta considerazione lo stato del paziente, la temperatura dell’acqua,
la durata e la ripetizione del bagno. Essi determinano nell’organismo, anche se
usati bene, solo modificazioni benefiche di carattere fisico, e quindi di per
sé non sono una vera medicina. I bagni tiepidi da 25 gradi a 27 gradi R.
servono a risvegliare la sensibilità assopita delle fibre nervose in morti
apparenti (congelati, annegati, soffocati). In tali casi la loro azione è
palliativa; in altri, unitamente a somministrazione di caffè e frizioni sulla
pelle, si mostrano abbastanza efficaci e possono costituire un aiuto omeopatico
in casi, dove la eccitabilità è distribuita in modo ineguale ed anche eccessivo
in alcuni organi, come in alcuni crampi isterici e convulsioni dei bambini.
L’immersione istantanea in bagni freddi, da 10 gradi a 6 gradi R., di
convalescenti guariti da malattie croniche con medicine e che hanno scarso
calore vitale, rappresenta un aiuto omeopatico, mentre le ripetute immersioni
sono solo un palliativo per il ristabilimento del tono rilassato della
muscolatura e dei nervi; per il raggiungimento di quest’ultimo scopo i bagni
son da farsi con durata di alcuni minuti e a temperatura sempre più bassa. Essi
costituiscono un palliativo, che, poiché agisce solo fisicamente, non è legato
ai danni, che può dare invece un palliativo medicamentoso dinamico.
Per CONTATTI: antoniob64@libero.it
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